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    CAIRO SCENDE IN CAMPO, CAIRO RISANA, CAIRO È IL NUOVO BERLUSCONI. CAIRO È L’UOMO DEL MOMENTO. CON I ROTOCALCHI. COL CORRIERE DELLA SERA. CON LA7. COL TORINO. TUTTI A DOMANDARSI COSA FARÀ, DOVE ANDRÀ, QUESTO IMPRENDITORE CHE RIVENDICA D'ESSERE L'UNICO A ESSERE STATO CACCIATO DA BERLUSCONI ("CONSERVO LA LETTERA")


     
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    Michele Masneri per ‘Il Foglio’

     

    Cairo scende in campo, Cairo risana, Cairo è il nuovo Berlusconi. Urbano Cairo è l’uomo del momento da parecchi anni. Con i rotocalchi. Col Corriere della Sera. Con La7. Col Torino. Tutti a domandarsi cosa farà, dove andrà, questo imprenditore di massimo successo che non inventa niente ma compra pezzi di italianità decotta, li pota, li innesta, ne tira fuori dei fiori rigogliosi pop dal terriccio dei risparmi di bilancio.

     

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    Scenderà mica in campo? Ha appena compiuto 60 anni, e giovedì scorso è stato fatto perfino cavaliere del lavoro dal presidente della Repubblica (esattamente quarant’anni dopo Berlusconi). Abbiamo dunque un nuovo Cav., seppure in versione low cost? Rispetto all’originale gli mancano vent’anni, le assicurazioni, gli immobili, poi c’è (quasi) tutto.

     

    Mentre l' Italia rivive il fotoromanzo degli anni Ottanta con il proporzionale, la vita di Cairo è un' idea di Stefano Accorsi.

     

    "E se il vero erede del Cav., in fondo, fosse proprio lui?", si è chiesto il direttore di questo giornale. La tv, i giornali, la squadra di calcio, un certo vellicare le forze antisistema (all' epoca di Berlusconi i leghisti e le procure, oggi i grillini a cui andrebbero un po' di simpatie cairote soprattutto televisive). E poi, ha scritto Claudio Cerasa, Cairo testa la sua popolarità con dei sondaggi.

     

    Ogni tre mesi. E' pronto dunque? Chiamiamolo.

    Ci forniscono contatto WhatsApp (il nuovo Cav. è moderno). Quando la possiamo disturbare? Son quasi le dieci di sera. "Chiami tra cinque" (senza precisare minuti, alla milanese). Come profilo ha una foto al Giro d' Italia: "Sto girando tanto, cosa c' è di meglio del Giro per conoscere il paese?", questa parrebbe già una risposta alla fatidica domanda, pare Mark Zuckerberg che percorre l' America in lungo e in largo fendendo le folle e posando sul trattore, con l' asino e il cavallo ed è un altro che dice "ma assolutamente no, ma figuriamoci", vuole capire anche lui la pancia del paese (ma che avrà di così interessante questa pancia, non si sa). Il nuovo Cav. però è di Alessandria.

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    La voce (di Cairo) fa comunque impressione, stirata e come estremizzata dalla lontananza intercontinentale - siamo in America, con nove ore di fuso. Forse è solo suggestione, ma pare di parlare proprio con Berlusconi, la voce è solo un po' più alta, però stessa freschezza da marketing e sole in tasca, ma con un accenno di erre arrotata agnelliana e le "e" molto aperte, dice errecièsse, cerca vocaboli precisi, di una precisione un po' catastale. "Ma no, ma come faccio" (dice faaciuu), "sono ancora in ufficio a quest' ora" (sono appunto le dieci di sera), "sono oberato". "Ci ho un'azienda, composita". Composita.

     

    In un certo senso Cairo è più antico di Berlusconi, antropologicamente pare un italiano più arcaico. E' borghese, mentre Berlusconi è punk.

    Non ci viene altra definizione per definirlo. Ce n' è una meglio, l'abbiamo sulla punta della lingua ma non ci viene. Andiamo avanti.

