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    CHI È LA SPIA DI PUTIN A NEW YORK? - LE TANTE VITE DI ELENA BRANSON, 61 ANNI, PASSAPORTO RUSSO E AMERICANO, E PER GLI 007 DI JOE BIDEN INFILTRATA IN AMERICA AL SERVIZIO DEL CREMLINO - DA QUESTA NOTTE È NELL’OCCHIO DEL CICLONE, DOPO VENT’ANNI NEGLI STATI UNITI A PROMUOVERE L’AMORE DELLA PATRIA RUSSA: IDENTIKIT DELLA LOBBISTA-AGENTE (E DELLE SUE AMICIZIE), COMPRESO QUEL TENTATIVO NEL 2016 DI AGGANCIARE TRUMP…


     
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    Francesco Bechis per www.formiche.it

     

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    Si chiama Elena Branson, ha 61 anni, passaporto russo e americano, e per gli 007 di Joe Biden è una spia al servizio del Cremlino. Inizia così la prima spy-story dal sapore di Guerra Fredda da quando è iniziata l’invasione russa in Ucraina.

     

    A denunciare l’attività sotto copertura di Branson, al secolo Elena Chernykh, è il procuratore Damian Williams alla Corte Federale di Manhattan.

     

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    Martedì sera il ministero della Giustizia ha pubblicato la lunga deposizione di Neil Sommers, agente dell’Fbi, che conferma sotto giuramento: Branson opera da vent’anni come agente segreto dei Servizi russi.

     

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    Il nome della donna nell’occhio del ciclone giudiziario non dice nulla ai più. È invece noto al circuito diplomatico e consolare russo negli Stati Uniti. Nel 2012 ha fondato il “Centro russo di New York”, una fondazione con l’obiettivo, recita il sito (dormiente da anni), di “celebrare e condividere l’eredità culturale russa”. Diversa è la descrizione che ne dà l’Fbi: “Un centro di propaganda russo”.

     

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    Nel frattempo è stata direttrice di un’altra istituzione legata al governo russo, il “Consiglio della comunità russa negli Stati Uniti”, e in questa carica si è distinta per aver coordinato la campagna di promozione al grido “I love Russia” rivolta alla “gioventù americana”.

     

    Oggi Branson, che è arrivata negli Stati Uniti nel 1999 e li ha lasciati alla volta di Mosca nell’ottobre 2020 per non farvi più ritorno, è accusata di aver lavorato in America come “agente della Federazione russa e del governo di Mosca” violando il Fara (Foreign Agents Registration Act), la legge che prevede l’obbligo di registrarsi al ministero della Giustizia come agenti al servizio di Paesi stranieri.

     

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    Per l’ambasciata russa a Washington, che con Branson ha un rapporto risalente nel tempo, si tratta dell’ennesima “caccia alle streghe” che riporta gli Stati Uniti “all’era del Maccartismo”, si legge in una nota. La testimonianza di Sommers, l’agente che da anni segue le mosse della presunta spia di Mosca, sembra però lasciare pochi dubbi.

     

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    Da quindici anni a questa parte la vita newyorkese di Branson è apparentemente quella di una vivace promotrice di attività culturali russe. Cene, serate di gala, incontri e conferenze, inaugurazioni, tutte con il patrocinio (e, svela l’Fbi, migliaia di dollari in fondi) del governo russo.

     

    Nella lunga lista di inviti di peso spunta anche un tentativo, nell’aprile del 2016, di avere come ospite d’onore l’allora candidato presidenziale Donald Trump e la sua famiglia a un torneo di scacchi internazionale a Manhattan.

     

    Branson non una lobbista qualunque, ma una faccendiera con entrature di peso nel Cremlino, rivendicate di continuo nelle telefonate e chat con i suoi ospiti russi a New York intercettate dagli 007 americani.

     

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    Perfino con Vladimir Putin, il presidente russo, e il suo ministro degli Esteri Sergei Lavrov, invitati a più riprese agli eventi “patriottici” messi in piedi dall’alacre agente russo-americana.

     

    Come il “Congresso mondiale dei compatrioti che vivono all’’estero”, una kermesse organizzata dal ministero degli Esteri russo che ogni anno richiama a Mosca la diaspora all’estero.

     

    Per il governo russo è un’attività tutt’altro che secondaria. Non è un caso se nel luglio del 2020, tra gli emendamenti che hanno cambiato volto alla costituzione della Federazione russa cancellando, tra l’altro, il limite dei mandati presidenziali, è stata anche inserita la previsione secondo cui il governo “offre sostegno ai compatrioti che vivono all’estero nell’esercizio dei loro diritti […] e nella preservazione della loro identità culturale”.

     

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    Branson, insomma, non è una pedina di secondo piano nell’attività dello “sharp power” russo all’estero, per citare una felice rivisitazione della famosa espressione di Joseph Nye.

     

    Branson e Butina a Mosca

    Non a caso, tra una foto e l’altra con diplomatici e accademici russi, gli archivi del web riportano a galla una lunga intervista su Russa Today rilasciata da Branson a Maria Butina, parlamentare russa espulsa dagli Stati Uniti nel 2018 dopo aver confessato di essere una spia al servizio del Cremlino.

     

    Ma nella lunga e decorata carriera di faccendiera e attivista (vera o presunta) di Branson a New York, riportata nei dettagli nella deposizione dell’Fbi, spuntano anche realtà della diplomazia e della macchina di influenza del governo russo che sono ben note in Italia.

     

    È il caso del Rossotrudnichestvo, a Roma più conosciuto con il nome di “Centro russo di scienza e cultura”, l’agenzia governativa per la cooperazione internazionale ospitata sotto le volte di Palazzo Santa Croce e cuore pulsante dei movimenti diplomatici russi nella capitale.

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