Pierluigi Panza per fattoadarte.corriere.it
ecce homo
Siamo di fronte alla balaustra dalla quale, sporgendo il gomito, Pilato si appresta a mostrarci Cristo flagellato, coronato di spine e rivestito con un mantello purpureo da re dei giudei. Per estrema irrisione, con la destra stretta a una corda, Cristo stringe uno scettro di canna. Pilato, allargando le mani, sta per pronunciare la frase “Ecce homo”.
Le prime ipotesi sulla genesi di questo quadro sono raccontate da Vittorio Sgarbi e Francesca Curti e nelle scorse settimane, sulla stampa, da Maria Cristina Terzaghi e Massimo Pulini. Sgarbi non riconduce al periodo romano il quadro mentre Pulini lo indirizza in questa direzione alla luce di alcuni documenti del concorso del cardinal Massimi, nel quale si sfidarono su questo soggetto Caravaggio, Cigoli e Passignano.
vittorio sgarbi racconta caravaggio (1)
È noto che nel 1987 Rossana Barbiellini Amidei, studiando l’archivio della famiglia Massimi, portò alla luce una nota con la quale Caravaggio si impegnava a dipingere per lui un “Ecce homo”: “Io Michel’Angelo Marisi da Caravaggio mi obligo di pingere al illustrissimo signor Massimo Massimi per esserne prima statto pagato un quadro di valore e grandezza come e quello ch’io gli feci già della Incoronatione di Crixto per il primo di Agosto 1605 In fede ò scritto e sotto scritto di mia mano questa, questo di 25 Giunio 1605 Io Michel’Angelo Marisi”. Tuttavia, se il quadro fosse uno dei tre commissionati dal cardinale Massimo Massimi nel 1605 il Merisi avrebbe avuto soli trentasei giorni a disposizione per realizzarlo.
CARAVAGGIO E I CARAVAGGESCHI
Nel 1628 Giovan Battista Cardi Cigoli, scrisse infatti che “Volendo Monsignor Massimi un Ecce Homo che gli soddisfacesse, ne commesse uno al Passignano, uno al Caravaggio et uno al Cigoli senza che l’uno sapesse dell’altro”. Soli trentasei giorni poiché dal 25 giugno al 1agosto 1605 sono registrati due episodi che portarono Merisi in carcere. Il 19 luglio viene imprigionato per aver deturpato la porta di due donne, mentre il 29 luglio compie un’aggressione ai danni di Mariano Pasqualone per questioni legate alla sua amata prostituta Lena.
Dopo la scadenza del contratto, dal 6 al 17 agosto il pittore sarebbe documentato a Genova. Tra il 1605 e il 1607, data in cui Cigoli ha realizzato il suo “Ecce homo” per il cardinale, Caravaggio uccide Ranuccio Tomassoni (28 maggio 1606) ed è costretto a fuggire: chiunque sia il possessore dell’ Ecce homo si vuole liberare del quadro di un assassino in fuga a Malta e per l’Italia.
UN VIAGGIO IN SPAGNA
DAVIDE CON LA TESTA DI GOLIA CARAVAGGIO
Il quadro non finì in Sicilia, come ipotizzato da Roberto Longhi, ma in Spagna come attesta Gian Pietro Bellori nelle Vite de’ pittori, scultori et architetti moderni nel 1672: “alli Signori Massimi colorì un Ecce Homo che fu portato in Ispagna”: Bellori, dunque, riteneva che l’ Ecce homo di Caravaggio in Spagna corrispondesse a quello del cardinal Massimi. Lo ribadisce anche Filippo Baldinucci nelle sue Notizie de’ professori del disegno: “dipinse per i Massimi un’Ecce Homo, che poi fu portato in Ispagna, ove pure furon mandate altre sue opere, e per altri molti Quadri ebbe a fare, a cagione dell’essersi ormai tutta Roma impegnata nel gusto di sua maniera”.
