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Foto di Luciano Di Bacco per Dagospia
(ANSA) - Un libro sincero, la storia corale di una grande famiglia del Sud, di un ragazzino che ce la mette tutta, di un padre e di un cronometro che improvvisamente ritorna nella vita del protagonista per rivelare che c'è sempre tempo per fare ancora una gara. Il popolare attore, conosciuto per serie di successo ma anche per tante pellicole cinematografiche, si racconta nel libro le Regole dell'acqua.
"Il mondo del nuoto è stato un serbatoio fantastico di lezioni di vita. Alcune le ho capite allora. Altre sono diventate più chiare col tempo".
Ex promessa del nuoto giovanile, dopo una virata sbagliata la vita di Raoul Bova prende una direzione completamente diversa, quella cinematografica, a cominciare dal primo film dedicato ai fratelli Abbagnale a cui ne seguiranno molti altri. Eppure, quegli anni passati in piscina, le lunghe ore di allenamento, l'euforia delle prime vittorie, costituiscono un universo di riferimento che si rivelerà fondamentale anche per affrontare le sfide fuori dall'acqua.
alberto matano foto di bacco (4)
"Il nuoto è stata la prima lingua che ho avuto a disposizione per interpretare la vita. L'acqua mi ha dato la possibilità di crescere, mi ha insegnato ad ascoltare il mio corpo, sentirlo scivolare e prendere velocità, muoversi in un mondo in cui la gravità è impercettibile, perché è l'acqua che comanda, che sia un mare, un lago, un fiume, una piscina." Inizia così il percorso di Raoul Bova per ritrovare tutte quelle regole apprese da bambino e riscoperte anche attraverso gli incontri con grandi campioni come Filippo Magnini, Massimiliano Rosolino, Emiliano Brembilla da lui coinvolti per vincere un record e realizzare la promessa fatta molti anni prima al padre.
"Il mondo del nuoto è stato un serbatoio fantastico di lezioni di vita. Alcune le ho capite allora. Altre sono diventate più chiare col tempo" scrive l'autore.
"L'acqua è un elemento mutabile e imprevedibile: non sono permesse distrazioni, bisogna essere profondamente presenti a se stessi e connessi con la propria anima, respirare a fondo, avere pazienza e aspettare il momento giusto".
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Bova ha esordito nel mondo del cinema giovanissimo, ha recitato in molti film, commedie teatrali, serie tv in Italia e all'estero. Ha lavorato con i più importanti registi fra cui Pupi Avati, Carlo Vanzina, Ferzan Özpetek, Paolo Genovese.
Nel 2010 è stato nominato Goodwill Ambassador della Fao.
Questo è il suo primo libro.
«CONSERVO I SUGHI DI PAPÀ È BELLO VEDERE I MIEI 4 FIGLI CHE INIZIANO A VOLERSI BENE»
Elvira Serra per il “Corriere della Sera”
Pure lei un libro?
«È vero, anche io l'ho pensato».
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E allora perché lo ha scritto?
«Mi chiedevano di farlo da quando avevo 25 anni, ma non volevo essere banale. Adesso, però, avevo un po' di cose da raccontare».
Di cose, ne Le regole dell'acqua , in libreria da martedì con Rizzoli, ce ne sono tante: dagli incubi che Raoul Bova faceva tredicenne, quando era ossessionato dalla morte, alle ore spese in motorino per andare ad allenarsi all'Aurelia Nuoto, e l'Olimpiade che infine ha vinto, almeno sul set, nella serie tv ispirata alla storia dei fratelli Abbagnale.
Sotto traccia, c'è soprattutto quel passaggio inevitabile alla vita adulta che avviene quando smettiamo di essere figli. Ed è questa la vera spinta dietro il debutto letterario di Raoul Bova, 49 anni, papà di Alessandro e Francesco, nati dal matrimonio con Chiara Giordano, e di Luna e Alma, avute dalla compagna Rocío Muñoz Morales. Il libro è dedicato a loro.
Il 9 gennaio del 2018 è mancato suo padre Giuseppe, ex impiegato in Alitalia. Ventidue mesi dopo sua madre Rosa, casalinga. Come ha fatto a non affondare?
