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Giancarlo Dotto (Rabdoman) per Dagospia
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Roma qualificata, ma che tristezza! Tredici milioni da Champions, ma dentro la cornice dei dollari il vuoto e i fischi. E, dentro il vuoto, la silhouette smisurata del polacco, Scezny, come si pronuncia. Salva due volte la Roma dalla vergogna estrema. Terrorizzati da un pugno di bielorussi in trasferta.
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E pregando fino all’ultimo respiro che a Leverkusen Luis Enrique e con lui la Madonna alias Ter Stegen, portiere del Barca, facciano i romanisti, almeno loro, fino in fondo. Brutta storia da cima a fondo. Questa sera, all’Olimpico, sarebbero serviti anche cani, porci e sorci. E invece solo trentamila gatti. Tifosi de che?
La Sud è cosa nostra, fanno sapere loro, gli assenti hanno più torto che mai. E la Roma di chi è, salvo poi mica poi tanto James Pallotta? La Roma di questi tempi è una figlia di nessuno, senza nemmeno le tette melodrammatiche d’una Yvonne Sanson, gettata in una cava senza fondo, nell’abisso di un rumore che non risparmia nulla, mugugni, fischi, invettive.
Dopo novanta minuti inguardabili anche se li guardi, quei pochi fischiano disgustati. Questo gli riesce bene. Il calcio come fenomeno parareligioso è finito, almeno qui da noi. Sono un esercito di blateranti opinionisti o cocker incazzosi da salotto. Alternativa? La Sud che declama: la Roma sono io, fanculo la Roma!
Insomma, mentre gli americani delirano di un nuovo stadio, sembra che a Roma non ci siano più le condizioni del calcio. Guarda anche il fronte Lazio. Tutti contro tutti. Un ambiente malato, pervaso dal piacere osceno del rivoltolarsi nella melma.
A proposito di delirio. Quando un allenatore declama nel deserto, quando i suoi messaggi dalla panchina al campo sembrano invocazioni manicomiali, per quanto inascoltate, è il segno di una storia che non ha più pagine da raccontare. Urge una scossa violenta. Garcia s’inventi qualcosa di napoleonico o è catastrofe sicura. C’è già stata questa sera, mascherata da una qualificazione più imbarazzante di una bocciatura. Statici, spaventati, incapaci di osare il minimo. Personalità zero. Su tutti, Pjanic e Dzeko, i più attesi, i più invocati, ammalati di mollezza e calligrafia. Meglio mandare la Primavera a Napoli.