
FLASH! – A CHE PUNTO E' LA NOTTE DELL’INTELLIGHENZIA VICINA AL PARTITO DEMOCRATICO USA - A CASA…
CENT’ANNI DI SOTTSASS – MUGHINI: “HA CAMBIATO IL VOLTO E LA FILOSOFIA DELL’ARREDARE MODERNO - ANDAVA ALL’OPPOSTO DI VENTI E PIÙ ANNI DI DESIGN ITALIANO RIGOROSO E FUNZIONALE, L’IDEA CHE NON CI DOVESSE ESSERE ALCUNA RELAZIONE TRA LA FORMA E LA FUNZIONE” - AURELIO MAGISTÀ: “LA SUA CREATIVITA’ RESPINGEVA PRESCRIZIONI E SCHEMI PER PUNTARE ALLE EMOZIONI” - UNA MOSTRA IMPERDIBILE ALLA TRIENNALE DI MILANO
Testo di Giampiero Mughini, “Introduzione” al catalogo della mostra romana (aprile-giugno 1997) “Sottsass e Memphis. Forme e linguaggi del villaggio globale” curata da Andrea Orsini
GIAMPIERO MUGHINI - copyright Pizzi
Le lampade, i vasi in vetro, le librerie esposte (fino a gennaio) nella galleria milanese “Post Design” di via della Moscova sono giovani e palpitanti come fossero uscite ieri da un atelier artigiano. E invece hanno sulle spalle già vent’anni, i vent’anni che ci separano dalla sera in casa di Barbara Radice dove il giradischi su cui stava girando un disco di Elvis Presley si inceppò: e quell’incidente fu ritenuto beneaugurante da quel gruppo di giovani designer e architetti capeggiati da Ettore Sottsass che si apprestavano a cambiare il volto e la filosofia dell’arredare moderno. Diedero perciò alla loro avventura il nome del titolo del disco, “Memphis”, una sigla divenuta leggenda. Alle prime mostre dei loro mobili, tale era la ressa dentro e attorno alla galleria milanese di Mario e Brunella Godani che ne veniva interrotto il traffico stradale.
Avevano poco più di vent’anni Aldo Cibic, Michele De Lucchi, Marco Zanini, George J. Sowden, Nathalie Du Pasquier, tutti nomi oggi notissimi a chi ama il design e gli attribuisce nella cultura contemporanea il rango d’eccellenza che merita. Loro padre, tutore, guru, e direttore di lavori era Sottsass, l’architetto trentino allora poco più che sessantenne il cui curriculum fino a quel momento era stato prodigioso ma come underground. In pochi conoscevano e apprezzavano le lampade che aveva disegnato per Poltronova, le ceramiche disegnate per il Sestante, la macchina da scrivere “Valentina” fatta per la Olivetti, i libri e le riviste che si era editato in proprio al tempo del suo matrimonio e del suo sodalizio intellettuale con Nanda Pivano.
All’inizio di tutto c’era un materiale che Sottass aveva scovato nelle latterie milanesi di periferia e di cui si era innamorato, il laminato plastico. Quanto all’uso spudorato del colore o meglio dell’incontro dei colori, questo era un pallino di Sottsass già ai tempi in cui aveva progettato la “Valentina” rossa rossa, un colore del tutto inedito per un macchina da scrivere.
E poi l’idea che andava all’opposto di venti e più anni di design italiano rigoroso e funzionale, l’idea che non ci dovesse essere alcuna relazione tra la forma e la funzione. Lampade che non avevano affatto l’aria di lampade, librerie che sarebbe stato un delitto metterci sopra dei libri, tavoli inaspettati e urticanti, vasi in vetro le cui parti erano incollate le une alle altre, uno scandalo per i puristi del vetro di Murano.
