1. RIGOLETTO, TRA MULTIMEDIALITÀ E OPERA TOTALE
Paolo Madron per Dagospia
rigoletto 7
L’inizio, quando la telecamera della tivù inquadra il palcoscenico, sembra di trovarsi in un drive-in: le auto, modelli vintage, il maxischermo, gli attori sul palco pronti a guardarsi il film.
Insomma, un richiamo all’obbligo di distanziamento sociale che anche la platea ha fatto proprio con disciplinata obbedienza. Del resto, ambientare l’opera di Verdi al Circo Massimo serviva anche a questo, ovvero a poter disporre di un contenitore in grado di assecondare comodamente le regole.
damiano michieletto
rigoletto 5
La curiosità è dunque molta, e non solo per l’uso dello spazio che accoglie il ritorno all’attività dell’Opera di Roma dopo il lungo lockdown.
Sposare la carnalità del melodramma con l’obbligo di nemmeno sfiorarsi sembra un’irrisolvibile contraddizione. C’è il rischio che la distanza raffreddi la materia, che le melodie incisive di Verdi che in alcune arie la direzione di Daniele Gatti tende a evidenziare si disperdano in lontane risonanze, che l’enorme contenitore giochi a dilatare il tutto.
virginia raggi foto di bacco
Invece accade il contrario. Perché la regia di Damiano Michieletto riduce miracolosamente tutte le distanze attraverso una messinscena multimediale che all’inizio disorienta ma poi, col procedere dell’opera, si rivela una sfida vinta. Il risultato è paradossale, un Rigoletto così lontano che diventa così vicino.
sergio mattarella con la figlia laura foto di yasuko kageyama
Grazie anche agli operatori che girano sul palco confondendosi ai personaggi, imbracciando la telecamera che marca stretto i cantanti, lega le immagini alla musica, e le proietta sul maxischermo. Dove per altro si alternano anche dei filmati che “sporcano” la trama, a cui il regista affida un surplus evocativo per definire situazioni e caratteri in scena, e lo fa contaminando i generi, dal filmino domestico alla sceneggiata al noir. Compresa la morte di Gilda, che dalla spiaggia corre verso il mare e si inabissa vestita da sposa.
pierferdinando casini e figlia foto di bacco
Ma c’è un terzo livello che l’operazione di Michieletto contempla ed ingloba, ed è quello televisivo. Lo spettatore in platea non vede la stessa opera dello spettatore a casa (l’evento era trasmesso da Rai 5), che deve fare i conti con una spericolata messa in abisso: la tivù che fa da contenitore all’opera a sua volta contenitore di multimedialità. Il rischio era palese, ovvero che regia televisiva e regia teatrale andassero ognuna per conto proprio, col risultato di farsi reciprocamente male.
paola severino foto di bacco
Il fatto che l’integrazione non si sia trasformata in dissoluzione è uno dei tratti più meritori di questo Rigoletto. Che nel rinverdire (Verdi spunta anche nelle parole) del melodramma, genere condannato all’anacronismo o alla passione di un pubblico ristretto, trova nuova vita grazie alle possibilità offerte dalla tecnologia.
Guardando il lavoro del regista veneziano viene in mente la Gesamtkunstwerk wagneriana, quell’idea di opera totale cui la modernità offre oggi un florilegio di strumenti e linguaggi innovativi. E di infinite nuove possibilità di rappresentazione.
2 - CON RIGOLETTO SFILANO LE STAR
Lucilla Quaglia per “il Messaggero”
lorenza bonaccorsi foto di bacco
L'opera guarda i palazzi imperiali e promette grandi suggestioni. Il palcoscenico del Costanzi si sposta al Circo Massimo ed è subito fascinazione. La prima del nuovo Rigoletto, con la direzione di Daniele Gatti e la regia di Damiano Michieletto, pensato in chiave anti Covid-19, è una notte di star. Ad omaggiare il primo teatro d'opera a partire in Europa dopo la pandemia, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, molto acclamato e in compagnia della figlia Laura.