     

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    "Più che lavorare cento ore la settimana non ce la faccio, c' è un limite fisico!", dice al telefono il nuovo Cav., fiero delle ore lavorate come un trofeo, come solo un milanese, seppur di Alessandria. Cairo non scende dunque in campo perché non ha tempo; smentita pochissimo convincente ("ora no, ma la prossima legislatura chissà", ci racconta un manager vicino all' editore).

     

    Oggi accusato di simpatie grilline, Cairo nasce democristiano, o meglio filogovernativo, ha votato Dc, mai Msi o Lega, Forza Italia nel '94, la sinistra non si sa quando, pure Pannella. Non è rimasto molto: dunque perfetto per i tempi futuri del post: come il Cav. cavalcò all' epoca i movimenti belluini del proto-leghismo e delle destre, oggi Cairo titilla forse machiavellicamente le varie pance grilline come pars destruens, per poi arrivare alla solita questione che il vuoto in politica non è ammesso.

     

    Se tutti sono ladri, e se persino i grillini saranno unfit to lead Italy, basterà azzerare gli orologi e eleggere un bravo imprenditore, un Cav. 2.0, non quello sfavillante con gli elicotteri di vent' anni fa ma il suo seguace, quello taglia -costi e sparagnino, perfettamente dunque ton sur ton con i beati anni del castigo di oggi. E se le televisioni berlusconiane negli anni Novanta inneggiavano manzonianamente alle folle, oggi certo La 7 nel suo piccolo, e soprattutto il Corriere, hanno titillato la rabbia e l' orgoglio col duo Rizzo -Stella.

     

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    Ma questo cognome di dove viene? Sarà mica di Cairo Montenotte? "Montenotte? Ma no, siamo di un piccolo paese, si chiama Abbazia di Masio; in provincia di Alessandria". Indagine sul territorio di Davide Piacenza, Rivista Studio. "Nel centro storico di Masio, un paesino da 1.500 abitanti sulle colline che dividono la provincia di Alessandria da quella di Asti, dal XIII secolo sorge un torrione alto una trentina di metri, dalla cui cima nelle giornate di cielo terso si può guardare tutta la valle del Tanaro".

     

    "Le persone di qui aderiscono piacevolmente allo stereotipo dell' introversa cortesia piemontese, parlano quanto basta, badano al lavoro, forse alle cose semplici, di sicuro a quelle pratiche. Le stradine sono una serie ininterrotta di piccole aziende, cascine, luoghi di ritrovo con nomi d' altri tempi (la Casa del popolo, ad esempio), villette, giardini più o meno curati, trattorie, cortili".

     

    Ma molti tratti del suo carattere sono rimasti indelebilmente legati a queste colline: 'E' ancora una persona semplice', racconta a Studio un suo conoscente, un piccolo imprenditore della zona, 'da giovani eravamo amici e poi, dopo anni in cui ci eravamo allontanati, una sera di qualche anno fa ho pensato di portargli una vecchia foto'. Racconta di essere stato accolto in casa sua con grande affetto e affabilità, 'come se non ci fossimo mai persi di vista: quella volta ha mostrato la fotografia a tutti i suoi ospiti, ero senza parole'".

     

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    L' affabilità è ricorrente nel Bildungsroman cairota.

    "Lo incontro in corso Magenta, saluta sempre", dice un conoscente milanese. "Non se la tira per niente", un' amica. Una mamma fondamentale, Maria Giulia Castelli, insegnante nata a Milano (alla cui memoria è intitolato un trofeo di calcio giovanile che si gioca nelle vicinanze) è un altro tassello del romanzo di formazione di Cairo, con misteriose versioni sul tifo; si dice che tifasse Inter ma l' agiografia la vuole granata, sul tifo materno si apre una questione misteriosa, forse centrale nel personaggio, come quella del licenziamento da parte di Berlusconi.

     

    "Mio papà è stato rappresentante di mobili, ha lavorato per tanti anni per una ditta che produceva ingressi, salotti, tinelli, era un grande venditore, io mi sono ispirato a lui" ci dice Cairo in questa telefonata notturna. E' dunque passato dall' essere grande venditore all' essere grande tagliatore. C' è differenza. "Io non sono un tagliatore di persone".