Secondo Massimo Pulini, potrebbe esser stato portato in Spagna da uno stretto congiunto di questo committente, monsignor Innocenzo Massimi. Nel 1623 il cardinale ottenne infatti l’incaricato di Nunzio Apostolico in Madrid e potrebbe aver fatto da tramite nel portare l’opera.
caravaggio
Il nunzio viaggiò dall’Italia alla Spagna con l’ecclesiastico Paolo Tronchi, che ha lasciato un manoscritto su questo viaggio e sul soggiorno di un anno in Spagna. Ma dal suo Diario del viaggio in Spagna di P. Tronci (1623-24) non si fa riferimento a un quadro di Caravaggio. Si citano i luoghi visitati e si descrivono le chiese: se si fosse trasportato un quadro forse anche incidentalmente sarebbe emerso…
Un Ecce Homo appare due volte a Napoli: nel 1631, tra i beni di Juan de Lezcano, segretario del viceré Francisco Ruiz de Castro conte di Lemos, ambasciatore di Spagna presso la Santa Sede, contrassegnato da una stima di circa 800 scudi: “Un ecçe homo con Pilato que lo muestra al pueblo, y un sayon que le viste de detras la veste porpurea”. Il conte di Lesmos è annoverato da Vincente Carducho nel suo Diàlogo de la Pintura come uno dei maggiori collezionisti del XVII secolo: è solo ipotizzabile che sia di Caravaggio ma ora vedremo dove convoglia la collezione Lemos.
medusa caravaggio
Sempre un Ecce homo, forse questo stesso, sarebbe ancora in Italia, a Napoli, registrato nel 1657 nella raccolta di beni di Don García de Avellaneda y Haro, II conte di Castrillo (1588-1670), viceré di Napoli dal 20 novembre 1653 all’11 gennaio 1659. L’inventario descrive così l’opera: “Mas otro quadro de un Heccehomo de zinco palmos con marco de evano con un soldado y Pilatos che enseña al Pueblo es original de m° de Miçael Angel Caravacho”. Sono ovviamente tre anche i personaggi raffigurati nella tela di Madrid; tuttavia, il soldato non indica Cristo al popolo ma gli sta ponendo la veste rossa sulle spalle. I 111 centimetri dell’Ecce homo ritrovato a Madrid possono però corrispondere ai cinque palmi napoletani.
I MARCHESI DEL CARPIO
CARAVAGGIO
Il XVII secolo fu un grande secolo per il collezionismo spagnolo con eccezionali intermediari e osservatori per gli acquisti della pittura italiana come Pompeo Leoni e Bartolomè Carducho. È altresì noto il passaggio di Carlo I Stuart e Lord Arundel a Madrid per acquistare quadri, nonché la voracità degli acquisti spagnoli dei beni Stuart una volta che Cromwell ha decapitato il re. Tra le collezioni spagnole del XVII secolo il nome di Caravaggio, figura in alcune collezioni.
Un Caravaggio spagnolo emerge dalla vendita a Londra del 1 giugno 1827 della collezione del marchese de Astorga, Conte di Altamira (morto nel 1816), la cui famiglia, nel 1711, aveva ereditato titoli e collezione proprio del marchese de Leganés, che a Napoli, come abbiam visto, possedeva un Ecce homo. Il lotto n.43 dell’asta è “Judith with the Head of Holofernes by Caravaggio”. Un Caravaggio è tra i 938 quadri della collezione di Almirante de Castilla nato Juan Alfonso Enriquez de Cabrera e uno o più nella collezione del VII marchese del Carpio Gaspar Méndez de Haro y Guzman (1628-1687) , tra i cui quadri è elencato anche un Ecce homo.
caravaggio
Almirante de Castilla nato Juan Alfonso Enriquez (Modica 3 marzo 1597 – Madrid 6 febbraio 1647) era figlio di Ludovico III e Vittoria Colonna viceré di Sicilia e Napoli, gentiluomo di camera di Filippo IV e generale dell’esercito spagnolo. La collezione di 611 quadri lasciati da sua madre, Vittoria Colonna, fu da lui incrementato. Nell’inventario seguito alla sua prematura morte, si dice tra le braccia del re di Spagna, Juan Alfonso Enriquez lasciò beni che furono valutati 3.696.350 reales: una cifra immensa, equivalente a 335.135 ducati. Nella collezione ospitata nel palazzo fatto costruire da Vittoria Colonna nei pressi del Prado, il numero delle tele inventariate è 938, con attribuzioni spregiudicate a Bassano, Brueghel, Caravaggio, Rubens, Reni, Ribera, Tintoretto, Tiziano, van Dyck, Veronese e poi Dürer e persino Michelangelo, Leonardo e Raffaello.
