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CAFONALISSIMO DEGLI "OLIGARCHI" – CI VOLEVA UN TRIO DI ULTRA-80ENNI PER RIFILARE CALCIONI ALLA MELONI: AL PIO SODALIZIO DEI PICENI A ROMA, GIUSEPPE DE RITA PRESENTA LA SUA BIOGRAFIA, “OLIGARCA PER CASO” CON GIANNI LETTA E GIULIANO AMATO - NESSUN FRATELLO D’ITALIA AVVISTATO. PECCATO: AVREBBERO IMPARATO QUALCOSA SU COME SI GESTISCE IL POTERE, CHE IN ITALIA SI DISTRIBUISCE PER VIA “ORIZZONTALE” E NON IN "VERTICALE” – I RIFERIMENTI VELATI (MA MANCO TROPPO) ALLA DUCETTA IN MODALITÀ “FASCIO TUTTO IO”: “L’OLIGARCA HA UN TESSUTO DI POTERE CHE NON DIPENDE DA UN MANDATO VERTICALE CHE CALA DALL'ALTO: QUELLO È IL GERARCA, IL CUI POTERE FINISCE QUANDO CADE IL SUO DANTE CAUSA…”

1. DAGOREPORT

gianni letta paolo baratta giuliano amato giuseppe de rita lorenzo salvia (2)

Qualcuno la chiama élite. Altri, poteri forti. Gli anglofili, deep state. Per Giuseppe De Rita è “l’oligarchia”, che ieri si è riunita al Pio sodalizio dei Piceni, in Piazza di San Salvatore in Lauro, attorno al fondatore del Censis, per celebrare il suo libro, “Oligarca per caso”, scritto con Lorenzo Salvia del “Corriere della Sera”.

 

Sul palco, insieme a De Rita, un filotto di “oligarchi” di vecchio conio  (facevano 351 anni in 4), ma rapidissimo eloquio: Giuliano Amato, Gianni Letta, Paolo Baratta.

 

Tra il pubblico, il direttore dell’Osservatore romano, Andrea Monda, e Padre Antonio Spadaro, in gesuitica rappresentenza. E poi, a proposito di oligarchi, l'ex Ragionere generale dello Stato, Andrea Monorchio.

 

giuseppe de rita lorenzo salvia (3)

Anche il “Corriere della Sera” era in gran spolvero, con una nutrita delegazione: Massimo Franco, Maria Teresa Meli, e poi l’autore del libro, Lorenzo Salvia, e Paolo Conti, a moderare e animare il dibattito. Francesco Rutelli arriva trafelato, giusto in tempo per l'inizio della "conversazione".

 

Dettaglio: non sono stati avvistati meloniani. In altri tempi, per un evento del genere, si sarebbero scapicollati ministri, sottosegretari, financo presidenti del Consiglio.

 

GIUSEPPE DE RITA - OLIGARCA PER CASO

Ma come scrive De Rita nel volume, una sorta di autobiografia sua e del Paese, per sommi capi, “oggi l'Italia non ha oligarchia: non c'è oligarchia nel sindacato, nel governo, nello Stato.  […] Chi governa, ma anche chi è all'opposizione, è orgogliosamente convinto che la politica sia un'arte superiore a tutte le altre. […] Naturalmente non è vero”.

 

Non è vero, ma Giorgia Meloni e i suoi camerati di Colle Oppio, invece, avrebbero fatto bene a presenziare, e ascoltare Giuliano Amato parlare, con l’amico “Beppe” dell’importanza della rete di relazioni trasversali, del potere che in Italia si crea “in orizzontale”, e soprattutto del compromesso tra posizioni diverse, anche opposte (il “Dottor Sottile” ha ricordato la difficoltà nel conciliare i differenti approcci al tema del suicidio assistito, alla Corte Costituzionale).

 

giuseppe de rita francesco rutelli gianni letta

Avrebbero potuto imparare qualcosa dalla prolusione di Gianni Letta, che De Rita definisce il “principe degli oligarchi”, e che a 89 anni si è alzato in piedi per rendere merito a De Rita per l’importanza del Censis e delle considerazioni generali, entrate a far parte della storia del Paese, e citare a memoria un passaggio di “pagina 96”, scatenando lo stupore e l’ammirazione del pubblico di teste canute.

 

“Il Pos? Qui non c’è campo, è un palazzo medievale”, scherzava il libraio che all’ingresso vendeva i volumi. L’impedimento all’uso dello smartphone rende ancora più “carbonara” la situazione.