     

    Protesta. "Non ho mai licenziato nessuno. Sono un efficientatore". Il mito della non licenziabilità fa pure parte del pantheon berlusconiano milanese, pur cozzando curiosamente con quell' altro mito industriale del "in Italia non si può mai licenziare nessuno". Cairo però ci tiene a precisare sull' argomento. "Non ho mai licenziato nessuno neanche alla Giorgio Mondadori". Giorgio Mondadori per noi è un capitolo importante, va spiegato.

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    Piccolo impero tascabile, impero multiforme di laica curiosità tipografica. Giorgio Mondadori a partire dal logo concettuale produceva le riviste che si trovavano negli anni Novanta nelle case dei notai e negli studi dei dentisti: Airone, Bell' Italia, Ad, Gardenia, giornali aristocratico -riflessivi. Giorgio Mondadori, sconosciuto ai più, figlio di Arnoldo e fratello di Alberto, fu presidente della casa editrice Mondadori Editore dal 1968 al 1976.

     

    Commissionò all' archistar Oscar Niemeyer il palazzetto sull' acqua di Segrate, comprò l'Hellas Verona (che portò in serie A proprio come Cairo col Toro). Giorgio Mondadori insieme alle rivistine da coffee table e il soft -core stampava anche Playboy.

    Sul corpaccione multiforme della Giorgio Monda dori, Cairo ha impiantato la corazzata pop dei suoi magazine che con la loro estetica rossa e oro da gratta e vinci celebrano la festa delle poche edicole rimaste.

     

    DiPiù e DiPiù Tv, dirette da Sandro Mayer, Diva e donna, diretto da Silvana Giacobini. Sfracelli di copie, i magazine sono il core business identitario di Cairo.

    Abbiamo un' illuminazione: è dunque Giorgio Monda dori il role model, l' ispiratore. L' alto e il basso, e la squadretta di calcio. A giugno contemporaneamente Cairo pubblica Antiquariato con un articolo sulle porcellane di Ginori e Giallo, col faccione di Alberto Stasi in copertina.

     

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    "No guardi, no no", la voce sale di tono, diventa squillante di entusiasmo. Il mio vero modello", dice Cairo, "è Angelo Rizzoli, il cumenda". Come non pensarci prima. Anche Rizzoli fece i soldi comprando riviste appannate da Mondadori e rilanciandole: esattamente novant' anni fa, nel 1927, comprò per 40.000 lire Il Secolo Illustrato, settimanale illustrato del quotidiano Il Secolo, La Donna, primo periodico femminile nella storia editoriale italiana, Comoedia e Novella.

     

    Cairo non è dunque il nuovo Cav. bensì il cumenda 2.0, e come il suo progenitore il rappresentante di una borghesia del nord estinta, ruspante e poi pacificata, amante del sud, della signora e del rotocalco? Presi dall' eccitazione di questa scoperta dimentichiamo che Cairo è uomo di leggendaria scaramanzia.

     

    Si siede solo in certe poltroncine allo stadio, sull' aereo in un posto invece che in un altro, ha tutti dei suoi riti. E diciamo: ah, Angelo Rizzoli, c' è ancora la sua statua a Crescenzago, alla Rizzoli periodici. "Bravissimo!" di ce Cairo, "mi sono anche fatto una foto vicino a lui, il primo giorno dopo l' Opa, sono andato lì e mi son fatto la foto, poi l' abbiamo pubblicata su Dipiù". Per qualche strano motivo diciamo, convinti: "Ah, non l' ha sostituita con la sua, la statua?". Momento di silenzio. Cairo: "ma cosa dice? (pausa) Voglio dire... io sono ancora... vivente!".

     

    Veniamo padronalmente perdonati, e continuiamo sul cumenda ispiratore. "Ho letto un bellissimo libro scritto da Alberto Mazzuca, si chiama La Erre verde, racconta la storia di Rizzoli dagli inizi, da quando era un martinitt a quando è diventato un editore importante, uomo di cinema, poi il Milan, anche se quello lo prese il figlio Andrea, che era poi quello che prese anche il Corriere". "Dai libri che ho letto su Rizzoli ho preso delle idee poi per la mia attività".