Dal 1981 al 1987 fu il trionfo della creatività assoluta. Ciascun designer arrivava alle riunioni della sera con un suo quaderno dov’era appuntato un progetto, un mobile da realizzare. Una sera, in una casa dove stavano trascorrendo le vacanze, si misero a inventare lampade alla luce delle candele perché in quella casa non c’era l’elettricità. Ne nacquero mobili che stupivano, anche se in pochi li compravano. Karl Lagerfeld si mise subito a collezionarli fino ad arredarne interamente una sua casa a Montecarlo. Di una sorta di divano alla maniera di un ring della boxe, il “Ring” disegnato da Masamori Umeda nel 1981, ne vendettero quattro esemplari, di cui due al pugile Mike Tyson.
pivano - Peter-Orlovsky-Allen-Ginsberg-e-Gregory-Corso
Tuttora in produzione, quei mobili sono tutti nei musei d’arte contemporanea, dalla libreria “Carlton” di Sottsass al “Ring”, dalla lampada “Buenos Aires” di Cibic ai pezzi straordinari di Peter Shire, un designer di Los Angeles. Cimeli più che mobili, a via della Moscova ne potrete ammirare la gran parte.
SOTTSASS STORY - LA PASSIONE PER L’ARTE, I VIAGGI, I GRANDI AMORI E L’IRONIA MA SOPRATTUTTO LA CREATIVITA’ CHE RESPINGEVA PRESCRIZIONI E SCHEMI PER PUNTARE ALLE EMOZIONI
Aurelio Magistà per la Repubblica
macchina per scrivere valentine
La fame. La guerra. La prigionia. I mille colori e le sorprendenti forme create da Ettore Sottsass affondano le radici in un terreno accidentato. Perché è nelle vicissitudini della guerra e nella confusione della sconfitta che Sottsass ha contratto quella febbre di vita che ne segnerà lo stile e l' esistenza. A cominciare dalla quantità delle opere. Migliaia di progetti, di pagine fitte della sua scrittura rotonda, centinaia di migliaia di fotografie, molte scattate proprio in guerra. E poi innumerevoli disegni e schizzi, da architetto che era stato tentato di diventare pittore.
Tutto custodito dalla seconda moglie Barbara (non a caso figlia di un pittore, l' astrattista Mario Radice).
E tutto improvvisamente di nuova attualità: il 2017 segna il doppio anniversario di Sottsass, nato il 14 settembre del 1917 e morto il 31 dicembre del 2007.
Architetto figlio di un architetto (Ettore come lui, che per questo a lungo avrebbe aggiunto un "jr" al proprio nome), nato a Innsbruck, studente al Politecnico di Torino, sembra predestinato a una vita borghese cui invece lo sottrae proprio la guerra. «Avevo venticinque anni. Le condizioni previste per la vita di un giovane architetto borghese erano tutte, assolutamente tutte, saltate».
Alpino, evita la Grecia e la Russia, poi finisce in Montenegro. Prigioniero, per tornare in Italia si arruola nel nuovo esercito di Salò: «A Ulm sono finito nella Monterosa ma ho rifiutato di iscrivermi al partito fascista». Poi diserta e si rifugia in montagna. Al ritorno, prova a lasciarsi tutto alle spalle aprendo uno studio di architettura a Milano, per fare contenta Fernanda Pivano, che sarà la sua prima moglie. La passione per l'arte è forte: partecipa al Movimento Arte Concreta, intanto per vivere fa di tutto, anche uno stand fieristico per Carpano, produttore di vermouth. «Passavo i giorni con artigiani del ferro del legno della ceramica del vetro perché mi aiutassero a capire che cosa poteva succedere con le diverse materie».
I legami con l'architettura viennese, insieme alle relazioni e ai viaggi della Pivano, gli aprono orizzonti all'epoca riservati a pochissimi, ne segnano la vocazione internazionale, gli offrono occasione di straordinari incontri. «Viaggiavo di notte da Pisa a Firenze. Al mio fianco c'era Fernanda e seduto dietro Allen Ginsberg. Per tutto il viaggio Allen ha fatto un discorso fantastico sulla parola. Diceva più o meno che ogni parola non ha soltanto un significato ma tanti, consegnati nel tempo alla parola dalla dinamica delle convenzioni».
la villa di david kelley disegnata da ettore sottsass 7
Oppure: «A Cuba, la casa si chiamava Finca Vigìa. Io me ne stavo lì bravo bravo in silenzio e qualche volta Hemingway si girava verso di me e mi raccontava la storia che stava scrivendo come se i personaggi in quel momento fossimo noi due. Stava provando dal "vero" se più o meno la sua storia poteva stare in piedi».