Gaspar Mèndez de Haro y Guzmàn, settimo marchese del Carpio fu ambasciatore a Roma nel 1677 e restò sino al 1682, anno in cui si trasferì a Napoli come viceré fino alla morte. Le collezioni della famiglia Haro si erano riunite prima dei suoi acquisti attraverso suo padre, Luis Méndez de Haro Guzmàa y Sotomayor, VI marchese del Carpio e duca di Olivares. Durante il soggiorno a Roma di Gaspar Mèndez de Haro y Guzmàn il suo agente, Antonio Saurer negoziò quadri in tutta la penisola e anche a Venezia. Alla sua morte, nel 1687, aveva una collezione di tremila dipinti, dei quali circa 1200 in Spagna e il resto a Napoli.
Caravaggio experience
Nella sua collezione c’erano Velàzquez (la Venere Rokeby), Tintoretto Tiziano, Antonello da Messina e Caravaggio, come già segnalato da Francis Haskell. Haskell scrive che il marchese del Carpio accumulò 1800 quadri a Napoli e che quando fallì, nel 1687, furono portati a Madrid. Il Martinez, nel sui Discursos Practicables del Nobilisimo Arte de la Pintura annovera un Caravaggio nella collezione di Donna Antonia Cecilia Fernàndez de Hijar, ereditata dal marchese de Ayerbe di Saragoza, che annovera non probabili Leonardo, Parmigianino, Bassano, Raffaello, Guercino e Caravaggio.
Per capire come dall’Italia potrebbe essere finito nella collezione di Gaspar Mèndez de Haro y Guzmàn un Carvaggio, forse un Ecce homo, possiamo formulare almeno tre ipotesi, tutte alla ricerca di documenti che confermino o escludano il passaggio.
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La prima, la più semplice, è che lui stesso, negli anni dell’ambasciata a Roma o del vicereame a Napoli abbia attinto l’opera. La seconda è che gli possa essere pervenuta dai passaggi ereditari di Garcìa de Haro y Sotomayor de Avellaneda (1588-1670), Conte di Castrillo, secondo figlio del marchese di Carpio, Luis Méndez de Haro e di Beatriz Lòpez de Haro y Sotomayor, che fu viceré di Napoli (1653-1658), IV marchese del Carpio e fiduciario di Filippo IV nonché in rapporto con il duca di Olivares, che fece “valide collezione di quadri e libri (italiani)” come ricorda Isadora Rose-de Viejo. Il Conte di Castrillo era ben inserito nel mercato dell’arte della seconda metà del Seicento e di certo possedeva un Caravaggio.
L’inventario dei suoi quadri enumera un “original de Caravacho” che è la Salomé con la testa del Battista. Forse, entrambi questi quadri viaggiavano con il loro proprietario verso la Spagna nel 1659: questa ipotesi è stata avanzata da Maria Cristina Terzaghi, che la sta verificando. Il primo dipinto, inserito tra i beni reali già nel 1666, finirà al Museo del Prado dove si trova. Il fratello del conte di Castrillo, Diego Lòpez de Haro y Sotomayor, V Marchese del Carpio, le cui date di nascita e morte molto oscillano nelle genealogie, corrisponde al nonno del nostro di Gaspar Mèndez de Haro y Guzmàn, sicuro proprietario di almeno un Caravaggio anche se non abbiamo certezza che si tratti dell’Ecce homo.
vittorio sgarbi foto di bacco (4)
La terza ipotesi seguirebbe la traccia avanzata da Massimo Pulini, ovvero che il quadro sia stato portato in Spagna da Innocenzo Massimi nel 1623 quando divenne Nunzio Apostolico in Madrid. Come detto, Il nunzio viaggiò dall’Italia alla Spagna con l’ecclesiastico Paolo Tronchi, che ha lasciato un manoscritto su questo viaggio (Diario del viaggio in Spagna di P. Tronci 1623-24) dal quale non emerge traccia del quadro. Emerge però che furono ricevuto a Madriod proprio da Gaspar de Guzmàn di San Lucar conte di Olivares che, abbiamo appena visto fece “valide collezione di quadri e libri (italiani)”. Gaspar de Guzmàn di San Lucar conte di Olivares era il prozio del nostro Gaspar Mèndez de Haro y Guzmàn, sicuro proprietario di almeno un Caravaggio. Il conte di Olivares, infatti, era il fratello di Dona Francisca de Guzmàn marchesa del Carpio, nonna del nostro.
