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Niccolò Carratelli per “la Stampa”
Dopo le bollette e la benzina, le badanti e le colf. L'inflazione renderà molto più onerosi nel 2023 i contratti di lavoratori domestici e collaboratori familiari, con aumenti anche oltre i 120 euro al mese. Dal 18 gennaio, infatti, dovrebbe scattare l'adeguamento del 9,2% delle retribuzioni minime previste per i lavoratori del settore, in base alla variazione dell'indice Istat dei prezzi al consumo (pari all'80% dell'inflazione).
Per avere un termine di paragone, lo scorso anno l'incremento era stato del 2,8% e, nella maggior parte dei casi, non aveva comportato aumenti in busta paga, perché le retribuzioni medie nazionali, calcolate secondo i valori di mercato, erano già al di sopra dei minimi retributivi.
ANZIANO IN CARROZZINA CON BADANTE
Stavolta, invece, almeno questo è l'allarme lanciato dalle associazioni datoriali, lo stipendio mensile di una badante non convivente per persona non autosufficiente, che lavora 30 ore a settimana, crescerebbe da 926 euro del 2022 a 1.012 euro del 2023: circa 86 euro in più a carico del datore di lavoro, senza contare ferie, tredicesime e Tfr. Per la badante convivente a tempo pieno si passerebbe da 1026 euro circa a 1121 (95 euro in più in busta paga).
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Mentre per una babysitter di un bambino sotto i sei anni (a tempo pieno, non convivente), che lavora 40 ore a settimana, i costi per la famiglia sarebbero ancora maggiori: la retribuzione da 1.234 euro nel 2022 salirebbe a 1.348 nel 2023, 114 euro in più in busta paga. Parallelamente crescerà dell'8,4% anche il totale da versare all'Inps per i contributi previdenziali.
«Speriamo che si arrivi a una mediazione affinché l'adeguamento delle retribuzioni minime non sia automatico, cioè non sia all'80% dell'inflazione, ma minore», dice Andrea Zini, presidente di Assindatcolf e vicepresidente Fidaldo, Federazione Italiana dei datori di Lavoro Domestico.
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La proposta resta quella di scaglionare nel tempo l'adeguamento all'inflazione, per evitare un impatto immediato troppo duro sul bilancio delle famiglie. Nello specifico, procedendo con un 25% di adeguamento a trimestre, anche arrivando al 100% nell'ultimo trimestre del 2023. Altra richiesta delle associazioni datoriali è quella di defiscalizzare il lavoro domestico. Senza un accordo che modifichi le regole vigenti, tra una settimana gli aumenti si applicheranno in automatico. L'articolo 38 del Ccnl, infatti, prevede che, in mancanza di un'intesa dopo tre incontri, l'adeguamento delle retribuzioni minime scatti all'80% dell'inflazione.
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Dopo due riunioni interlocutorie, l'attesa è per il tavolo di lunedì prossimo al ministero del Lavoro, a cui sono convocate tutte le parti sociali firmatarie del contratto nazionale del lavoro domestico, per definire i termini dell'aggiornamento retributivo. «Noi siamo costruttivi e ragioniamo sempre nel rispetto dei diritti dei lavoratori - aggiunge Zini - ma anche tenendo conto delle esigenze delle famiglie datrici di lavoro, già alle prese con gli aumenti delle bollette».
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Per Fidaldo il rischio è che in molti casi si decida di «ridurre l'orario di lavoro», anche in situazioni familiari difficili o quando il datore di lavoro è lo stesso anziano pensionato bisognoso di assistenza. Oppure che, per evitare il salasso, «ci si rifugi nel sommerso», andando ad ampliare la già maggioritaria platea di collaboratori domestici che lavorano in nero. Secondo gli ultimi dati disponibili, quelli in regola, con un contratto e registrati all'Inps, sono il 40% del totale, cioè 961mila. Mentre gli irregolari sarebbero almeno 2 milioni.
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Dall'altra parte, però, i sindacati di categoria non sembrano disposti a fare sconti, parlando di «allarme infondato» diffuso dalle associazioni datoriali. Secondo Filcams Cgil, Fisascat Cisl, Uiltucs e Federcolf, «l'adeguamento retributivo è necessario» e quelli in vista sono «aumenti previsti dal Ccnl per andare incontro alle esigenze di un settore estremamente debole, dal punto di vista salariale e normativo».
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Un settore, va ricordato, che non è composto solo da lavoratori stranieri, che pure sono oltre il 70%. I numeri forniti da Domina, altra associazione di datori di lavoro domestico, mostrano una crescita consistente degli addetti italiani, che tra il 2012 e il 2021 sono passati dal 19 al 30%, e in particolare dei giovani sotto i 30 anni.