«Queste cose, prima che succedano, non le puoi neanche immaginare. Non riesci a farti un'idea del dolore che proverai. Dopo, attraversi tutte le fasi: dal sentirti perso al sentirti solo. Vedi crollare le fondamenta, ti mancano gli sguardi di approvazione o di rimprovero che ti avevano sempre fatto sentire un figlio».
È riuscito a salutarli?
«No, mi hanno avvisato quando era già successo. Ma con mio padre ci eravamo visti proprio due giorni prima, per il compleanno di mamma. E poi avevamo trascorso insieme il Natale. Mia madre, invece, non la vedevo da un po', ci eravamo ripromessi di farlo presto. Era entrata all'ospedale per quella che sembrava un'ulcera e invece si è aggravata. Usava già l'ossigeno.
raoul bova alberto matano foto di bacco
Penso sia morta di Covid, ma ancora non era esplosa l'epidemia, è solo una ricostruzione che mi sono fatto nelle notti insonni. Il giorno che mamma è morta mi sono rotto la gamba destra. Una semplice storta sulle foglie bagnate, ero a Torino per lavoro. Penso sia stato il dolore: mi aveva spezzato».
È allora che ha cominciato a scrivere il libro?
«Sì, ho avuto bisogno di mettere in fila i ricordi. Quando mi sono rotto la gamba stavo girando una fiction per la quale ero dovuto ingrassare. Dopo, in poco tempo, mi sono ritrovato a pesare 110 chili, vuoi per il cortisone, l'eparina. Ero disorientato, non mi riconoscevo. Il libro è stato una valvola di scarico e rimessa a punto.
Mi sono detto: cominciamo a ricordare le cose belle. Era arrivato il momento che il bambino crescesse e diventasse uomo. Ritrovare gli sguardi, le risate, le lezioni dei miei genitori mi ha fatto capire che resteranno per sempre dentro di me».
In dispensa ha ancora le conserve di pomodoro fatte da suo padre?
«Sì, qualche bottiglia è rimasta. Le tengo per ricordo. Altre le ho utilizzate. Era meticoloso, mi piaceva la sua calligrafia, aveva una sua eleganza anche in stampatello: scriveva l'anno, la qualità del pomodoro, era molto preciso».
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Il cronometro vi ha legati: era l'oggetto con cui seguiva le sue gare di nuoto, misurando i miglioramenti per incoraggiarla quando non vinceva. Cosa la lega, invece, ai suoi figli?
«Se dovessi scegliere un elemento, sarebbe l'acqua. Ho scritto Le regole dell'acqua perché ognuno di noi ha le sue e talvolta amiamo infrangerle per il gusto di abbatterle. Ma poi ci rendiamo conto che senza quelle non troviamo più l'ordine.
Penso che la gentilezza e la disciplina del nuoto siano le regole che applico nel rapporto con i miei figli. Mio padre prendeva tutto molto sul serio, mia madre alleggeriva. Credo, spero, di aver preso un po' da entrambi. Cerco di comprendere i tempi dei miei figli: non si può applicare un modello unico perché loro sono diversi. A volte bisogna essere severi, altre capire di più».
Com' è cambiata la paternità da due maschi di 20 e 19 anni a due femmine di 4 e quasi due?
«Mi sento molto fortunato e molto impegnato ad affrontare età e problematiche così diverse. Diciamo che non arriva mai il momento di rilassarsi. Ovviamente la parte maschile ha una complicità diversa rispetto a quella femminile, che però ti dà un altro tipo di emozioni.
Le bambine sono ancora molto piccole, hanno necessità più fisiche, quotidiane. Mi godo il loro sguardo. I più grandi, che tendo a considerare ancora dei bambini, svicolano un po'. A loro devo stare dietro senza farmi notare. È giusto che affrontino da soli la vita, ma io ci sono per sorreggerli».
Ha assistito a tutti e quattro i parti?
«Sì e sono stati momenti indimenticabili, anche quelli in cui capisci meno perché sei preso dall'euforia, ma ti rimangono in una parte del cuore e del cervello. Senti di aver ricevuto un dono».
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Nel libro un capitolo riguarda le aspettative. Immagino non sia stato facile spiegare ai suoi ragazzi la separazione dalla loro madre.