IL CASO GODOY
vittorio sgarbi foto di bacco (1)
Nel 1726 il pittore Antonio Meléndez propose l’istituzione di una accademia di Belle arti a Madrid, inaugurata poi il 2 aprile 1752 come Real Academia de Bellas Artes de San Fernando nel palazzo in calle Alcalá, a due passi da Puerta del Sol. Svolse un ruolo fondamentale nella creazione dell’Accademia l’artista italiano Domenico Olivieri, attivo a Roma e a Madrid, che esportò il modello dell’Academia di San Luca in Spagna. Fondamentale anche il ruolo dello scultore Felipe de Castro, formatosi a Roma con Giuseppe Rusconi, accademico di San Luca e estensore degli statuti dell’Academia di San Fernando.
Il XVIII secolo è anche un periodo in cui la Spagna vende a vil prezzo molti quadri messi insieme nel Siglo de oro, tanta era l’abbondanza di quadri sul mercato. Tra il 1758 e il 1802 vanno in vendita, come si legge sulla “Gazeta” o sul “Diario de Madrid” decine di opere attribuite a celeberrimi autori spagnoli e italiani. Non solo i proprietari vendono i quadri ma anche le chiese si liberano delle opere. (p.64). Si forma anche la collezione di Carlo IV: tra il 1808 e il 1819 (data della sua morte) Carlo IV aggiunge alla raccolta reale 688 opere, molte italiane, Caravaggio compreso come da inventario del 1819 di José de Madrazo e Jaun Antonio Ribera.
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La collezione del Duca di Alba nasce dalla fusione di molte raccolte del XVII secolo, tra le quali proprio quella del VII marchese del Carpio, ovvero il nostro Gaspar Méndez de Haro y Guzmàn. Una più approfondita analisi dei documenti potrà fare luce sui quadri che passano da una collezione all’altra. Di certo la collezione dei duchi d’Alba passerà poi nelle mani di un personaggio di grande interesse per la storia dell’Ecce homo di Caravaggio: Manuel Godoy, che incominciò ad acquistare opere intorno al 1785-1790.
Godoy fu una delle personalità politiche più controverse della Spagna dei suoi tempi. Fu l’onnipotente e discusso ministro di Carlo IV, ma anche mecenate e proprietario di una delle più ricche collezioni d’arte ove figurava Las Majas di Goya e alcuni Velázquez. Goya lo ritrasse nel 1801 in una grande tela oggi esposta all’Academia di San Fernando. Molti dei quadri raccolti furono ospitati nel Palazzo Palazzo Buenavista, passato a Godoy nel 1802 dopo la morte della duchessa Cayetana (per alcuni anni fu sede del Prado). Nel dicembre del 1792 Godoy era diventa anche protettore dell’Academia di San Fernando, un posto riservato di diritto al Primo Segretario di Stato, carica ricoperta da Godoy dal 20 novembre 1792.
Pierluigi Panza
Nella primavera-estate del 1800 la duchessa d’Alba regalò a Godoy alcuni quadri, tra i quali la Venere allo specchio di Velazquez, che fu vista nel palazzo di Godoy da Pedro Gonzàles de Sepuòveda. Nel 1802 Godoy ottiene altri 22 quadri dal testamento della duchessa d’Alba. Tra il 1803 e il 1806 ottiene i quadri della collezione del Duca d’Alba con metodi sbrigativi, secondo alcuni usando fondi reali a fini personali.
Era la collezione nella quale erano finiti i quadri del marchese del Carpio Gaspar de Haro y Guzman e anche quelli provenienti da Francisco Ruiz de Castro conte di Lemos, i due principali sospettati di essere i possessori dell’Ecce homo attribuito a Caravaggio. Secondo una leggenda, la duchessa d’alba, nata Maria Teresa Cayetana de Silva, fu ritratta da Goya come Maya desnuda. Un’altar leggenda dice che morì assassinata proprio da Godoy.