 

andrea monorchio gitte andersen

Non si parla direttamente della Meloni, della marcia dei post-missini su Palazzo Chigi, ma tra le mura affrescate aleggia una specie di revanscismo della classe dirigente.

 

E tutto il libro di De Rita (che cita Meloni solo una volta, di sfuggita, a pag. 146) sembra un messaggio rivolto a chi pensa di poter governare solo contro tutti, e contro il potere romano.

 

Un passaggio del libro brilla sugli altri: “L’oligarca ha un tessuto di potere che non dipende da un mandato verticale che cala dall'alto: quello è il gerarca, il cui potere finisce quando cade il suo dante causa”. La Ducetta, ormai in perenne modalità “fascio tutto io”, è avvisata…

 

2. IL RUOLO DELL’OLIGARCA

Estratti da “Oligarca per caso. Il racconto della vita di un italiano alla ricerca degli italiani”, di Giuseppe De Rita (con Lorenzo Salvia), ed. Solferino

 

giuliano amato giuseppe de rita

Oggi, se dici oligarca, pensi subito ai russi che si erano comprati mezzo campionato inglese di calcio e che adesso hanno lo yacht «congelato» in Europa per le sanzioni dopo l'attacco all'Ucraina.

 

Ma invece l'oligarca può avere un ruolo positivo, anzi fondamentale in una società disordinata e frammentata come quella moderna.

 

L’oligarca ha un tessuto di potere che non dipende da un mandato verticale che cala dall'alto: quello è il gerarca, il cui potere finisce quando cade il suo dante causa.

 

lorenzo salvia paolo conti

Il potere dell'oligarca sta nella capacità di tessere rapporti in linea orizzontale con quelle cento-duecento persone che in un sistema complesso possono sì regolare singole materie ma hanno sempre il bisogno di confrontarsi con gli altri.  È uno schema con una lunga storia alle spalle e che ancora oggi ha la sua validità.

 

[….]

 

Oggi l'Italia non ha oligarchia: non c'è oligarchia nel sindacato, nel governo, nello Stato. Cioè manca proprio quella fascia medio-alta che, per molti versi, era stata costruita o dalla grande industria o dalla burocrazia romana.

 

gitte andersen andrea monorchio

Oggi non c'è più nessuna delle due cose e se ne vedono le conseguenze; mentre tutti dimenticano che è proprio l'Italia moderna nel suo complesso a essere nata grazie a un'operazione oligarchica.

 

La prima grande oligarchia nasce durante il fascismo con Alberto Beneduce. Lui non era un uomo del regime, anche se pare si desse del tu con Mussolini. Ma organizzava gruppi di lavoro, ricerche collettive, fece della Banca commerciale un posto strategico, anche se era piena di antifascisti. Essenzialmente metteva le persone in connessione fra loro.

 

andrea monda antonio spadaro (2)

A lui erano legati quelli che hanno poi rifatto l'Italia dopo il 1945: Sergio Paronetto, Donato

Menichella, Pasquale Saraceno, Raffaele Mattioli, Guido Carli.

 

Da lì nascono la nuova Banca d'Italia, l'Iri, un po' anche l'Eni. Beneduce è stato forse il primo degli oligarchi italiani. Mussolini gli preferì i gerarchetti, cioè quelli che obbedivano al capo senza discutere e senza una rete orizzontale di rapporti. E non a caso gli andò male.

innocenzo cipolletta

 

[…]

 

Purtroppo la politica recente di oligarchi ne ha avuti pochi. Chi governa, ma anche chi è all'opposizione, è orgogliosamente convinto che la politica sia un'arte superiore a tutte le altre.

 

Se sei un politico, capisci tutto e quindi puoi decidere tutto. Hai un'investitura in più. Naturalmente non è vero, perché magari l'investitura ti viene da qualche voto in più raccolto ai gazebo che ti porta a guidare un partito e poi a fare sfracelli.

 

Però, come diceva De Mita, la politica dà un'investitura piena e questo rende incapace chi la pratica di accorgersi dei propri limiti.

 

De Mita, ad esempio, aveva grandissimi limiti ma al suo fianco c'era Riccardo Misasi, il capo della segreteria politica, che aveva rapporti con tutti ed era un vero oligarca. Senza di lui De Mita non sarebbe andato da nessuna parte.