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    Per esempio? "Beh per esempio che se tu non hai un bravo direttore anche se hai un'idea di giornale fantastica è meglio che non lo fai. Questa è una pietra miliare. Non conta l' idea ma conta il direttore". "E' una cosa importantissima, fondamentale. Un' altra idea sono gli incentivi ai direttori. Lui prese Edilio Rusconi e lo mise a direttore di Oggi e gli fece un contratto che oltre un certo numero di vendite gli dava, mettiamo, una lira. Il giornale esplose e cominciò a vendere più di un milione di copie, Rusconi diventò ricco, fondò Gente e la sua casa editrice, la Rusconi.

     

    Allora io ho fatto una cosa simile col mio direttore di Dipiù Sandro Mayer, a cui ho dato una royalty, e lui è diventato molto benestante!".

     

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    La Giorgio Mondadori è importante perché mette alla prova i tagli non lineari di Cairo. "Quando l' ho comprata, dalle carte risultava che perdeva 3 miliardi di lire l' anno, poi quando sono entrato ho scoperto che ne perdeva dieci di miliardi. Ho dovuto ingegnarmi per contenere i costi ma non ho mandato via nessuno, anche se dei 140 dipendenti molti dicevano che dovevo licenziarne la metà. Io ho tenuto tutti e anzi poi coi nostri nuovi settimanali abbiamo assunto 120 persone" ci dice adesso orgoglioso. Come Berlusconi, che non licenzia mai nessuno? Macché: Cairo rivendica d' essere l'unico a essere stato cacciato dal Cav.

     

    "Sono la prova vivente che non è vero quello che dice Berlusconi" ha detto a Salvatore Merlo su questo giornale. "Conservo ancora la lettera con la quale fui buttato fuori dal gruppo" . Sui licenziamenti siamo al cuore della questione, incrociamo le verità, le post verità e perchè no gli alternative facts: Berlusconi anni fa mi chiese: "Ma perché nelle interviste continui a dire che ti ho licenziato?'. E io: 'Perché è vero'". E qui Cairo ride di gusto. "Vede, Berlusconi ha un rapporto molto sbarazzino con la verità".

     

    URBANO CAIRO CON CORRIERE DELLA SERA URBANO CAIRO CON CORRIERE DELLA SERA

    Cairo dunque è un berlusconiano sincero, se non un sincero berlusconiano. Lui davvero non licenzia nessuno. Anche i giornalisti del Corriere, interpellati, devono ammetterlo. "Alla fine lo rispettiamo. Non caccia nessuno e non taglia gli stipendi", ci dice un glorioso inviato. Anche a La7. "Perdeva cento milioni all' anno. Mentre studiavo i bilanci, un giorno, sono stato folgorato da un pensiero. Mi stavo lavando le mani in bagno, ho guardato l' orologio e ho pensato: è passato un minuto. Ecco, ho perso mille euro", ha detto sempre a Merlo. Cairo però non taglia in modo interurbano (scusate la battuta); è un chirurgo, non usa la mannaia ma il bisturi, è il Fontana (inteso come l' artista spazialista, non il direttore del Corriere) dei bilanci.

     

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    "Non capisco i prepensionamenti, spesso i sessantenni sono meglio dei ventenni", ha detto. E' per i tagli non convenzionali. E' soprattutto esperto di sprechi, aggredisce le cartilagini tra le pieghe dei bilanci. E' temutissimo dai tassisti. Leggendari gli sforbicia menti sulle auto. A La7 si spendevano cinquecentomila euro l' anno di taxi. "Sarà un problema per la categoria dei tassisti a Roma, ma noi risparmieremo", ha detto. Cairo, lei è peggio di Uber. Un Tar del Lazio la sospenderà.

     

    "Ma no, vede", ci dice, "quelli sui taxi sono tagli che colpiscono molto la fantasia. Ci sono altri che colpiscono meno ma sono più importanti, come per esempio le troupe, i viaggi. Le troupe non è che le riduciamo, ma efficientiamo. I viaggi...".

     

    Sui viaggi raccogliamo l' esperienza sul campo di un inviato del Corriere stravolto appena sceso dall' aereo a Londra. "E' la prima trasferta dell' era Cairo, scendo e vado verso il rent a car, per prendere la macchina a noleggio che era stata riservata dall' azienda, supero Hertz, tutte le grosse, sempre più lontano, alla fine era una low cost sconosciuta, in un altro terminal, pioveva, mi son bagnato tutto".

