1 – UNO BIANCA, NUOVE INDAGINI
Estratto dell’articolo di Andreina Baccaro per il “Corriere della Sera”
fratelli savi
Una serie impressionante di errori, depistaggi e falsi testimoni costellò la vicenda giudiziaria della banda della Uno Bianca, che tra il 1987 e il 1994 seminò una scia di sangue in Emilia-Romagna e nelle Marche. La banda, che portò a segno 103 azioni criminali (24 le vittime e 102 i feriti), era composta per cinque sesti da poliziotti e capeggiata dai fratelli Fabio e Roberto Savi.
Ora, un nuovo esposto di 250 pagine presentato a maggio dai familiari delle vittime, assistiti dai legali Alessandro Gamberini e Luca Moser, chiede di fare chiarezza sulle zone d’ombra mai chiarite. E 33 anni dopo la strage del Pilastro, di cui oggi ricorre l’anniversario, la Procura di Bologna sembra vicina a una svolta.
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Nel nuovo fascicolo (contro ignoti) si ipotizza il concorso in omicidio, unico reato non prescritto, per una serie di vicende che all’epoca non furono approfondite. Digos e Ros stanno risentendo i testimoni chiave, poi rivelatisi falsi, ex poliziotti e carabinieri che ebbero un ruolo in queste piste errate.
[…] Ad esempio: perché nessuno approfondì il viaggio in Africa di soli tre giorni che Roberto Savi fece a febbraio ’90 a Kinshasa, accompagnato da un collega poliziotto, proprio lì dove avevano riparato tanti ex agenti dei servizi segreti legati al neofascismo?
roberto savi
Nei depistaggi orditi da uomini in divisa per la strage del Pilastro (con i carabinieri di pattuglia Andrea Moneta, Mauro Mitilini e Otello Stefanini trucidati) e gli omicidi di Castelmaggiore, ad esempio, secondo i familiari si intravedono le responsabilità di chi, dall’interno dei corpi dello Stato, garantì alla banda l’impunità per 7 anni.
L’omicidio del carabinieri Cataldo Stasi e Umberto Erriu, il 20 aprile del 1988: «I due giovanissimi militari furono mandati a morire — accusa Gamberini — da qualcuno dentro l’Arma».
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Ma nell’esposto si punta il dito anche contro una magistratura «inadeguata, che aveva fretta di chiudere». Nelle indagini si inserì l’allora brigadiere del nucleo operativo Domenico Macauda, che si autoaccusò di aver posizionato un secondo bossolo nella Uno bianca abbandonata dai Savi, a suo dire per intestarsi la svolta nelle indagini.
In realtà Macauda fece sparire una prova vera, il bossolo sparato dalla pistola che poteva portare ai Savi. E limò il cane della sua arma perché aveva saputo che era stata ordinata una perizia balistica su tutte le armi in uso ai carabinieri del suo nucleo. Per quale ragione l’Arma sospettava di se stessa? […]
2 – UNO BIANCA: A PM ATTI SUL CAMBIO VERSIONE DELL'EX BRIGADIERE
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(ANSA) - La prima volta che l'ex brigadiere dei carabinieri Domenico Macauda venne interrogato dal pm della Procura bolognese Giovanni Spinosa, il 16 giugno 1988, ammise la responsabilità per alcuni capi di accusa, ma ne respinse altri: in particolare, disse di non c'entrare nulla con le imputazioni di calunnia per l'eroina e i bossoli fatti trovare in due perquisizioni, bossoli dello stesso tipo e marca di quelli utilizzati per l'omicidio dei carabinieri Cataldo Stasi e Umberto Erriu, assassinati il 20 aprile 1988 a Castel Maggiore (Bologna).
Un delitto per cui sono stati condannati i fratelli Fabio e Roberto Savi, killer della banda della Uno bianca. Poi però, in un successivo interrogatorio, il 22 giugno, lo stesso Macauda, esordì dicendo: "Prima che lei mi faccia delle domande ... ammetto tutti gli addebiti", comprese le calunnie prima negate. Macauda in seguito fu condannato proprio per calunnia, per aver fatto accusare pregiudicati e una famiglia di incesurati, attraverso le prove false.
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E la sua posizione, per gli avvocati dei familiari delle vittime della banda, che a maggio hanno depositato un esposto chiedendo la riapertura delle indagini, rappresenta uno dei punti oscuri di tutta la vicenda. Gli avvocati Alessandro Gamberini e Luca Moser, nella memoria integrativa depositata nei mesi scorsi, con atti dell'epoca citati, hanno segnalato proprio la particolarità di questo cambio di versione e di atteggiamento.
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La tesi dell'esposto è che questo avvenne al fine di allontanare da sé un'ipotesi più pesante e cioé quella di aver concorso nell'omicidio dei colleghi, che il pm gli aveva contestato solo pochi giorni prima. La richiesta dei legali alla Procura, che indaga proprio nell'ambito di un fascicolo per concorso in omicidio, ma a carico di ignoti, è di approfondire che riscontri si cercarono, all'epoca, alle dichiarazioni dell'indagato, quelle fatte quando negò e quelle successive, quando confessò.
UNO BIANCA
eva mikula 2 banda uno bianca 2 la banda della uno bianca