Li accoglie il sovrintendente Carlo Fuortes, che saluta anche la sindaca di Roma, Virginia Raggi, in sobrio abito nero su décolleté rosse, clutch e mascherina di pizzo. Il Prefetto di Roma Gerarda Pantalone segue i presidenti di Camera e Senato, Roberto Fico e Maria Elisabetta Alberti Casellati, e i ministri dei Beni Culturali, Dario Franceschini, con la moglie Michela Di Biase, e delle Politiche giovanili e dello Sport, Vincenzo Spadafora. Sorride Max Giusti, che posa tra i fan. Il parterre si arricchisce con Corrado Augias, Roberto D'Agostino con la sua Anna Federici.
il presidente sergio mattarella la figlia laura e daniele leodori foto di bacco
Flash impazziti per il bell'attore britannico Ralph Fiennes, che cattura tutti gli sguardi femminili. Ci sono Rossella Brescia, in elegantissimo tailleur pantalone bianco e capelli raccolti, con il suo Luciano Cannito. Brilla Eleonora Abbagnato, in pantaloni neri all'orientale, al braccio del suo Federico Balzaretti.
Il professor Giulio Maira e poi Yari Gugliucci con il regista Stefano Reali. Simona Marchini indossa la mascherina chirurgica. Sul tardi appaiono Gianni e Maddalena Letta. Non si contano i nomi noti. Il mondo della diplomazia schiera gli ambasciatori di Stati Uniti Lewis Eisenberg con la consorte Judith, di Francia Christian Masset e di Spagna Alfonso Dastis.
francesco rutelli barbara palombelli foto di bacco
Posti prenotati, tra la sontuosa e archeologia cornice, per Sabrina Florio e Brunetto Tini, Franco Bassanini e Linda Lanzillotta. E' il turno di Marisela Federici, in nero, spilla importante e veletta e con il figlio Eduardo, e il critico Angelo Bucarelli, in stampelle e impeccabile azzurro. Grande attesa per l'opera ispirata alla malavita anni Ottanta. Passa il bel mezzosoprano Martina Belli.
francesca cavallin foto di bacco (2)
Arriva l'amministratore delegato di Acea, Giuseppe Gola e ancora Piero Maccarinelli. Aurelio Regina, saluta Bruno Vespa con la moglie Augusta Iannini, Francesco Rutelli con Barbara Palombelli, riparata da mascherina, la principessa Maria Pia Ruspoli in mise scura. Si nota la bellezza di Roberta Giarrusso e poi quella della magrissima Francesca Cavallin, in lungo floreale.
Si replica domani e lunedì 21 luglio.
3 – OPERA, CHE MIX-DRAMMA
Roberto D’agostino per Dagospia
dario franceschini michela de biase (2) foto di bacco
Però è bello sapere che, di questi tempi spietati, almeno un valore sopravvive: l'opera lirica, magari shocking. Abbandonarsi quindi al Belcanto, ai Rigoletto e Butterfly, non è più un ricettacolo di vecchietti col pannolone e di vecchie signore del circolo della canasta un po’ impolverate, con pellicciotto sulle spalle che uscivano dicendo “è stato così bello, ho pianto tanto”; no, il melodramma è diventata una scelta di massima contemporaneità in un’epoca dominata dallo shock tecnologico che ha assorbito e svuotato ogni tipo di creatività artistica.
Dalla pittura alla musica pop, dalla moda al design, dalla televisione al cinema, nessuna arte visiva si salva dal tifone della rivoluzione digitale. Con Internet, tutto è finito nella Valle dei Templi del ‘900, eccetto il melodramma dei nostri nonni.
carlo fuortes roberto d agostino foto di bacco
E allora: come mai i bicentenari Verdi e Mozart, Puccini e Rossini sono ritornati ad essere un piacere capace di produrre cultura contemporanea? Dopo periodi poco fortunati, cosa è successo all’opera lirica per trasformarsi nella più trasversale e pop delle arti?
