Gino Castaldo per "la Repubblica" -Estratti
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Ci manca solo la caccia alla streghe del rap, come se la causa di ogni male fosse una manciata di canzoni che sono poco garbate nei confronti delle donne, per non dire di peggio. Queste canzoni — ce ne sono di tremende — non sono la causa ma casomai parte del problema, soprattutto quando rispecchiano quel vecchio drammatico sentire di arroganza e prevaricazione maschile. Da lì a considerarle un incoraggiamento al femminicidio ce ne corre.
Queste associazioni meccaniche sono indimostrabili e pericolosissime perché giustificano percorsi tutt’altro che scontati ed emanano un pessimo odore di censura. Un cantante ha il diritto di pubblicare un brano maschilista e prendersene la responsabilità, così come ognuno di noi ha il diritto di sostenere che quello è un brano maschilista.
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A guardarsi bene in giro di canzoni discutibili ce ne sono da ogni parte, perfino nella tradizione più classica, vedi Tom Jones che cantava Delilah, né più né meno un femminicidio confessato. I crimini, quelli veri, sono un’altra cosa. Se andassimo ad analizzare i gusti musicali dei mostri che maltrattano le donne, che le ritengono oggetti di loro possesso, forse scopriremmo associazioni tutt’altro che prevedibili.
Charles Manson, leader della setta che ha compiuto la strage di Bel Air, era un accanito fan dei Beatles, i suoi seguaci scrissero Helter skelter sul muro col sangue delle vittime. Quando i Velvet Undeground incisero il pezzo di Lou Reed intitolato Heroin in molti lo accusarono di istigare all’uso di droga e lui si difese dicendo che ciò che raccontava era l’inferno della tossicomania, altro che un incitamento. Il confine è molto labile, a volte inesistente, e questo vale per serie tv, film e videogame dove la violenza è un’apoteosi devastante; eppure nessuno si sogna di bandirli perché diseducativi o inneggianti alla barbarie.
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