Laura Cesaretti per “il Giornale”
calenda
L a citazione più azzeccata la trova Carlo Calenda: il Pd? È come «Il giorno della marmotta», il celeberrimo film in cui la giornata di Bill Murray ricominciava ogni mattina da capo e sempre uguale.
Proprio come accade in casa dem, dove la guerriglia interna ricomincia ogni volta identica a se stessa, anche invertendo i ruoli dei protagonisti. Nella direzione convocata oggi, ufficialmente per fare il punto sull' ennesima tornata elettorale (e anche in Sardegna non è andata benissimo) minaccia di esplodere una polveriera di polemiche. «Tra processi mediatici e scontri personali», dice Andrea Romano, «è stato il peggior fine settimana per il Pd dal voto del 2018». Il segretario Zingaretti promette: «Farò lo sforzo di ricostruire in ogni modo uno spirito unitario». Ma l' impresa non pare facile.
Dopo il caso Lotti i veleni scorrono a fiumi, e investono anche lo scontro sui nuovi organismi nominati da Nicola Zingaretti. «Luca è stato fucilato dal fuoco amico», accusa Giachetti, «si è fatto carico a lui di uno scandalo che riguarda la magistratura». E anche Maria Elena Boschi denuncia «attacchi più interni che esterni» contro Lotti.
fabio fazio carlo calenda
Ma non è solo questo a mettere in fibrillazione le diverse anime del partito: i segnali di una accelerazione verso la rottura della coalizione gialloverde, con il viaggio di Salvini in Usa per chiedere la benedizione trumpiana alla propria premiership, riaccendono i timori di voto anticipato. E la futura formazione delle liste diventa la reale posta in palio. Con una incognita ulteriore: quante saranno le liste che fanno riferimento all' area di centrosinistra?
Sia Carlo Calenda (con la benedizione di Paolo Gentiloni) che Matteo Renzi sono sospettati di voler creare, a ridosso delle prossime elezioni, nuove liste in grado di allargare il campo e attirare centristi, moderati ed ex elettori di Forza Italia spaventati dalla deriva no-euro del salvinismo. Calenda scatenato sui social, fa arrabbiare moltissimi dem: se domenica aveva scritto di «vergognarsi» di aver chiesto voti «per un partito che non sa neppure stare insieme»; ieri l' ex ministro dello Sviluppo ha definito il dibattito interno una «ricreazione all' asilo d' infanzia».
calenda
Ha invocato la costituzione di un «governo ombra» con dentro tutti, incluso Renzi. Poi ha sollecitato il Pd a presentare una interrogazione su Di Maio e la sua gestione del caso Whirpool. «Alle brutte», chiosa, «chiederò a Forza Italia di farlo». Si becca le risposte sarcastiche sia di Mara Carfagna («Carlo, stai sereno») che della dem Chiara Gribaudo («Meno social e più lavoro di squadra»), che gli spiegano di aver già operato in tal senso.
A chi gli chiede se sia sua intenzione dar vita ad una lista alleata ma fuori dal Pd, Calenda risponde che lo farebbe solo in accordo con la leadership Pd. Ma il segretario Zingaretti, pur consapevole della necessità di alleanze, non è esattamente entusiasta di perdere pezzi importanti (e non c' è dubbio che sia Calenda che Renzi siano atout elettorali) alla vigilia del voto. Quindi lancia un appello: «Farò di tutto per rilanciare un confronto in cui tutti possano ritrovarsi».
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E anche l' ex segretario Martina implora: «Vi prego, fermatevi. Fermiamoci. Sui social e non solo. Basta. Ci si parla e ci si confronta con spirito collaborativo se si vuole costruire davvero l' alternativa. E lo si fa nelle sedi giuste. Non così».
CALENDA
Carlo Bertini per “la Stampa”
«Sono furibondo io che sono uno degli eletti, figuriamoci i nostri militanti. Ho detto che mi vergogno di questo partito perché non so come tornare nel collegio dai miei elettori: cosa gli dico? Che siamo stati uniti per un mese solo per le europee?». Così Carlo Calenda si sfoga con gli amici che in queste ore lo interrogano sul suo futuro. Ansiosi di sapere se darà vita ad una sua formazione affiancata al Pd oppure no.
carlo calenda
«Nel Pd non mi paiono particolarmente favorevoli, ho avuto risposte tiepide. Le persone da candidare sono fuori dal Pd e andrebbe fatta un' alleanza larga come quella per le europee. Decidano loro, ma tirino fuori un piano. Hanno altre strategie? Se il mio piano non va bene, ok, ma qualcosa va deciso, ur-gen-te-men-te, perché a settembre si va a votare».