Secondo l’inventario redatto da Frédéric Quilliet il primo gennaio 1808 la collezione di Manuel Godoy “comprendìa màs de 1.000 obras”; esattamente dovevano essere 1.022 secondo Isadora Rose-de Viejo. Murat occupò il Palazzo di Godoy il 23 marzo del 1808 quando la corte si era ormai trasferita ad Aranjuez come parte di un piano di Godoy per trasferire la famiglia reale in America. Il 17 marzo il popolo, istigato dai sostenitori di Ferdinando VII, assalì il palazzo del Príncipe de la Paz, ovvero Godoy. Cosicché Carlo IV, per salvare la vita del fedele Godoy, fu costretto ad abdicare a favore di suo figlio il 18 marzo.
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Il sequestro di quel che restava della collezione Godoy iniziò comunque il 18 marzo 1808: la notte del 17 marzo Carlo IV , con Ferdinando VII aveva promulgato una Reale ordinanza per inventariare e far sequestrare i beni Godoy, che divenivano di proprietà della Corona. Carlo IV chiese la protezione dei francesi mentre Napoleone invitò il nuovo re, Ferdinando VII, a riunirsi a lui. Il sovrano spagnolo accettò ignaro che sarebbe finito in esilio. Godoy e Carlo IV furono liberati e dal novembre del 1808 al giugno del 1813 si insediò in Spagna il governo di Giuseppe Bonaparte.
Con il passaggio dei francesi e con la Guerra di indipendenza la collezione di Godoy passò da 1.022 opere a sole 381. Si presume che circa 600 opere furono razziate illegalmente durante l’occupazione. Sta di fatto che il primo inventario dei quadri di Godoy dopo il sequestro ne enumera 381. Il secondo inventario, del 1814-15, annovera 276 opere poiché un centinaio erano finiti presso la contessa de Chinchòn, moglie di Godoy. L’inventario del 1816 ne elenca 268: due busti e quattro quadi a olio di Goya erano stati inviati al Palazzo Reale. Queste opere restanti sono quelle che entrano nell’Academia di San Fernando con 78 “quadri minori”.
La proposta di ingresso all’Accademia è del 20 settembre 1816 ma passò qualche tempo per ritrosia del vice-protettore Pedro Franco che “manifestò quanto embarazaban los quadros malos… que de nada servìan en la Academia”. Di 268 opere della collezione Godoy entrate in accademia se ne vendettero subito 39, come da studio di isadora Rose-de Viejo. Il 22 luglio del 1818 entrarono 75 opere. Il 23 ottobre del 1821 arrivarono altre 96 opere. Molti quadri erano in gravi condizioni di conservazione.
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Se si riscontrano i quadri Godoy entrati a San Fernando nel 1816 con il catalogo di Frédéric Quilliet non figura esplicitamente un Ecce homo di Caravaggio. Nell’inventario al n.98 figura un Caravaggio “Cristo alla Colonna” in posto sconosciuto, indicato anche come “genere di Caravaggio”: il quadro non identificato e i tre soggetti italiani vagamente attribuiti a Caravaggio non sembrano essere del Merisi.
Tra i 39 quadri venduti subito dall’accademia figura inoltre un Seppellimento di Cristo di Ribera che nell’inventario del 1815 era attribuito a Caravaggio al n.88, ora ancora all’Academia di San Fernando al n.263. Nel catalogo lo si descrive come “El Entierro de Cristo con marco dorado su autor el Carabaggio, alto 4 ½ p.s. con 6. Y 6 dedos de ancho”. Per Quillet era “escuela Espanola”, nell’inventario del 1813 era di Ribera. Nel 1818 viene venduto a 1.500 reales e nel 1821 rivenduto a 6000.