     

    Tra i risparmi che lo ossessionano, oltre il 3570 anche quelli sugli immobili: a Roma è rimasto scioccato dalla scarsa densità degli uffici dell' emittente - altro aneddoto, lui che chiama un' assistente dicendo che mancano i periodici della Cairo nella sala d' attesa (come Berlusconi che vuole il suo Chi nei salottini di palazzo Grazioli); poi scende di piano in piano e constata la metratura deserta, richiama l' assistente "non li mandi più, qui chiudiamo tutto".

    urbano cairo ops la redazione di sandro mayer urbano cairo ops la redazione di sandro mayer

     

    Cairo stesso racconta poi sovente d' essere sorpreso dagli uscieri, mentre scartabella conti e bilanci la sera tardi, e gli spengono la luce. E' stato contrario alla vendita della sede del Corriere a via Solferino, venduta ai minimi e riaffittata ai massimi. A Roma sta facendo economia tra le varie sedi della società. Non ha la passione per l' immobile, è chiaro: e anche in questo c' è una differenza col Cav.

     

    Non si appassiona alle case. Ne ha una a Milano, in zona Magenta, e una al mare al Forte, ma niente di più. A Roma, quando scende, scende al Majestic, raffinato hotel vecchiotto proprio in faccia al ministero dello Sviluppo economico. E' un hotel curioso, il Majestic, una scelta non scontata: dotato di terrazza ariosa ma non panoramica (se non sulle stanze di Calenda), di ottimo ristorante, estetica lussuosa ma non da emirati, decadenza molto controllata. E' un posto romano ma milanese (per anni il ristorante è stato il regno di Filippo La Mantia, chef à femmes che ha poi traslocato a Milano a piazza Risorgimento).

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    Come i cumenda sensibili, del resto, come Berlusconi (e al contrario di Renzi) Cairo non disprezza Roma, ne è anzi attratto e incuriosito. Pure dai suoi salotti e dalle mondanità: non sfrenate, per carità, con juicio, e possibilmente da asporto. Però nessuna chiusura. Non trova Roma "triste, umida, antilavorativa", come dice uno dei meglio cumenda della commedia all' italiana, il Bibi al genero Vittorio Gassman nel Sorpasso. Anzi "è curioso, si fa portare, viene volentieri a cena, non è malmostoso", dice un' amica.

     

    Per la socializzazione a Roma può contare su due anfitrione bionde, che lo scortano da sole o in coppia, la bionda-eterea Raffaella Mangini della Cairo Communication e la power-milf Melania Rizzoli, vedova di Angelone (e tutto torna, nella cavalcata rizzoliana di Cairo), medico, ex deputata di Forza Italia, tenutaria di salotto nella Non si appassiona alle case. Ne ha una a Milano e una al mare al Forte, ma niente di più.

     

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    "Se lo inviti a cena, non arriva mai prima delle undici, perché prima lavora". Le amicizie: "Il tempo è poco. Lunedì avrei una riunione di ex allievi della Bocconi e mi sa che non riuscirò ad andare. Alla fine gli amici sono quelli con cui lavori" piazza del Collegio romano con speciali scansie per le mille varianti coloristiche delle sue borse Kelly, affidabile signora che unisce Seconda e Terza repubblica, tutti i colori dei salotti romani.

     

    Rizzoli ha raccontato ad Andrea Malaguti sulla Stampa di una passeggiata milanese con Cairo, passeggiata in cui "lo fermano ogni quindici metri, gli chiedono di Be lotti, il centravanti del Toro, e della tv. Questo è potere".

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    Qualcuno racconta anche che a fermarlo non siano solo giovinotti interessati al pallone ma anche giustamente ragazze eccitate dalla possibilità della tivvù, tivvù riflessiva come La7, dove tutti oggi vogliono andare, tivvù che piace alla gente che piace.