«Nel libro cerco di spiegare che non dobbiamo sopportare il peso dei sogni o delle decisioni altrui. Spesso quando fai una promessa cerchi di fare il possibile per mantenerla, ma quella promessa può anche diventare qualcosa di soffocante perché non sei in grado di portarla avanti. E non vuol dire che non hai fatto tutto il possibile. L'importante è avercela messa tutta. I supereroi esistono solo al cinema. Io provo a essere un buon essere umano».
Alessandro e Francesco vedono Luna e Alma?
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«Sì, fanno i fratelli maggiori. Rispetto per i figli significa ascoltarli e non imporre nulla che non sentano davvero. Così ho aspettato che si sentissero liberi di vederle e oggi sono felice. Tante volte mi sono domandato o accusato e giudicato come poco forte su alcune decisioni e invece la mia strada e il mio modo di essere sta portando i suoi frutti.
I miei figli sono felici, si stanno conoscendo, stanno cominciando a volersi bene e questo è un passo che ne porterà un altro e ancora uno».
È ancora ossessionato dalla morte, come da ragazzino?
«A 13 anni sognavo di morire una sera sì e l'altra pure».
Forse perché dormiva con le sue sorelle.
«Può essere... In effetti era un po' scomodo. Ma ero viziato, coccolato, mia sorella maggiore faceva da vice mamma, quindi era come avere tre genitori. L'altra sorella non la prendeva molto bene...».
E allora quei sogni?
«È stato il periodo in cui ho cominciato a farmi domande sulla vita, quando capisci che la morte ne fa parte, ma è un controsenso».
Ad allenarsi, nella piscina dell'Aurelia Nuoto, andava in motorino.
«Un'ora e mezzo per andare e un'ora e mezzo per tornare. Quando ti viene da piangere che fai due allenamenti al giorno e sei bagnato e d'inverno ti rimetti sul motorino e comincia a piovere con il freddo e il vento e hai mani e piedi ghiacciati...
Ecco, penso che quei momenti mi abbiano forgiato. Oggi uno tende quasi ad abituarsi alla non sofferenza: vogliamo non soffrire e quando soffriamo lasciamo le cose a metà. Ma la sofferenza ti porta a qualcos' altro, fa parte del risultato».
Nel salotto di casa sua lei e Rocío tenete ancora un libro per annotare pensieri? Avevate cominciato durante il lockdown.
«Sì, c'è ancora. Tenere un diario è importante, ti permette di fissare le cose e rivederle a distanza. L'ho sempre avuto, fin da ragazzino. Nel libro io e Rocío abbiamo scritto di tutto, dall'esperienze fatte con la Croce Rossa a cose più divertenti e a loro modo memorabili».
Per esempio?
«Quando Rocío ha preparato la pizza, ed era commestibile, o quando ha ricominciato a cucinare la paella».
Questo è molto maschilista. Lei, scusi, cosa ha fatto durante il lockdown?
«Ma io combattevo contro gli acari! Ero il re delle pulizie di casa, ho comprato qualsiasi elettrodomestico. Giravo con le mie reminiscenze dei film d'azione e disinfettavo tutto. Sono stati momenti di pura follia».
Ha sempre intenzione di inseguire il record del mondo in staffetta con Massimiliano Rosolino, Filippo Magnini ed Emiliano Brembilla nella categoria Master?
«Faremo la staffetta, ma senza inseguire record. Lo faremo solo per ritornare tutti a qualcosa che ci ha fatto molto bene in passato».
Ogni tanto sente Madonna, Tom Hanks e le altre star con cui ha collaborato?
«Per gli auguri. Angelina Jolie l'ho vista da poco, Tom Hanks pure, eravamo a Malta per lavoro: lui è stato una delle persone più carine con me quando vivevo a Los Angeles».
Conserva da qualche parte il cappello da bersagliere di quando era militare?
«Ma certo! È a casa di mio padre. Sa che è uno dei corpi più vanitosi dell'Arma? Ma anche tra i più belli».
Perché fa tanto volontariato? Pubblicità?
«No, è un modo per restituire il sorriso e il supporto che ho ricevuto quando ne ho avuto bisogno e che mi ha fatto sentire meno solo».
C'è qualcosa che non rifarebbe?
«Tutto quello che ho fatto, compresi gli sbagli, mi ha portato fin qui. Sto lavorando per avere un equilibro di pace interiore. Se ci sto riuscendo, lo devo anche agli errori e alle cose belle che mi sono arrivate».
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