L’ACCADEMIA DI SAN FERNANDO
Uno studio esatto sulla vita dell’ Ecce homo all’Academia di San Fernando potrà essere sviluppato da Itziar Arana Cobos, ma intanto abbiamo la nota dell’inventario del 1824 dove è contenuta l’informazione secondo la quale il Caravaggio oggetto della permuta dell’anno precedente, ovvero l’ Ecce Homo di Caravaggio provenisse proprio dal gruppo di beni sequestrati a Manuel Godoy nel 1808. La dispersione Godoy era stata complessa e non è detto che gli inventari riportassero autografie esatte ma, talvolta, quanto si credeva che fosse. Tuttavia, la provenienza da Godoy è una ipotesi accreditata.documento
MANUEL GODOY
Questo quadro è certamente in Academia di San Fernando nel 1823 quando Evaristo Pérez de Castro, erede del fondatore ed accademico d’onore della Accademia dal 1800, appassionato di arti e raffinato collezionista, propone alla corporazione una permuta di un’opera di sua proprietà un “San Giovanni Battista” attribuito ad Alonso Cano per un’opera dell’accademia da scegliere tra quattro.
Lo stesso Evaristo stila la lista: Loth e le sue figlie, di Francesco Furini (al Prado); una Maddalena di Murillo (tuttora all’Accademia); un Cristo che raccoglie le sue vesti di Alonso Cano (in Accademia) e, appunto, un “Ecce homo con dos saiones de Carabaggio”, numero 155 dell’inventario del 1821. Nella giunta ordinaria del 16 Febbraio 1823, come si legge sui fogli 88 e 89 dei resoconto annuale, si approva il cambio: “El Sr.D. Evaristo Pérez de Castro había solicitado del Sr. Vice-Protector el permiso de cambiar un cuadro de San Juan Bautista pintado por Alonso Cano, por uno de los cuatro que designaba pertenecientes a la Academia; y precedido un reconocimiento hecho por los Sres. Director General y Directores y Tenientes de Pintura e informe por escrito en que se exponía que la Academia quedaría bien indemnizada si la permuta se hacía con un Ecce Homo que se cree ser del Carabaggio, no constando perteneciese a ningún particular ni corporación, se aprobó el cambiorespecto de las ventajas que ofrecía a la Academia”. Questa informazione è stata pubblicata per la prima volta da me sul “Corriere della Sera” il 25 aprile (“Ebbene sì, parrebbe Carabaggio: ecco il documento”).
L’Accademia, si dice “ben indennizzata” dalla proposta di Peréz de Castro e approva il cambio del resto a vantaggio di questa stessa Accademia”. Ciò non deve apparire ridicolo. Intanto abbiamo notato il vorticoso scambio di opere di quel periodo, il destino di dispersione della collezione Godoy. Inoltre, immediatamente dopo lo scambio, il “San Giovanni Battista” di Cano è registrato nel nuovo inventario del 1824 come di Pedro Attanasio Bocanegra, stiamto allievo dello stesso Cano: “12. San Juan Bautista en pie, mayor que el natural. De Pedro Atanasio Bocanegra. Nota: El excelentísimo señor don Evaristo Pérez de Castro dio este cuadro a la Academia en cambio de otro de Carabagio que representaba un Ecce-Homo, perteneciente a los que se trageron del secuestro de Godoy, cuya entrega se hizo en virtud de orden de la Academia el 13 de fe- [f. 44v] brero de 1823”. All’inizio dell’Ottocento come ha recentemente ricordato Alfredo Pérez de Armiñan, ex presidente di Patrimonio Nazionale e vicedirettore dell’Academia San Fernando, l’istituzione ha ceduto spesso opere con regolari transazioni. Il “San Giovanni Battista” attribuito a Cano è ancora oggi esposto nell’Accademia di San Fernando a fianco di un “San Gerolamo” proprio di Ribera. Sono 19 i quadri appartenuti alla collezione Godoy esposti al Prado.
LA FAMIGLIA PÉREZ DE CASTRO
Caravaggio Ecce Homo - Genova
Evaristo Pérez de Castro, diplomatico e politico spagnolo fu tra i principali protettori di Francisco Goya. Evaristo Pérez de Castro fu un politico liberale e ha recitato in un vivace capitolo della storia della Spagna come uno dei redattori della Costituzione del 1812, che ha anche presieduto il governo sotto la reggenza di María Cristina. Pérez de Castro faceva parte di un piccolo gruppo di personaggi sin dal 1800 (meno di una dozzina), tutti legati all’Accademia di San Fernando, che stavano mettendo insieme piccole collezioni tra 100 e 150 pezzi. Si conoscevano tutti. Hanno preso un caffè con artisti, collezionisti.
