Bernardo Valli per “la Repubblica”
obama assad
Era prevista da tempo. Ad affrettarla deve avere contribuito la pessima situazione militare in Iraq. Adesso l’estensione dell’offensiva aerea americana alla Siria dà al tentativo di contenere e col tempo distruggere l’autoproclamato Stato islamico tutti gli attributi di una guerra vera. La durata?
Sarebbe azzardato fare pronostici. Barack Obama si è ben guardato dal farne. In quanto agli sviluppi il presidente americano non sembra invece avere dubbi. Lui non lascerà un solo “santuario” ai terroristi. Ma l’impresa chiede tempo e rischia di finire nella mani del prossimo inquilino della Casa Bianca.
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Un intervento più ampio, sostenuto anche da paesi arabi, comunque si imponeva. Era urgente. Sul piano politico e militare. L’allargamento del conflitto a gran parte della regione del Tigri e dell’Eufrate, la Mezza Luna Fertile degli storici, un tempo “culla di civiltà” diventata valle di tragedie, non riesce tuttavia a dissipare la confusione creata da un groviglio di alleanze e di doppi giochi.
L’appoggio aereo degli Stati Uniti nelle ultime sei settimane ha consentito alle forze armate irachene e alle milizie curde alleate di fermare la marcia su Bagdad delle truppe del “califfato”, ma non ha evitato pesanti sconfitte nel resto dell’Iraq. Al punto che il governo nazionale perde terreno, non controlla più circa un quarto del paese. Nelle province a maggioranza sunnita, in particolare quella di Anbar, attigua alla capitale, intere unità sono state circondate e decimate. Anche con esecuzioni sommarie.
La passività della popolazione sunnita, o addirittura la sua collaborazione, hanno favorito e favoriscono le forze jihadiste del califfato espressione dell’estremismo sunnita. La solidarietà più comunitaria che religiosa, gestita da un mosaico di tribù e dai residui dell’esercito di Saddam Hussein ansiosi di una rivincita sugli sciiti, è un’arma efficace nelle mani dello Stato islamico. Nella stessa Siria settentrionale quest’ultimo ha guadagnato terreno provocando l’esodo della popolazione curda verso la Turchia.
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Era dunque indispensabile colpire al più presto l’avversario nella sua tana siriana, nella provincia settentrionale di Raqqa, la “capitale” dello Stato islamico. Da dove arrivano ordini e aiuti. Ed era altrettanto urgente coinvolgere nell’operazione i paesi arabi sunniti, per chiarire il loro fermo desiderio, armi alla mano, di distinguersi dall’estremismo sunnita. Dichiarandosi un califfato esso si è posto al di sopra di tutti gli Stati musulmani, e ne ha abolito virtualmente i confini poiché l’autorità del califfo abbraccia l’intero Islam.
L’autoproclamazione ha urtato tradizioni e suscettibilità. In molte capitali è apparsa un’usurpazione. Una bestemmia. La partecipazione di Bahrein, della Giordania, del Qatar, degli Emirati arabi uniti e soprattutto dell’Arabia saudita alle incursioni sulla Siria è stata un’aperta dichiarazione di guerra a chi esercitando il terrorismo si è dichiarato successore del Profeta, e quindi si è collocato in una posizione di superiorità rispetto agli stessi custodi della Mecca e di Medina.
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La dignità offesa di presidenti, sovrani ed emiri al potere è tuttavia estranea al sentire di parte delle popolazioni, attente ai più azzardati richiami religiosi. Da qui il cospicuo numero di partecipanti alla grande coalizione promossa dagli americani desiderosi di non esporsi troppo. Barack Obama è stato garbato, ha detto che sono una quarantina, senza nominarli. I cinque paesi che hanno mandato i loro aerei sulla Siria sono un’avanguardia di non poco conto, ma gran parte del mondo arabo non ha osato andare oltre le dichiarazioni di principio o gli aiuti indiretti e il più possibile anonimi. La loro riservata solidarietà è in tutti i modi preziosa.
Barack Obama ha potuto affermare che nella battaglia non ci sono soltanto gli Stati Uniti. Ha aggiunto che farà di tutto per garantire la sicurezza dei membri della grande coalizione, della regione e «del mondo intero». Sebbene ambizioso l’impegno doveva essere esplicitato. Il conflitto non è limitato al campo di battaglia iracheno-siriano. Le ramificazioni dello Stato islamico sono larghe e imprevedibili.
il mondo secondo l'isis 2
Lo ha rivelato nelle ultime ore la presa dell’ostaggio francese in Algeria da parte di un’organizzazione che si dice ispirata dal remoto califfato di Raqqa. Il gruppo originario, il «califfato», può essere eliminato o indebolito dalle bombe guidate dei droni e dai missili della US Navy, ma per neutralizzare la patologia micidiale dell’islamismo ci vorranno altre armi e tempi più lunghi. Il terreno di scontro è più vasto della Mezza Luna Fertile, cosi battezzata per la sua forma geografica e la generosità dei suoi raccolti, nel frattempo sfumata e sostituita dal petrolio. Insieme allo Stato islamico gli Stati Uniti hanno bombardato il gruppo armato Khorasan composto da ex militanti di Al Qaeda.
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Il suo capo, Muhsin al-Fadhli, era giovane, aveva 19 anni, l’11 settembre del 2001, ma ebbe un ruolo, pare, nell’organizzare l’attacco alle Torri gemelle. La guerra civile ha creato in Siria un imprecisato numero di movimenti islamisti. Spesso in concorrenza. Tutti sostengono di opporsi alle forze governative di Damasco, e considerano Bashar el Assad, il loro principale nemico, ma al tempo stesso si scontrano, nell’ambito della ribellione, con quelli di cui non condividono le idee. La mischia è feroce. La più presa di mira è la Coalizione nazionale, considerata laica, alla quale gli americani hanno deciso di fornire delle armi.
ABDALLAH DI GIORDANIA
Si è cosi creata una situazione in cui gli Stati Uniti bombardano e al tempo stesso aiutano l’opposizione. Le bombe sono per le forze jihadiste e l’appoggio per i moderati. I quali si uccidono tra di loro, jihadisti contro laici, e simultaneamente combattono ognuno per conto proprio contro Bashar al Assad.
Gli americani escludono di avere coordinato la loro azione con il presidente siriano. Rifiutano di collaborare con lui. Barack Obama l’ha accusato di torturare la sua gente e gli ha negato ogni legittimità. Ma Damasco assicura di essere stato informato da Washington dell’attacco allo Stato islamico e Bashar al Assad dice di essere favorevole ad «ogni sforzo contro il terrorismo internazionale». Si dichiara insomma soddisfatto delle incursioni americane contro il califfato.
dopo gli scontri tra l esercito iracheno e i terroristi
Bashar al Assad, in quanto alawita appartenente a una comunità dell’area sciita, ha come principale alleato l’iraniano Hassan Rohani. Il quale è però più realista del re. Denuncia infatti l’azione militare degli Stati Uniti in Siria come illegale, perché avviene senza l’autorizzazione di Damasco. Le contraddizioni, i doppi giochi, le false dichiarazioni sono frequenti.
L’Iran è in apparenza esclusa dai giochi, ma le milizie sciite sotto la sua influenza o i suoi ordini, si battono sul terreno contro lo Stato islamico e con il «non concertato» appoggio aereo americano. E in apparente sintonia con l’Arabia saudita. Quest’ultima notizia, se confermata, sarebbe una grande novità mediorientale. I sauditi, campioni dei sunniti, collaborano con gli iraniani, campioni degli sciiti. Due acerrimi nemici si parlano sottobanco, per eliminare il califfato.