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    CENTO LINEE DI SOLITUDINE - NEL DOCUMENTARIO “HOTLINE” SI SEGUONO LE STORIE DI UTENTI E OPERATORI CHE CONVERSANO DI SESSO, RELIGIONE, SUICIDIO, TUTTI I TORMENTI UMANI APPESI A UN FILO


     
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    Tim Teeman per “Daily Beast

     

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    Nonostante quelli che ansimavano, facevano scherzi e si masturbavano, il mio volontariato al “London Lesbian and Gay Switchboard” ha rappresentato una delle esperienze più appaganti della mia vita. Seguivo quella “hotline”, che ha appena compiuto i 40 anni, tre ore al giorno. Chiamavano idioti, bigotti e tipi strani, ma in numero esiguo rispetto a chi aveva davvero bisogno di una guida.

     

    C’era chi, in lacrime, era stato lasciato, chi aveva appena confessato il proprio orientamento sessuale ai genitori, chi stava per suicidarsi. Ognuno raccontava la propria storia, parlava a lungo. Si crea una strabiliante intimità a stare al telefono con un estraneo.

     

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    Questa realtà ora la sonda Tony Shaff nel documentario “Hotline”. Segue la vita di chi chiama e di chi risponde, il contatto che si stabilisce fra chi non si conosce ma si presta a combattere l’isolamento e l’alienazione.

     

    Esistono “hotline” di tutti i tipi di problemi: dipendenza, religione, sesso, depressione. A pagamento o gratuite. La “GBLT Hotline” statunitense ha 75 volontari, quasi 10.000 chiamate nel 2013, e spesso chi chiama viene da luoghi isolati o conservatori e non ha mai parlato con una persona della comunità LGBt prima. Telefonano quattordicenni dal ponte, mentre decidono se buttarsi o meno.

     

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    La “Homework Hotline” aiuta gli studenti in difficoltà, gli operatori sono insegnati che risolvono problemi non solo di matematica. L’”Anti-violence Project” e la “Teenline” fanno un lavoro simile. Non dicono cosa bisogna fare, ma cosa si potrebbe fare. L’ascolto è terapeutico di per sé. All’improvviso sei parte dei pensieri più privati di qualcuno e un secondo dopo, clic, ha attaccato. Stessa cosa accade al “911” (240 milioni di chiamate all’anno): si riceve l’urgenza e poi non se ne sa più nulla. La notte, poi, amplifica la disperazione.

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    Spesso gli operatori rivivono accadimenti personali del passato. Hanno subito traumi e hanno chiamato una “hotline”, quando li hanno superati hanno deciso di aiutare altri. Sanno che, se le circostanze fossero diverse, ci sarebbero loro all’altro capo del telefono. La “Go Time Ministries” è rivolta a chi cerca assistenza spirituale, la “Bay City Blues” è la linea di sesso dove ti tramuti in chi vuole l’utente, la rossa eccitata o la moglie a cui il marito ha comprato delle tette nuove. Il sesso al telefono, sostengono le operatrici, non riguarda l’orgasmo ma il contatto umano.

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    Tutti gli operatori telefonici, ognuno a suo modo, credono che questo lavoro possa ancora salvare delle vite. A volte è vero, a volte no. Di certo la “hotline” è uno spazio di accoglienza e protezione. Chi risponde può solo sperare di aver detto la cosa giusta, o la meno dannosa. Esistono così tante crisi, così tante esternazioni del tormento umano, così tante solitudini da ascoltare, che quelle voci di persone mai viste continuano a squillarti in testa.

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