     

    Pure a Urbano piace piacere, è verticalmente svantaggiato e non indifferente al fascino femminile (ricorda qualcuno?), né immune a un narcisismo ormai virale: "Cambia la sua immagine di profilo WhatsApp tre volte alla settimana, si guarda allo specchio, si apprezza", confida un' amica al Foglio. "Adesso va pure in palestra, sta a dieta, e poi il potere come sempre diventa afrodisiaco e rinforza pure il sistema immunitario, è diventato una roccia", sempre un' amica antropologa.

     

    "Se lo inviti a cena, non arriva mai prima delle undici, perché prima lavora, lavora", ci dicono. O quanto lavorerà mai, Cairo? "Le ore non si possono fabbricare, c' è un limite fisico", ci dice lui, appunto. "Giusto una settimana di vacanza a Forte dei Marmi", dice l' amica. "Anzi no, che dico, sei giorni, anzi cinque". Poi tutta la mitologia, i custodi che spengono la luce nei suoi uffici mentre lui è accucciato a studiare costi da tagliare (e ci si immagina che proferisca un berlusconiano "cribbio!").

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    "Parla di numeri ma non ti ammorba. E' ironico". Sincero, anche: "Mi piace l' adulazione, se fatta con ironia". "O gli piaci o non gli piaci. Se non gli piaci al primo colpo non recupererai mai". "Odia il piangersi addosso e i lamenti". "Fa gli un po' di complimenti che gli piace", consigliano.

     

    Cairo non ha tempo per la politica ma neanche per le amicizie: "Lavorando tanto, avendo una famiglia, avendo i figli, il tempo disponibile è poco", ci dice. "Adesso per dire lunedì avrei una riunione di ex allievi della Bocconi e mi sa che non riuscirò ad andare, è già la seconda volta. Alla fine gli amici sono quelli con cui lavori. Mi ha richiamato recentemente un vecchio amico che anche lui compiva 60 anni, è un mese che proviamo a vederci ma niente". A Milano Cairo vede spesso Gaetano Micciché, numero uno di Banca Imi e dg di Intesa, e regista finanziario della conquista cairota del Corriere; li si può trovare spesso insieme al baretto di via Senato.

     

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    Ama soprattutto la famiglia: ne ha avute tre. La prima con Anna Cataldi, la Giulia Manzoni della stampa italiana (compagna di Carlo Caracciolo, mamma di Jacaranda Caracciolo azionista dell' Espresso, scrittrice, giornalista). Si sposano nel 1988, lei ha 49 anni, lui 31. Dopo il primo (e unico) matrimonio, araldico-editoriale, c' è l' unione con la modella svedese Ove K. Hornelius (da cui ha avuto una figlia, Cristina, che è rimasta a vivere con lui quando Hornelius è tornata, velocemente, in Svezia. Hornelius oggi ha fondato uno studio di grafica e design web a Stoccolma).

     

    Cristina si muove tra Milano e Stoccolma, è legatissima al padre, su Instagram si fotografa con lui allo stadio e precisa: "Complicità unica". La compagna attuale è invece Mali Pelandini, "di buona famiglia, signora discreta, ex dipendente di Cairo, si occupa principalmente dei loro tre figli che vanno a scuola vicino casa, al liceo San Carlo a Milano", dice un raro amico.

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    Però è giunto il momento, inutile girarci intorno, lo vogliamo affrontare o no questo problema Berlusconi? Cav. 1 e Cav. 2?

     

     (In realtà sulla questione cavalleresca di Berlusconi permane tuttavia un mistero: si dimise infatti dalla federazione dei Cavalieri del Lavoro nel 2014, ma tecnicamente non è stato revocato dal ministro competente, dunque è ancora in carica. Rimane comunque Cavaliere di Gran Croce di merito con Placca d' oro del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio; Cavaliere di Prima Classe dell' Ordine della Stara Planina, onorificenza ricevuta in Bulgaria nel 2009; Cavaliere di Gran Croce dell' Ordine Reale Norvegese al Merito, di Gran Croce dell' Ordine della Stella di Romania, a Bucarest nel 2002; Cavaliere dell' Ordine Piano, benemerenza ricevuta in Vaticano).