la villa di david kelley disegnata da ettore sottsass 9
Come progettista, pensa che gli oggetti devono emozionare, andare al di là della semplice funzione. Principio che ispira la sua art direction a Poltronova, dal 1957. Può apparire curioso che, con simili idee, finisca l' anno dopo in quell' incubatore del futuro e di utopie che è la Olivetti. «Lavoravo con Roberto Olivetti e Mario Tchou al progetto del primo grande calcolatore elettronico italiano. Io ero stato chiamato per il design, mentre Mario Tchou dirigeva il gruppo degli ingegneri e Roberto Olivetti era il presidente della "Divisione elettronica Olivetti" appena fondata. Io ero il meno impegnato e il meno responsabile. Ma mi venivano delle idee». Fra le tante, la magica Valentine, macchina da scrivere datata 1969, non elettronica ma meccanica, rossa fiammante, portatile diventando essa stessa valigetta grazie a un involucro.
Ama lavorare con gli altri, confrontarsi, fare gruppo, anche con spirito contraddittorio, da anarchico del pensiero qual è. Un' inclinazione che ne fa un anticipatore e un fondatore. Anticipa e sostiene i temi e le critiche del Radical design, versione progettuale del Sessantotto (non a caso epicentro sono le facoltà di architettura, in primis Firenze), incrocia i gruppi di Alchimia e Archizoom, e partecipa a una comunità di amici e di "allievi". Con cui fonda Memphis. «Nel settembre 1981 a Milano abbiamo fatto "Memphis", una mostra di mobili progettati da vari designer un po' italiani, un po' giapponesi, spagnoli, francesi, americani e inglesi.
la villa di david kelley disegnata da ettore sottsass 8
Quei mobili avevano la caratteristica di essere decorati con laminato plastico, e di avere tutti quanti colori più o meno vivaci. Si potrebbe dire che si riferivano alle esperienze pop - ma un pop della suburbia milanese forse più che di quella americana o forse un misto internazionale - oppure rivisitavano l' architettura del movimento moderno in modo vagamente ingenuo».
L' oggetto-manifesto è la libreria Carlton. Il successo - sono i giorni del Salone del mobile - è inaspettato e clamoroso, ma «l' establishment professionale milanese... Era molto rabbioso e scandalizzato. Dicevano che "Memphis" non aveva basi culturali, che non aveva futuro, che intorbidava le acque e niente altro, e anche l'amico Magistretti era infuriato perché insegue il bello, e anche Gregotti non era per niente interessato perché insegue l' architettura come attività metafisica "Memphis" a molta gente è sembrato un giocattolo e basta».
ettore sottsass e fernanda pivano
Il movimento, non sistematico, non prescrittivo e anarcoide proprio come Sottsass, dura pochi anni. L' onda lunga dei personaggi coinvolti e delle vocazioni suscitate è arrivata a oggi. In un mondo interiore fatto di emozioni, di passioni come quello di Sottsass, un ruolo fondamentale lo hanno le donne. Che si sceglie forti, energiche. Fernanda Pivano lo vuole sposare ma dinanzi alla sua indecisione sposa un altro. Che lascia nel 1949, quando gli chiede di andare a vivere con lei. Lo mantiene mentre Ettore cerca di capire che cosa fare, e forse chi essere. Oltre due decenni di vita insieme.
an ettore sottsass valentine typewriter from was one of the most delicate pieces
Ma nel 1976 irrompe Barbara Radice. Si conoscono alla Biennale di Venezia. Lui è conquistato, prima che dalla sua giovinezza (gli anni di differenza sono più di trenta), dalla sua intensità: «Barbara stava seduta sul davanzale della finestra con un' immensa quantità di sole di giugno, luce, oro, nei capelli biondi. Aveva seni piccoli, braccia sottili come un' indiana, tutta magra, con blue jeans stretti, scarpe di pelle nera, tacchi alti. Eravamo nello studio di Vittorio Gregotti, che voleva farmi lavorare per la Biennale Barbara mandava fuori quel mistero delle donne belle, intatte, selvagge è venuta a parlarmi nello studio, abbronzata, splendente, forte, diritta, invasa dalla vita».
Quella vita che lo avrebbe abbandonato solo molti anni dopo, nel 2007; era il 31 dicembre, una data che sa di cose compiute, come quando si completa un progetto. Sensazione che lui ha anticipatamente smentito: «Io sono amico della gente incerta, perplessa, modesta che cerca di capire e che sempre è nello stato di uno che non ha capito. Sono molto amico della gente che ha paura».
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