Antonello Piroso per "La Verità"
PAOLO MIELI
«Sono due o tre sere che ti avrei dato la stessa risposta, l'esito a mio avviso è scontato». Apperò. E in virtù di quale riflessione? «Guardo queste cose dall'alto, come se vivessi in un altro Paese, senza seguire nevroticamente il minuto per minuto, e mi sembra che è la cosa che ha più senso, e più passa il tempo e più me ne convinco».
PAOLO MIELI
Sì, vabbè, ma cioè? Quale «cosa»? Per caso il nome del prossimo capo dello Stato? «Esatto. Che quindi sarà... Mario Draghi». E difatti. Esibirsi in una granitica previsione a 48 ore dal fischio finale dimostra una fiducia nelle proprie facoltà divinatorie che in pochi possono permettersi. Paolo Mieli può.
paolo mieli versione mago otelma
È lui il Branko(lo) di cui sopra, ospite in tv su La 7 giovedì sera.Uno svarione su cui ha maramaldeggiato Augusto Minzolini, direttore del Giornale: «Giorni fa ho sentito Mario Calabresi (ex direttore di Repubblica, nda) e Paolo Mieli dire in coro: il prossimo presidente è Draghi, sicuro. A quanto pare il mago Otelma ci azzecca di più. Succede quando si scambiano desideri per dati della realtà».
AUGUSTO MINZOLINI SU INSTAGRAM
Che è ciò succede a Minzo quando legge i dati di vendita del quotidiano che dirige, ma non satireggiamo troppo, ché il tema è altro, e ben più «alto». Ovvero, la tendenza di alcune vacche sacre - absit iniuria verbis - del giornalismo italico, cui io «non sono degno neppure di slegare i lacci dei sandali» (la citazione è dai Vangeli), a emettere sentenze con il timbro della inappellabilità.Intendiamoci: alzi la mano chi non ha mai preso una topica. Ci caschiamo tutti, prima o poi, e i politici in questo fanno scuola.
augusto minzolini
Ma si sa: loro, sbilanciandosi tra promesse e profezie, sono abituati a pensare una cosa, dirne una seconda, farne una terza, per poi giurare di essere stati fraintesi. Noi iene dattilografe non potremmo però evitare? Mieli è pure recidivo.
L'8 gennaio 2018, a due mesi dalle elezioni politiche, ospite su La 7 con Matteo Renzi, a precisa domanda su come sarebbe andata per il Pd, di cui il Toscano del Grillo («Io so' io, e voi eccetera...») era allora segretario, replicò: «Non sono catastrofista, è messo meglio di quanto lo danno i sondaggi, dovessi scommettere direi che i risultati saranno migliori».
ENRICO MENTANA
Va bene, però dimmi la morale, pardon: la percentuale, lo incalzò maligna Lilli Gruber, e lui: «Il 25% sarebbe un voto clamoroso» (la regia, perfida, staccò sulla faccia di Renzi tra il perplesso e lo spiazzato). E difatti.
Così clamoroso che, per la cronaca, il Pd andò peggio del peggior sondaggio di quei mesi, la rilevazione di Tecnè che all'inizio dell'anno lo dava al 20,7%, inchiodando nelle urne al 18.8%.Anche a Enrico Mentana è toccato inciampare in un errore di valutazione.
Mentre si occupava del romanzo Quirinale, in un fuori onda durante un servizio su Giuseppe Conte si è lasciato andare: «È quello che se la sta giocando meglio di tutti».
MARCO TRAVAGLIO
Per completezza va aggiunto che aveva premesso: «Non l'avrei mai detto». Che è stata la mia reazione quando ho sentito quel giudizio: 'a Enrì, ma che stai a dì? Mai avrei pensato che tu potessi anche solo lontanamente immaginarlo, un Conte che contasse.
MARCO TRAVAGLIO
Tant' è che quando Giuseppi si è esposto su un possibile voto del M5s a favore di Draghi al Quirinale, la nemesi ha voluto che la telefonata di smentita di Beppe Grillo, «ipotesi che non esiste», sia arrivata proprio a Mentana mentre era in onda. Da Grillo all'aedo dei grillonzi - e «vedova di Conte» - Marco Travaglio è un attimo.
Ecco come, su La 7 (e dove sennò?, dicembre 2020), pontificava con la consueta aria di umile superiorità: «Il governo Draghi? Una simpatica barzelletta. A me non risulta lui voglia fare il premier. E poi non esiste una maggioranza pronta a sostenerlo. Il M5s non lo voterebbe, la Lega non lo voterebbe. Lo chiamino, così scopriranno la sua indisponibilità e la pianteranno con 'sta storia».
carlo de benedetti 1
E difatti (messo peggio di lui, sul tema, ci fu solo Carlo De Benedetti - non è un giornalista, ok, ma è pur sempre un editore, prima di Repubblica ed Espresso, oggi di Domani - che ancora su La 7, settembre 2020, pronosticava: «Escludo nel modo più categorico, conoscendolo bene, che Mario Draghi possa fare il presidente del Consiglio»).
carlo de benedetti 2
Quando non giochiamo al «gràttati e, magari, vinci» a casa nostra, ci avventuriamo a commentare il voto degli altri: «La campagna elettorale di Donald Trump è ufficialmente finita stanotte, al terzo dibattito con la rivale Hillary Clinton», era il fulminante incipit di un post su Facebook a due settimane dal voto del 2016 (se non lo trovate, il sito Dagospia lo ha in archivio) firmato da Gianni Riotta - già direttore del Tg1 e del Sole 24 Ore, uno dei 39 esperti selezionati per il «Gruppo di alto livello contro la disinformazione», promosso dalla Commissione europea per combattere le fake news - che condiva il de profundis con un verdetto apodittico: «Hillary vincerà». E difatti. Per questo, fossi in Giorgia Meloni, davanti al tweet di Vittorio Feltri, a rielezione di Sergio Mattarella ufficializzata: «Il centrodestra si è sfasciato. Un suicidio.
GIANNI RIOTTA
L'unica che si salva è Giorgia Meloni, grande donna che non si piega e non si spezza. Alle prossime elezioni il suo sarà il primo partito», ringrazierei per la stima (reciproca: lei lo ha candidato nel 2021 a Milano con un'esternazione tracimante entusiasmo: «Sono estremamente fiera di annunciare che il direttore Vittorio Feltri ha deciso di iscriversi a Fratelli d'Italia e che lo abbiamo convinto a guidare la lista di Fdi alle prossime elezioni amministrative»). Ma terrei a portata di mano un corno napoletano.