     

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    Affrontiamolo. Il Cavaliere Cairo ha compiuto sessant' anni il 21 maggio. Berlusconi l' ha chiamata? "No". "Dopo quattordici anni di lavoro insieme, per vent' anni ci siamo telefonati poco. Ultimamente mi è capitato di sentirlo". "Per me è stato un maestro... che poi non è che mi ha proprio insegnato... da assistente avevo la fortuna di vederlo operare, ecco". Litigavate mai?

     

    "Ma no, litigare no, non era il caso". Era dura fare l'assistente di Berlusconi? "No, era bello. Era divertente. Soprattutto in quegli anni, erano i primi anni Ottanta a Milano, era eccitante". Uscivate insieme? Un vecchio dirigente di Publitalia ci ha raccontato di un Urbano Cairo trentenne in pista al Nepentha, circondato di ragazze. "Questo quando finivo, certo, avevo una vita, comunque con amici miei, non con il Dottore" (nel duplice appellativo, Cav. per gli italiani, Dottore per i dipendenti, c' è un pezzo di storia d' Italia).

    enrico mentana premiato da urbano cairo enrico mentana premiato da urbano cairo

     

    Il romanzo del giovane Cairo alla conquista della Milano da bere. Il giovane piemontese di belle speranze alla Bocconi, come diceva con accento calabrese Sergio Vastano al "Drive In". La storia dell' avvicinamento a Berlusconi è un piccolo culto. Chiama la segreteria del Cav., e dice: "Sono uno studente della Bocconi, vorrei parlare col Dottore", e alla segretaria che ovviamente non glielo passa: "Guardi signora che se non me lo passa, lei gli provoca un grave danno, ho due idee per il Dottore".

     

    Il Dottore poi lo riceverà, con pre-screening da parte di Marcello Dell' Utri. La famosa telefonata al fisso 8880 prefisso 02 (Eidlnord) era stata fatta da casa dei nonni. Il pitch era: ho due idee pazzesche per Berlusconi. Una volta al cospetto del Dottore, questo risponderà: "Le ho già avute anche io". Però i due si piacciono, il giovane Cairo va a lavorare come assistente personale. Zero lire per i primi sei mesi, poi un milione lordo.

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    La fatale telefonata è la sliding door.

     

    "Dopo la laurea ero andato in America a fare uno scambio con la Bocconi" racconta al Foglio. "Sei mesi alla New York University. Ho fatto lì un semestre tra il '79 e l' 80. Prima sono andato qualche mese in California, a Los Angeles, a migliorare un po' l' inglese che non era perfetto. Poi da settembre alla Nyu. Vivevo in questo pensionato che si chiamava Rubin Hall, tra la decima e la quinta, era una cosa stupenda, ho scoperto la tv commerciale che in Italia non c' era ancora".

     

    Sarà che siamo in America, ma si percepisce un entusiasmo, si lascia trasportare. L' America è stata importante? "Molto. Avrei dovuto poi tornare per fare il master in business administration, ero stato anche già ammesso avendo fatto il test Gmat, poi però ho conosciuto Berlusconi e ho pensato che quello era meglio di un master". Se Berlusconi non l' avesse ricevuta quindi sarebbe tornato?

     

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    "Sì, mi sarebbe piaciuto rimanere a vivere lì, ma poi rimanendo in Italia ho pensato che è meglio, qui c' è... più umanità. Gli americani sono molto efficienti, esigenti, bravi, chapeau. Però l' Italia ha qualcosa... di più (qui la voce ridiventa piatta, paiono dichiarazioni meno sincere, più da politico). E' vero che era compagno di studi di Rodolfo De Benedetti a New York? "No, l' ho conosciuto nel settembre del '79 perché ero diventato amico del figlio di Elserino Piol" (il mitico collaboratore di Olivetti, nda), e quindi ci siamo conosciuti e siamo rimasti in contatto, ogni tanto lo sento, abbiamo buoni rapporti".