L’inventario della sua collezione è conservato nell’Archivio del Protocollo di Madrid. Nell’inventario redatto a mano con il fiorire della scrittura dell’epoca compare, in prima pagina, al terzo posto, l’eccehomo attribuito a Caravaggio che scambiò per un San Juan Bautista di Alonso Cano con l’Accademia di Belle Arti di San Fernando nel 1823. Pedro J. Martínez, curatore del Prado e autore di Coleccionismo de Pintura en Madrid durante el siglo XIX ha raccontato a “El Pais” del 29 aprile 2021 che Pérez de Castro “aveva 89 dipinti di grande valore, 204.960 reales dell’epoca, oltre a stampe e una vasta biblioteca, tra gli altri pezzi.” Nel XIX secolo, il pezzo è stato valutato a 16.000 reales, seconda opera più costosa nella collezione di Pérez de Castro dietro un altro ecce homo di Carracci, secondo la valutazione del pittore Vicente López.
Da allora e il “Carabaggio” passò ai suoi eredi senza più uscire dalla famiglia e la famiglia restò sempre legata al mondo delle arti figurative; tuttavia gli ultimi proprietari non essere a conoscenza della paternità dell’opera.
Il quadro, infine, si trovava in possesso di Mercedes Méndez Atard, moglie di Antonio Pérez de Castro. Da lei è passato ai tre figli: Antonio, Diego e Mercedes Perez de Castro, che lo hanno ereditato dai genitori. La famiglia Perez de Castro Méndez è a capo della scuola di design a Madrid tuttavia non erano al corrente della possibile storia del quadro. Prima di affidarlo alla Casa d’aste Ansorena pare si siano rivolti a un antiquario madrileno che non è riuscito a vendere l’opera mentre avrebbe venduto la cornice. Il proprietario della casa d’aste Ansorena è Jaime Mato y Garcia e Pradillo il responsabile della perizia. Pérez de Castro acquisì anche pezzi di Ribera (San Jerónimo o La Avaricia), di Alonso Cano (San Francisco de Asís, l’opera che gli attuali eredi vendettero per 12.000 euro nella stessa asta Ansorena dove fu messo in vendita il presunto Caravaggio) o Velázquez (“Ritratto di Covarrubias”).
Anche quella che appare come una sottovalutazione da parte della Casa d’aste non deve apparire strana. Nel 2013, a Milano, presso la Casa Il Ponte è stato bandito all’incanto un Ecce homo, chiaramente identico nel soggetto e nella lavorazione, dunque, forse, una copia di quello di Ansorena, come “Scuola lombarda fine sec.XVII”, di misura leggermente superiore (130 x 100) in cornice intagliata. La valutazione di base era di 2.200 euro ed è stato aggiudicato a 2.400 euro. Studiare la provenienza di questo forse ci aiuterebbe a comprendere anche quello di Madrid.
ecce homo attribuito a caravaggio ansorena
Dopo l’interesse dei collezionisti, studiosi e antiquari italiani, come è noto, il quadro è stato ritirato dall’asta prima dell’incanto. In base alla Legge sul Patrimonio del 1985, un Bene di interesse culturale non può espatriare, se non per ragioni espositive temporanee. In caso di vendita il proprietario ha l’obbligo di comunicarlo allo Stato, che può esercitare il diritto di prelazione. È dunque possibile che dopo gli studi accurati sull’opera, il Prado eserciti un diritto di acquisto. Intanto, l’opera è stata segnalata all’amministrazione pubblica competente, la Comunidad de Madrid, che ha avviato le pratiche per dichiararla Bene di interesse culturale e proibirne l’esportazione.
La famiglia Pérez de Castro avrebbe coinvolto per l’intermediazione Jorge Coll, mercante d’arte catalano, già titolare della galleria madrilena Coll & Cortés, dal 2015 partner e Ceo della prestigiosa e antichissima firma antiquaria Colnaghi, con sede a New York, Londra, Venezia e Madrid. Ma questi aspetti potranno meglio emergere nel corso del tempo. L’opera, che presenta qualche caduta di colore sarà probabilmente pulito e messo in sicurezza, con l’auspicio che la mano del restauratore non sia orientata a farlo diventare più Caravaggio di quello che è.