Anche nell’era dello smartphone e di Netflix, quale forza sublime riesce a un genere di spettacolo assurdo, recitar cantando, dove, come ironizzava George Bernard Shaw, “un uomo viene pugnalato e invece di morire, canta”?
augusta iannini bruno vespa foto di bacco
Semplice: il Belcanto è vispo perché è uno spettacolo che riesce a comprendere molti linguaggi contemporanei: la musica, la parola, il teatro, la scenografia, i costumi, talvolta la danza; aggiungere che la storia dell’opera lirica è costellata di tematiche politiche, erotiche, anche trasgressive, gay compresi, scritte oltre un secolo fa (“Così fan tutte” stilato da Lorenzo Da Ponte inaugura già lo scambismo).
eleonora abbagnato foto di bacco
Uno spettacolo globale molto antico: già 200 anni fa Wagner la chiamava “opera totale”. Con l’avvento del cinema a fine ‘800 si diceva che l’opera sarebbe stata decimata dalle sale, con l’esplosione della televisione che sarebbe finita al cimitero, invece eccola qua: aumentano gli iscritti ai corsi nei Conservatori, le platee si riempiono di ventenni. Andare a ‘X-Factor’ o cantare Rossini oggi paiono di nuovo due scelte condivisibili.
Racconta Elio (delle Storie Tese), che da anni si diletta con la lirica-pop. “È una missione assurda della quale mi sono autoinvestito. Mi sono diplomato in flauto al Conservatorio di Milano a fine anni Settanta e l'idea mi è venuta piano piano. A un Sanremo facemmo con le Storie Tese ‘’Largo al factotum’’. Fece scalpore.
eleonora belviso marino sinibaldi foto di bacco
La proponevamo come bis nei concerti. Una sera arrivò in camerino uno che mi disse: "Bellissimo, l'ultimo pezzo. Ma il testo è vostro?". Così ho avuto una sorta d' illuminazione. Bisogna ripensare a conoscere l' opera. Per molti Rossini e Verdi sono statue. Nomi di vie, neanche uomini, ma entità esistite in eterno.
E invece sono state persone vive, piene di ansie come noi. Tanti ignorano che Verdi fu respinto al Conservatorio e conservò fino alla morte la lettera di bocciatura. E che ha combattuto una lotta micidiale per arrivare a rappresentare le sue opere. Oggi l'istituto porta il suo nome. È una storia di fatica simile alle nostre’’.
federica de sanctis francesco siciliano foto di bacco
Non solo: oggi è cambiato il modo di fare il repertorio dei Mozart e dei Verdi perché la nuova generazione di registi ha rivoluzionato il modo di vedere l’opera - sempre meno è un omaggio alla tradizione e sempre più è un omaggio alla contemporaneità, una delle tante espressioni con le quali si racconta il mondo di oggi - e di conseguenza finalmente sta cambiando anche il pubblico.
dario franceschini michela de biase (1) foto di bacco
Se guardiamo le locandine del secondo dopoguerra, il cartellone elencava i nomi dei cantanti e il direttore d’orchestra, ma non c’era il nome del regista. Al massimo cominciava ad essere inserito il ‘’direttore della scena’’ oppure era più importante quasi il ‘’pittore di scena’’.
Tutta colpa di Patrice Chéreau, uno dei grandi maestri della scena europea. Allievo di Giorgio Strehler al Piccolo Teatro di Milano, Chéreau ha rinnovato il linguaggio del teatro lirico nel 1976 con la messa in scena dell’Anello del Nibelungo di Wagner dove la regia mirava alla lettura sostanziale del libretto, svicolando da quella formale, allontanandosi per sempre dalla gabbia della tradizione.
federica tittarelli luca cerasi
È veneto, ha 44 anni, uscito dalla Scuola d'Arte Drammatica “Paolo Grassi” di Milano, è il regista italiano del momento. Osannato, contestato, conteso dai teatri di mezzo mondo: Damiano Michieletto ha vinto perché comunica con un’estetica in linea col nostro tempo.
Nel 2009 fischi e contestazioni per la prima al San Carlo di Napoli per il suo allestimento dell’opera mozartiana Il ratto del serraglio: uno yacht sul palco del San Carlo non si era mai visto, e una donna in topless neppure.
giancarlo de cataldo con la moglie foto di bacco
Nello stesso anno il ‘’Roméo et Juliette’’ di Gounod in scena alla Fenice di Venezia vide al centro, l’enorme console del giradischi da dove il deejay comanda le danze, e tutt’attorno il mixer, le luci stroboscopiche, le casse che sparano decibel da stadio, le cubiste seminude. Va da sé che i Capuleti sono punk metallari ma di buona famiglia, i Montecchi dei tipacci di periferia col coltello in tasca e la bomboletta spray da graffitari.
