Marco Lodoli per "la Repubblica"
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A quanto pare anche Roma sta subendo l' attacco psicologico del coronavirus: i casi di contagio per ora sono pochissimi, sembra che le mura reali o immaginarie della nostra città siano in grado, almeno per ora, di respingere l' attacco del morbo, ma qualcosa si è incrinato nella mente dei nostri concittadini, a poco a poco la paura sta sbriciolando la fiducia, l' inquietudine ha fatto più di una breccia e gira minacciosa per piazze e strade.
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Molti concerti sono stati annullati, i ristoranti e i locali sono mezzi vuoti, sembra che la gente, psicologicamente indebolita dalle notizie che grandinano da tutti canali televisivi, preferisca rimanere chiusa a casa, aspettando tempi migliori.
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Gli appuntamenti vengono rimandati, le belle serate con gli amici a bere in qualche pub sono annullate, si scherza e si sorride per tenere a bada l' ansia, ma intanto si preferisce stare alla larga dai luoghi dove s' immagina possa alitare il contagio. Vicino casa mia, quartiere Trieste, ad esempio, c' è un grande ristorante cinese sempre affollatissimo: adesso è deserto.
Ma tutte le attività gestite dai cinesi sono in ginocchio, parrucchieri, empori, caffè vengono evitati con cura, come se fossero rischi che è meglio non correre. Ma la paura colpisce ogni luogo. L' abituale noncuranza dei romani, che idealmente hanno visto tutto, dalle invasioni barbariche ai bombardamenti, le mille giravolte della Storia, l' andirivieni della buona e della cattiva sorte, sembra non essere più sufficiente per continuare a condurre la solita vita di ogni giorno. La città è ancora indenne, eppure i romani percepiscono le fantasmatiche nuvole nere che lentamente si ammassano in cielo.
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Così Piazza Navona, piazza del Popolo, via del Corso, piazza di Spagna si svuotano, pare che nessuno abbia più voglia di passeggiare per il centro della città, di distrarsi per un poco: la preoccupazione martella, non molla un attimo, non si fa dimenticare nemmeno per il tempo di un giro spensierato. Anche i luoghi della movida notturna si stanno spopolando, a Campo de' Fiori, a Ponte Milvio, al Pigneto o a San Lorenzo si bevono molte meno birre, non si festeggia più la fine del giorno e l' inizio dell' allegria. È come se la città trattenesse il fiato, rannicchiata su se stessa, in attesa.
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Si sa che tantissimi turisti hanno rinunciato al loro viaggio romano, le disdette si moltiplicano, alberghi di lusso o semplici pensioncine contano le stanze vuote e tutta l' economia della città langue tremendamente: però ormai appare chiaro, e queste foto lo dimostrano perfettamente, che anche i romani in una settimana hanno cambiato radicalmente le loro abitudini.
Certo, la situazione di Roma non è quella di Milano, qui la vita non si è paralizzata del tutto, le scuole restano aperte, i supermercati non sono presi d' assalto, allo stadio per Lazio- Bologna ci sono stati quarantamila spettatori (e io e i miei figli tra loro!), però la prudenza sta diventando timore e si preferisce non sfidare la sorte.
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«Cautela nun preggiudica» , recita un antico proverbio romano. «Magari è solo n' artra influenza, appena appena più incazzata » , mi dice un barista, «però noi che ne sappiamo?
Sappiamo gnente, noi. Ma manco i capoccioni ce stanno a capì gnente, e allora per adesso mejo lavasse cento volte le mano e restà a casa a guardà Netflix, i telegiornali no, che te fanno salì l' ansia». È un momento di passaggio, come si dice in questi casi, ma per le strade e per le piazze del centro passa sempre meno gente. In periferia le cose sembrano andare diversamente, la vita continua a scorrere più o meno come sempre: i problemi di ogni giorno sono tanti, non è il caso di caricarsi anche di quelli ancora lontani.
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