Monica Perosino per “La Stampa”
le ricchezze nel sottosuolo afgano
Dopo vent’anni i taleban sono tornati a essere i padroni dell’Afghanistan e della sua immensa riserva mineraria ancora intonsa. Le aspre e magnifiche montagne, nate 40 milioni d’anni fa, racchiudono un tesoro di rame, oro, gemme preziose, ferro e terre rare per un valore che oscilla tra mille e tremila miliardi di dollari, secondo l’ultimo rapporto dell’US Geological Survey.
Minerali custoditi nel sottosuolo, non ancora sfruttati, in uno scrigno che dal Hindu Kush arriva fino all’altopiano sud-occidentale. Una ricchezza smisurata se calata in un mondo agli albori della transizione ecologica e affamato di terre rare, un mondo in cui le risorse afghane pesano molto più del loro valore economico come impatto sugli equilibri geopolitici globali.
afghanistan estrazione di minerali preziosi
Il sottosuolo dell’Emirato è ricco di risorse come rame, oro, petrolio, gas naturale, uranio, bauxite, carbone, minerale di ferro, litio, cromo, piombo, zinco, pietre preziose, talco, zolfo. Ma la dote che fa gola a molti sono quei 1,4 milioni di tonnellate di terre rare, un gruppo di 17 elementi fondamentali per le loro applicazioni nell’elettronica di consumo e nelle attrezzature militari, necessari per realizzare prodotti di alta tecnologia.
Le terre rare si trovano in beni di largo consumo come smartphone e televisori, e sono pilastri per la green economy, in quanto essenziali per realizzare pannelli fotovoltaici e auto elettriche.
soldati americani lasciano l'afghanistan
Per non parlare del litio: già nel 2010 il Pentagono definiva l’Afghanistan «l’Arabia Saudita del litio» per le sue enormi riserve del metallo fondamentale per auto elettriche e batterie, talmente richiesto che nel 2020 è entrato nella lista ufficiale delle 30 materie prime considerate dall’Ue «critiche» per l’indipendenza energetica, un metallo per il quale l’Aie ha stimato che la domanda globale aumenterà di 40 volte entro il 2040.
Altre terre rare come il neodimio, il praseodimio o il disprosio sono cruciali nella fabbricazione di magneti utilizzati nelle industrie del futuro, come l’eolico o le auto elettriche.
talebani
Che uno dei Paesi più poveri del mondo nascondesse un tesoro immenso non è una scoperta dell’Usgs. I primi a comprendere il potenziale del sottosuolo afghano erano stati i sovietici durante l’occupazione terminata nel 1989.
I rapporti vennero nascosti per anni, fino a quando nel 2001 non ci mise sopra le mani la Cia. Da allora, il fascino dell’Afghanistan come un Klondike dilaniato dalla guerra non si è mai offuscato: George W. Bush ha condotto rilievi aerei per mapparne le risorse, Obama ha istituito una task force per cercare di impiantare un’industria mineraria, Trump ha esplorato le potenzialità dell’estrazione su vasta scala.
arsenale in mano ai talebani 7
Ma, uno dopo l’altro, i sogni sovietici e americani di impossessarsi del tesoro seppellito sotto l’Afghanistan si sono infranti sulla situazione politica instabile e sulla totale mancanza di infrastrutture.
Neanche i taleban, oggi come vent’anni fa, hanno la forza – da soli – di sfruttare quelle risorse che, se estratte, renderebbero il Paese uno dei più grandi centri minerari al mondo e trasformerebbero radicalmente l’economia taleban, in gran parte basata sulla produzione di oppio e sul traffico di stupefacenti.
i talebani festeggiano la fuga dei soldati americani.
Ma nella corsa al Klondike asiatico c’è qualcuno che non si è fatto scoraggiare da guerre, occupazioni, diritti umani violati. Mentre la presa di potere dei taleban ha scoraggiato la maggior parte degli investitori, la Cina sembra più che predisposta a fare affari con la nuova Kabul: a poche ore dalla presa del palazzo presidenziale, la seconda economia mondiale si è detta pronta ad avere relazioni «amichevoli e cooperative» e già a luglio il ministro degli Esteri cinese Wang Yi aveva incontrato il leader taleban Baradar, forse ricordando a quelli che sarebbero stati i nuovi padroni del Paese quel contratto che detiene dal 2007 per sfruttare il gigantesco giacimento di rame di Mes Aynak, un progetto che secondo il giornale statale cinese Global Times, «potrebbe partire dopo che la situazione si sarà stabilizzata».
persone in fila per scappare da kabul
Peccato che il Mes Aynak, oltre a essere il secondo giacimento di rame al mondo, sia soprattutto un immenso sito archeologico, con centinaia di templi buddhisti posati su civiltà risalenti a 5 mila anni fa.
TALEBANI
Ma gli affari sono affari e alla Cina l’Afghanistan interessa «sopra» e «sotto»: sopra, per la sua posizione strategica sul corridoio sino-pachistano della Nuova Via della seta; sotto, per le sue ricchezze minerarie.
I giacimenti cinesi soddisfano il 70% del fabbisogno mondiale di terre rare, l’Europa dipende da Pechino per il 98%, ma la domanda globale non fa che aumentare. Se la Cina mettesse le mani sul tesoro dei taleban il peso economico e geopolitico di Pechino non avrebbe più confini.