gianni letta foto di bacco
Oggi, la popolarità del melodramma non può prescindere dai grandi registi: come mai non è più necessario nessun grande cantante, icone come Caruso, Kraus, Domingo, Pavarotti e Carreras? Oggi, purtroppo, l’opera non ha da spendere quel donnone di origine greca sbarcato dall’America in Italia nel 1947 che rispondeva (allora) al nome di Maria Kallas. Essì: tutto cominciò con Maria Callas. Dal suo modo di cantare totalmente rivoluzionario, moderno. Eugenio Montale la definì: ‘’Mai eguale a se stessa”. Arbasino la incoronò: ‘’Voce non bella, ma drammaticissima e portamento scenico eccezionale’.
Copertinato dal settimanale “Time”, è stata la voce tenorile più idolatrata degli anni Ottanta. “Quando Pavarotti nacque, Dio gli baciò le corde vocali”, scrisse un critico americano. Ma altri critici, davanti a un certo sensazionalismo da Las Vegas che ha accompagnato il suo finale di carriera, hanno storto il naso: “Per diventare Pavarotti ci vuole la sua voce e ci vuole il suo agente…”.
giovanni vetere giovanna caruso con la figlia veronica foto di bacco
Attualmente queste straordinarie voci mancano. In compenso negli ultimi decenni è avvenuta una mutazione genetica e antropologica del cantante lirico. Una trasformazione non solo d'immaginario, ma fisica e di look. Trent' anni fa il modello era ancora quello di matronali madame capricciose e pachidermiche col cagnetto nella borsa, di armadi umani con la voce modulata, il pizzetto e il capello ravviato col gel. Oggi è cambiato tutto. Sono le soprano sono delle pin-up da calendario e i tenori dei bonazzi pronti per l’”Isola dei Famosi”.
francesca cavallin foto di bacco (1)
Ma al centro del rinnovato appeal, l’opera ha recuperato la dimensione nazionale e popolare di cui parlava Antonio Gramsci. Quel paradosso italiano per cui un'arte così sofisticata, ritualizzata, irrealistica è riuscita nei secoli a parlare a tutti, in alto e in basso, ai colti e agli ignoranti, sfondando ogni barriera sociale con la semplice forza della bellezza.
Il melodramma è senza dubbio una componente fondamentale della nostra identità nazionale, tanto che si dice che l’Italia l’ha fatta Cavour mentre Verdi ha fatto gli italiani. Il Cigno di Busseto è stato un grande antropologo che ha raccontato vizi e virtù, “tipi” e costanti del carattere nazionale. Così, il teatro d’opera diventa anche un’”architettura della memoria” soprattutto per noi italiani.
vincenzo spadafora ministro dello sport foto di bacco
Del resto, insieme a Michelangelo, a Sofia Loren e il Papa, l’opera lirica è fra le prime cose che vengono in mente ad un abitante della Terra quando si parla di Italia. Rimane un "made in Italy" che, da secoli, non conosce crisi. Qualsiasi expo o promozione internazionale dell’Italia all’estero ha come contorno l’allestimento di un’opera lirica o un concerto di cantanti lirici.
Altro aspetto intrigante. In un mondo così virtuale in cui i giovani sono “fast” in tutto quello che fanno, l’opera è lenta. In un mondo virtuale di telefonini internet televisione e realtà aumentata, l’opera è incredibilmente fisica. Quando si entra in un teatro d’opera, si entra in una meravigliosa macchina teatrale, scatola fisica, incredibilmente fisica, che al suo interno ha un’utopia, una situazione nella quale la verosimiglianza non esiste, un mondo di sogni.
il presidente mattarella con la figlia laura il prefetto gerarda pantalone e daniele leodori foto di bacco
La grande sfida oggi è questa: non banalizzarla dietro una pseudo-divulgazione casereccia modello Bocelli o Il Volo, ma nemmeno rinchiuderla in una torre che poi, fatalmente, è sempre meno d'avorio. E allora ben vengano l'impatto con la contemporaneità, le regie “moderne”, l'uso della tecnologia, lo streaming, le dirette nei cinema e su Twitter, le risse verbali sui social. In fondo, come motteggiava George Bernad Shaw, il melodramma rimane sempre. “La storia di un tenore e di un soprano che vogliono andare a letto insieme, e di un baritono che glielo impedisce.”
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