dan friedkin
Giancarlo Dotto per il Corriere dello Sport
Gli anni passano, i bimbi crescono, le mamme imbiancano e gli stadi crepano. Che sia Roma o Firenze, l’Olimpico o l’Artemio Franchi, Tor di Valle o Campi Bisenzio, si chiamino James, Dan o Rocco, Marino, Raggi o Nardella, la sostanza dell’incubo non cambia. Cambiano le città, cambiano i soggetti investitori, cambiano i sindaci e le giunte, cambiano le leggi e le delibere, i vincoli e le commissioni, ma l’obiettivo stadio somiglia sempre di più a una spedizione all’inferno. Una vera e propria caverna dantesca, solo entrate e nessuna uscita.
Una gigantesca carta moschicida fatta di burocrazie corporative, interessi singoli, e faide politiche, in un quadro d’instabilità assoluta dove lo smottamento è continuo, la frana alle porte e tu che arrivi dal Massachussets, dal New Jersey o dal Texas, tu che comunque hai portato e versato fiumi di dollari, ti ritrovi trasformato in un Sisifo che rischia il ricovero psichiatrico ogni volta che ricadi a (Tor di) Valle con il tuo grottesco macigno, scambiato con insano ottimismo per la prima pietra del nuovo stadio.
nardella commisso
Sono tante le figure mitologiche che vengono alla mente in questa triste storia, ma quella che più rende l’idea è il labirinto costruito da Dedalo, un intrigo di strade, stanze, gallerie, luminarie, vicoli ciechi, porte che si aprono e si chiudono un secondo dopo. Avrebbe la pretesa di frenare e deviare gli appetiti dei nuovi barbari venuti da oltre Atlantico, il Minotauro di circostanza, salvo poi diventare l’apparato stesso il mostro.
Solo che ad essere sacrificati, in questo caso, non sono fanciulli e vergini sparse, ma le teste degli americani e, con loro, la possibilità di rianimare un volano economico in un sistema calcio vicino al fallimento. Che sia l’approccio morbido e suadente del Baldissoni di turno o quello dirompente di Commisso, al grido di “Voglio distruggere il Franchi”, il risultato non cambia.
Eppur non si muove. Un harakiri disperante e perfetto (ancora più incomprensibile a Firenze dove le conseguenze del Covid sono micidiali, alberghi e ristoranti che chiudono, perdita dell’ottanta per cento del fatturato cittadino).
stadio Artemio Franchi
L’incontro “segreto” e così atteso tra Dan Friedkin e Virginia Raggi è l’ennesima porta girevole che si apre di un film che è passato di mano, dalla leggerezza di un Lubitsch alle grondanti atmosfere horror dell’omonimo di Dan, il William dell’”Esorcista”, dove il demonio in questo caso è la paralisi, il non luogo a procedere. Dan e Virginia s’incontrano otto anni e mezzo dopo la presentazione al sindaco Gianni Alemanno del progetto di uno stadio a Tor di Valle.
raggi
Era il 2012. Due anni dopo, nuovo sindaco, Ignazio Marino, e nuovo giro di giostra. Il progetto viene ufficialmente presentato al Campidoglio, in una sarabanda di sorrisi e pronostici gaudiosi (“prima pietra dello stadio entro il 2020”). Siamo quasi alla fine del 2020 e le pietre di cui si parla sono solo tombali.
ROMA STADIO TOR DI VALLE
A Roma, come a Firenze, le prospettive restano cupe con l’aggravante, nel caso della capitale, di un’incertezza politica che non consente alla Raggi di fornire nessuna garanzia in assenza di una maggioranza certa e di un futuro più incerto che mai. Se “Attila” Rocco strepita un giorno sì e l’altro pure, ogni tanto a sproposito, Dan tace e lavora sotto traccia. Sembra armato di metodo e di pazienza, vediamo se basterà. Di sicuro, senza il via libera del consiglio comunale, la sconfitta sarebbe di tutti e la figuraccia totale. I danni, impossibili da quantificare.
verona roma dan e ryan friedkin dan ryan friedkin STADIO ROMA TOR DI VALLE