DAGOREPORT - L’ASSOLUZIONE NEL PROCESSO “OPEN ARMS” HA TOLTO A SALVINI LA POSSIBILITA’ DI FARE IL…
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L'idea di rispolverare il nome di Enrico Letta, che era in esilio dorato a Parigi a dirigere la Scuola di affari internazionali dell'Istituto di studi politici, si deve a Goffredo Bettini e a Dario Franceschini. I due si sono confrontati e, trasportati dalla comune ostilità per Renzi, hanno scelto il più antirenziano tra i big del partito. Uno che a sentir pronunciare il nome "Matteo" soffre travasi di bile. E' ancora aperta la ferita di quel 13 febbraio 2014 in cui la Direzione nazionale, sobillata da Renzi, chiese la sua testa e lo costrinse a mollare la Presidenza del Consiglio.
Se ad affondare il colpo fu Matteuccio, a prendere la mira ci pensò l'ubiquo Franceschini. Gli "addetti ai livori" ricordano una telefonata, quando i malumori nel Pd già agitavano la poltrona di palazzo Chigi di Enrichetto, in cui il buon Su-Dario rassicurò Letta: "Ci penso io a tenere buono il partito". E due giorni dopo arrivò il tweet di Renzi, "Enrico stai sereno".
Il ritorno al Nazareno sarebbe il miglior modo per cicatrizzare la ferita. Letta medita sulla proposta: "Sono grato per la quantità di messaggi di incoraggiamento che sto ricevendo. Ho il Pd nel cuore e queste sollecitazioni toccano le corde più profonde. Ma questa inattesa accelerazione mi prende davvero alla sprovvista; avrò bisogno di 48 ore per riflettere bene. E poi decidere".
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Qual è il vero nodo della sua riflessione? Letta non è un "cuor di leone", manca di coraggio politico e indugia in mille tentennamenti prima di agire. La sua esitazione è legata al terrore di veder sfumare altre e più ghiotte opportunità. Innanzitutto il suo nome è in ballo (su proposta dello staff di Biden) per la Segreteria generale della Nato, ruolo a cui ambisce anche Matteo Renzi.
E poi ci sono sempre le due poltrone più pesanti d'Italia, palazzo Chigi e Quirinale, che saranno in gioco alla conclusione del settennato di Mattarella, a gennaio 2022. Accettare l'incarico di segretario del Pd, quindi, lo terrebbe lontano da partite molto importanti. Non a caso Letta ha posto due condizioni per accettare: restare in sella fino al 2023 e ricevere l'investitura con il consenso interno più ampio possibile, coinvolgendo anche la corrente dei "giovani turchi" di Orfini e "Dems" di Andrea Orlando. Non solo. Enrichetto vuole la garanzia che Nicola Zingaretti, appena defenestrato, non apra le ostilità per riprendersi il partito, magari presentando una sua lista al Congresso.
E gli ex renziani di "Base riformista"? Masticano amaro e tremano. Se Enrichetto dovesse guidare i dem fino alle elezioni politiche del 2023, da segretario avrebbe il potere di formare le liste elettorali, epurando il partito da ogni traccia di renzismo.
Se Enrico Letta alla fine dovesse rinunciare, Zingaretti verrebbe richiamato in fretta e furia come reggente d'emergenza con l'accordo di portare il Pd a Congresso entro giugno, prima cioè delle elezioni amministrative.
Guerini, Lotti e Marcucci vogliono a tutti i costi impallinare l'alleanza con il M5s prima che si voti a Roma, Milano e negli altri capoluoghi. Anche perché il rapporto con i grillini inizia a impensierire pure i non renziani. Le ultime uscite di Grillo ("Mi propongo come segretario del Pd") e Casalino ("Nel Pd ci sono dei cancri da estirpare") hanno rinforzato il sospetto che nel M5s considerino il Partito democratico una sorta di terra di conquista…
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