     

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    Dopo la telefonata che gli allunga la vita, rapida carriera, vice e poi direttore generale di Publitalia, poi amministratore delegato di Mondadori Pubblicità. Ma c' è un problema: Marcello Dell' Utri. "Sono fatti per non amarsi" ci dice un vecchio dirigente Publitalia. "Due super ambiziosi". "Non ci capivamo. Ma non gli porto rancore. Anzi mi sorprendo e rattristo per le sue vicissitudini giudiziarie", ha detto a Salvatore Merlo. Anche Cairo ne ha avute, di vicissitudini, ma pragmaticamente ha deciso di patteggiare, falso in bilancio, "non significa colpevolezza, significa uscire da una situazione", ha detto a Claudio Sabelli Fioretti. Esce dalla situazione -Berlusconi.

     

    Scazzi, oltre che con Dell' Utri, anche con Franco Tatò, amministratore delegato di Mondadori, altro leggendario tagliatore, ma qui Cairo sottolinea che c' è taglio e taglio: "un' azienda puoi risanarla quanto vuoi. Se non sviluppi i ricavi non vai da nessuna parte. Su questo aspetto Tatò non è bravo per niente» ha detto a Sabelli Fioretti. E poi vuole andare a comandare. "Avevo 38 anni, avrei dovuto farlo cinque anni prima", ci dice. Guardare Berlusconi era insieme eccitante e deprimente.

     

    "Lui a rifare il mondo e io a prendere telefonate. Dopo tre anni mi venne la voglia di provare se ero capace anche io». Parrebbe di sì.

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    Si mette in proprio e parte un' escalation bestiale: prima la sua società, la Cairo Pubblicità (1995), poi appunto la Giorgio Mondadori (1996). Cairo, ma con quali soldi?

    Vogliamo fare un po' di giornalismo alla Peter Gomez. Massonerie? Mafie? Stallieri? "Guardi" ci dice lui al telefono, "ero stato amministratore delegato di una grande azienda, non è che proprio fossi senza un centesimo. Poi aprire una concessionaria di pubblicità non è che costi molto". Berlusconi aveva rivoluzionato il mondo della pubblicità, lei a sua volta ha rivoluzionato quel modello?

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    "Io sono partito occupandomi solo di settimanali, Berlusconi si occupava di televisione. Io sono partito come concessionario di Rizzoli (un nome un destino) che mi aveva dato fiducia perché in Mondadori Pubblicità avevo fatto molto bene ottenendo grandi risultati. Rizzoli che era in crisi nel 1995 scelse me per la pubblicità su IoDonna, Oggi e TvSette, con cinquanta persone concentrate solo su questi tre giornali, in modo da essere molto focalizzati. A loro piacque, andò benissimo, facemmo grandi cose".

     

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    Nel 2000 la quotazione in Borsa. Poi la Cairo Editore nel 2003 ingaggia Sandro Mayer e Silvana Giacobini a Di più e Diva e Donna, abbassa i prezzi a 50 centesimi, fa il botto. Nel 2005 compra la squadra del Torino a un' asta fallimentare, pare su sollecitazione del sindaco Chiamparino. Perché lo fa? Per fare un favore alla città, perché tifosissimo, tutti tifosi in famiglia, la mamma, la nonna, e poi (forse l' unica verità): "Perché essere amati è bellissimo", questo amore in Italia te lo dà solo il calcio.

     

    Naturalmente il Torino da squadra decotta va in A. Pare che il presidente della Repubblica Mattarella si sia complimentato, concedendo l' onorificenza, in quanto tifoso del Toro. Adesso tutti gli chiedono se davvero vuole vendere il fondamentale giocatore Belotti, per risanare i conti della 7 che seppur sfolgorante di programmi e idee (ha preso Andrea Salerno, l' Angelo Guglielmi degli anni Duemilaquindici, l' ideologo di "Gazebo", e l' ha messo a capo della 7 dal primo di giugno) non sfolgora negli ascolti e nella raccolta pubblicitaria.

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    Qui si indigna: "Questa proprio è una cosa assurda, son due cose totalmente scollegate, Belotti è un giocatore del Torino, che è una mia proprietà che possiedo al cento per cento, non collegata a Cairo Communication o La7, sono vasi che non comunicano, due strade che vanno ognuna per conto suo, non esiste, ho mandato anche un sms al giornalista di MF che l' ha scritta". E prenderà Fazio? "Sono solo costruzioni giornalistiche". Se lo dice un editore.

     

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