Estratto dell'articolo di Michela Allegri per il Messaggero - Roma
vincenzo alvaro
I soldi della ndrangheta riciclati nella Capitale. Dal centro alla periferia, i clan di Reggio Calabria erano riusciti a mettere le mani su ristoranti e negozi. Agivano per conto delle cosche, secondo l'accusa, usando metodi mafiosi: violenza, minacce, armi, pizzini e riunioni segrete.
A regnare, secondo i magistrati, due boss, accusati di associazione di stampo mafioso: Antonio Carzo e Vincenzo Alvaro, entrambi originari di Cosoleto in provincia di Reggio Calabria. Ieri Carzo, insieme ad altre 18 persone, è stato processato con rito abbreviato. I pm Giovanni Musarò e Stefano Luciani hanno chiesto in tutto 169 anni di carcere. Per Carzo, la richiesta più pesante: 20 anni di reclusione, considerando lo sconto di pena previsto dal rito alternativo. Alvaro, invece, ha scelto il giudizio ordinario.
vincenzo alvaro 2
LE ACCUSE A seconda delle posizioni, le accuse contestate, oltre all'associazione mafiosa, sono cessione e detenzione di stupefacenti, estorsione, detenzione illegale di armi, fittizia intestazione di beni, truffa, riciclaggio, favoreggiamento. La richiesta della Procura è stata pesante anche per i due figli di Carzo, Domenico e Vincenzo: rischiano rispettivamente 17 anni e 13 anni e 4 mesi di reclusione. Per Pasquale Valente sono stati chiesti 16 anni, mentre per Francesco Calò 12 anni.
Nel maggio dello scorso anno il bilancio della maxi-operazione "Propaggine" era stato di 43 arresti: un gruppo criminale che, emergeva dalle indagini, aveva messo le mani sul business della ristorazione, ma anche su quello delle tabaccherie e dei mercati all'ingrosso.
il boss vincenzo alvaro con la figlia
Nel capo di imputazione si legge che lo scopo della «locale di Roma» era di «acquisire la gestione o il controllo di attività economiche nei più svariati settori: ittico, della panificazione, della pasticceria, del ritiro delle pelli e degli olii esausti, della ristorazione, dei parrucchieri, delle sale biliardo».
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