 

GIANNI LETTA BERLUSCONI

Lo stesso Silvio Berlusconi non è mai stato un oligarca, ma aveva Gianni Letta che forse è il principe degli oligarchi. Mentre Aldo Moro era un grande personaggio ma non è stato un vero oligarca; si confrontava spesso con Vincenzo Milazzo, che pure era stato ragioniere generale dello Stato, ma non era il suo braccio destro oligarchico.

 

Un po’ come Gennaro Acquaviva per Bettino Craxi. Non aveva il potere di Misasi e Letta. Era un collaboratore fidato, un grande caposegreteria ma poi Craxi decideva tutto da solo e non ne discuteva con nessuno. Chi invece aveva un ottimo senso dell'oligarchia è Romano Prodi, oligarca nato e quindi naturalmente portato agli atteggiamenti e ai comportamenti giusti.

 

bettino craxi gennaro acquaviva.

Anche Mario Draghi lo è ma si è dimostrato troppo sicuro di sé, convinto di non aver bisogno di appoggi. Il suo standing non è in discussione, come la sua preparazione: è stato un bravo governatore della Banca d'Italia, un ottimo presidente della Banca centrale europea.

 

Ma non si è reso conto che, all'esterno, gli oligarchi sono sospettati delle peggiori infamie e quindi non possono fare i solisti, devono farsi sostenere. Per questo si è giocato il Quirinale.

 

Anche Enrico Letta poteva essere un ottimo oligarca: ha l'intelligenza giusta, la cultura giusta, la capacità di legare le persone fra loro. Ma non gli è mai interessato davvero. Un altro buon oligarca è Giulio Tremonti, ma non è riuscito a sfruttare questa dote se non come presidente dell'Aspen Italia dove effettivamente ha costituito una buona casa delle oligarchie.  

 

gianni letta paolo baratta giuliano amato giuseppe de rita lorenzo salvia

Persona di grande cultura e intelligenza, ma il suo meccanismo di fondo è sempre lo stesso: troppa fretta, troppa insistenza. L'oligarca deve saper aspettare. lo, però, posso solo ringraziarlo: mi ha nominato presidente onorario dell'Aspen insieme a Giuliano Amaro, Gianni Letta e Carlo Scognamiglio.

 

Quando è arrivata la nomina gli ho telefonato per dirgli che si sbagliava. «Parlo male l'inglese, non volo negli Stati Uniti, non ho cultura americana econometrica, non ho mai pensato di vincere il premio Nobel perché non sono di Berkeley ma semmai di Prato. Scegliendo me dai un senso di provincializzazione dell'Aspen».

 

giuliano amato andrea monorchio

Lui ha tenuto il punto, gentile e anche affettuoso: «L'ho fatto con convinzione non solo per la stima che ho nei tuoi confronti ma anche perché credo che l'Aspen abbia bisogno di avere al suo interno mondi diversi».

 

Una visione oligarchica, appunto. Oggi tutti i politici sono troppo affezionati alla dialettica fra di loro per lasciare spazio ad altre cose nella loro agenda e nella loro mente.

 

Sono convinto che se chiedessi di andare a parlare con uno qualsiasi degli attuali ministri sarei ricevuto solo per puro spirito di cortesia. Ma se mi mettessi a fare un discorso di analisi, di contenuto, non mi ascolterebbero nemmeno.

 

giuseppe de rita giuliano amato

Non c'è solo paura ma addirittura ripulsa verso l'analisi della realtà e chi la rappresenta. E questo perché ormai fare politica significa solo inseguire l'hashtag dell'altro, è una sociometria tutta interna al sistema.

 

L'unica cosa esterna che entra in gioco è l'opinione, ma solo perché può creare un'onda a tuo favore.

 

Quindi il talk show non lo puoi snobbare e ci mandi uno importante dei tuoi, ogni tanto ci vuole una lettera a un direttore di un quotidiano, i social li devi presidiare e avanti così.

 

Ma è un meccanismo che non ha punti di contatto con l'esterno e alla fine i politici pensano che la realtà sia quel sistema chiuso dentro il quale stanno nuotando.

 

andrea monda (2)

«Che fregatura mi sta dando Conte? Che fregatura posso dare a Salvini?» Insomma, «famo a fregasse», come si dice a Roma.

 

francesco rutelli paolo baratta

Per carità, come mi hanno insegnato i ragazzi dell'alberata, essere esperti del famo a fregasse è fondamentale per riuscire a sopravvivere. Ma non può essere quello l'unico orizzonte. L'oligarca lo sa, i piccoli gerarchi no. […]

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giuliano amato (2)

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