Candida Morvillo per http://pernientecandida.corriere.it/ (post pubblicato prima che tutta l'Italia diventasse zona rossa)
candida morvillo
C’è stato l’attimo in cui ho realizzato che, per un mese, sarei stata sola. Sola in casa, sola fuori casa per quel poco che sarà ragionevole uscire. Sola, senza possibilità di raggiungere i miei fratelli e nipoti che sono in Regioni lontane né il mio compagno, che vive altrove. Lui non potrà raggiungermi, io non lo potrò raggiungere. Non è stato il momento peggiore. Il momento peggiore, nella lunga notte in cui aspettavamo l’annunciato decreto sul Coronavirus che divide l’Italia in Fascia 1 e Fascia 2, doveva ancora arrivare.
L’attimo dopo, fai la ricognizione di chi è ancora a Milano, delle amiche che non sono già sfollate coi figli al mare o in montagna, di quelle che, come te, stanno resistendo già da due settimane nell’ingannevole formula di uno smart working che di smart ha poco, se poi non puoi andare al cinema né in palestra e se, comunque, per precauzione, eviti anche di uscire a cena.
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Da quando è spuntato il paziente uno, hai progressivamente ridotto i contatti. Hai rifiutato un invito a fare due passi al parco con degli amici. Hanno figli adolescenti e hai visto che i ragazzi se ne fregano del contagio e fanno lo stesso la movida, si baciano e si abbracciano come se il mondo non stesse per finire prima di cena o come se fosse già finito, allora, tanto vale. Hai rifiutato un invito in casa, «siamo in sette o otto», ti hanno detto, e tu ti sei vista seduta a venti centimetri da perfetti sconosciuti e ti sei chiesta: ma chi sono questi sette o otto?
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Ti sei chiesta che vita hanno fatto in questi ultimi giorni, e che ne sai se, come te, sono stati attenti, si sono lavati le mani, hanno tenuto la distanza di sicurezza nel temibile momento in cui, per strada, ci si assembra sulla soglia delle strisce pedonali in attesa che scatti il verde del semaforo. O se invece sono di quelli che alla cassa del supermercato s’incollano alla persona che hanno davanti, come se non leggessero i giornali, non vedessero i tg, non sapessero quanto è lungo un metro e che quel metro è la misura del contagio, è la distanza fra salute e malattia.
Se sei solo a Milano ai tempi della «fascia uno», il momento peggiore è il terribile istante in cui realizzi che non ti fidi più degli altri. Stanotte, quello è stato l’istante in cui è precipitato un mondo. Sei uno dei 400mila single di Milano e non ti sei mai sentito solo. Dico «single» nell’accezione burocratica del termine: dei 745 mila nuclei familiari registrati all’anagrafe nel 2018, più di 400mila sono composti da una sola persona. Eravamo 400mila «persone sole», ma non eravamo soli. Avevamo tutta una rete di amicizie e conoscenti, cerchie strette e via via più larghe, quelli che «faccio una pasta al volo, vieni?» e quelli con cui un pranzo lo fissavi un mese prima.
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C’era tutta una grammatica della vicinanza che dava un senso allo scorrere del tempo e all’osmosi e al confronto di idee, opinioni, emozioni. C’era la certezza di quei dieci nomi e volti che erano «famiglia», essendo la famiglia vera lontana. Poi, viene una notte in cui passi in rassegna i visi con cui prendere un tè e ti dici «anche no». «Anche no». «Anche no»… Quanti sono quelli per cui rischieresti il contagio? Non voglio dirmelo. So che, se va bene, sono nella «fascia 1», all’interno della quale, però, vanno comunque evitati gli spostamenti, dice il decreto. Magari è un fratello bloccato in un’altra Provincia, in una Fascia 1, però lontana dalla mia. Nei prossimi giorni, volevamo incontrarci in un Sud che in origine chiamavamo «casa». Sarà per Pasqua, si spera.
E mentre lo dici, ti rendi conto che «anche no». Non per lui, ma perché lo dicono tutti che al Sud non c’è percezione del rischio, che la gente vive come se il Covid-19 non li riguardasse. L’ha detto Walter Ricciardi, professore di Igiene, consigliere del ministro della Salute. Me lo confermano gli amici che ho giù. Pensi «anche no», perché nella Fascia 2 ci sono ospedali dove, in caso bisogno, preferiresti non trovarti, specie se, per appartenenza territoriale, potresti stare in uno «da Fascia 1». Se sei solo a Milano ai tempi della Fascia 1, la cosa peggiore non è farsi contagiare dal coronavirus, ma dalla diffidenza. Se non ti fidi più degli altri, crolla tutto il sistema di certezze su cui hai costruito le tue connessioni sociali.
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C’è stato il momento, nella notte fra il 7 e l’8 marzo 2020, in cui hai fatto una valigia per stare via a lungo. Almeno fino al 3 aprile. L’hai fatta in fretta, pensando di salire in macchina e lasciare la Lombardia prima che il decreto fosse firmato. Hai aperto la mappa d’Italia, hai cercato la prima provincia in Fascia 2 dove fermarsi in albergo a dormire, per poi proseguire, col sole, in fuga, verso le persone che ami davvero.
Ti sei visto a Bologna, hai immaginato la diffidenza del portiere di notte mentre leggeva la tua carta d’identità. E da lì hai immaginato una catena di altre facce stranite perché vieni da Milano, la città delle peste, e Manzoni c’entra poco. Le amiche che sono sfollate da prima, quelle facce, mi raccontano, le hanno già viste, le incontrano tutti i giorni nei posti che pure sono i loro luoghi di origine o dove da anni vanno per vacanze o weekend. Io quelle facce non voglio incontrarle, non è giusto per loro.
vita da single 2
Non è giusto che io vada a cercarle, innescando in altri degli attimi d’ansia. Mentre lo pensavo, ho capito che non voglio vedere facce diffidenti, ma anche che non voglio avere una faccia sulla quale è dipinta la diffidenza. Starò il più possibile in casa, mi laverò le mani, le disinfetterò, uscirò se è necessario, starò almeno a un metro da chiunque, ma avrò fiducia che tutti gli altri, chiunque altro, stia facendo lo stesso. Sorriderò a ogni persona che incrocio, sarà come quando fai jogging e incroci un altro che corre e ci si fa un cenno, ci si saluta, siamo una confraternita, stiamo condividendo qualcosa. Stiamo facendo tutti del nostro meglio.
coronavirus, milano deserta nel secondo giorno di quarantena 8
Ho disfatto i bagagli. Ho dormito di sasso e poco. Ho lasciato entrare l’alba e ho fatto pace col fatto che il mio appartamento è ora il mio nuovo perimetro e che sarà vuoto e silenzioso per un po’. Poi, ho fatto e ricevuto tante telefonate, di Fascia 1 e di Fascia 2. In poche ore, ho perso il conto delle voci amiche, però il messaggio è stato univoco, è stato un coro di «sentiamoci», «sentiamoci», «sentiamoci ancora e ancora». Raccontiamoci come stiamo, che libri abbiamo letto, che musica abbiamo ascoltato, che film abbiamo visto. (…) Non perdiamoci, non isoliamoci. Videochiamiamoci. Cambia il modo, non la sostanza. Non sei sola, non sono solo, non siamo soli.
milano deserta stazione di milano deserta piazza duomo a milano deserta