Ecco, in un clima da Guerra dei Roses, in mezzo al frastuono dei petardi sparati in rete dai renziani contro il segretario, c' è chi è arci convinto che le elezioni siano alle porte e che non si possa perdere tempo. Lo è Calenda, che bolla come «sbagliata la segreteria di Zingaretti, se non altro perché mettere a capo delle riforme uno che fu contro il referendum è un segnale di scomunica anche a Gentiloni, che fece la battaglia per il sì: non si capisce il senso».
Il creatore di «Siamo Europei» vorrebbe vedere intorno a un tavolo i big del Pd per varare «un governo ombra guidato dal presidente del partito Gentiloni, impegnato a stanare Di Maio su ogni cosa e con le dieci personalità più forti in grado di parlare al Paese».
MARIA ELENA BOSCHI E LUCA LOTTI
A temere le urne è invece Zingaretti, preoccupato di non avere il tempo necessario per organizzare il suo campo: il segretario Pd vede il viaggio di Salvini negli Stati Uniti come segnale di un rompete le righe: «Se ne va negli Usa a dire che da noi si va a votare: "Sarò il vostro punto di riferimento in Italia" avrà detto agli uomini di Trump», è la convinzione che hanno al Nazareno.
lotti renzi
E ora che il rischio elezioni si fa più concreto, con voci di rottura entro metà luglio, le tensioni tra gli scranni del Pd nei due rami del Parlamento lievitano, perché i renziani sono certi di esser fatti fuori dalle liste elettorali. E vedono come il fumo negli occhi un' apertura di dialogo con i Cinque stelle. Alzano il tiro e sparano sul segretario sperando di intimidirlo, avvertendolo così che rischia di andare al voto con un partito spaccato, se non darà loro garanzie. Ecco la vera posta in gioco: più dei posti al sole nella segreteria che nessuno aveva chiesto, a infiammare gli animi è la prospettiva di posti al sole nelle candidature nei collegi che molti renziani sono certi di perdere. Tanto più ora che Lotti è caduto in un cono d' ombra azzoppando di fatto la corrente Base riformista che raggruppa una settantina di parlamentari renziani.
LUCA LOTTI
Quindi Zingaretti oggi proverà a ricucire la pax interna, «farò uno sforzo per ricostruire uno spirito unitario». Ma è irritato, «perché avevo parlato con Giachetti che mi ha detto di non voler entrare in segreteria, poi con Guerini, che ha detto "Grazie in segreteria no, ma vediamo casomai degli incarichi nei forum tematici". Insomma, tutti sapevano e poi...». Per questo il sospetto dello stato maggiore del Pd è che in un' ottica di voto a breve, «questa dell' ostracismo nei confronti dei renziani può essere una buona scusa se vogliono andarsene. E se invece decidono di restare dentro il Pd, un modo per trattare meglio sui collegi». Ma dopo aver chiesto loro se potevano liberare un posto da capogruppo e aver visto che gli uffici di presidenza dei gruppi «sono rimasti identici, senza cambiare un vice, un tesoriere, niente», Zingaretti ha fatto le sue scelte.
E oggi in Direzione chiederà un voto sulla sua relazione. Uno dei convitati di pietra, oltre a Matteo Renzi, sarà Carlo Calenda, oggetto degli strali renziani.
«Sono a Bruxelles, ma tanto lo so che si scanneranno. Io sono garantista ma non significa che comportamenti del genere non vadano criticati. Lotti ha sbagliato e non riesce neanche ad ammetterlo, suvvia». Ma il nodo resta quello di fare presto.
orlando zingaretti
Perché «devi preparare un' opposizione più incisiva e una coalizione elettorale. Un governo ombra capace di stare non solo in Parlamento, ma sui media.
Che non faccia riferimento alle correnti del Pd ma a chi ha capacità di parlare al Paese».
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