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    UN NOME CHE HO ''GIA'' SENTITO - TRA FILM IN COSTUME E RICOSTRUZIONI ANNI '70, CI VUOLE LA NIPOTE DI FRANCIS FORD COPPOLA, PER VEDERE UN PO' DI CONTEMPORANEITÀ A VENEZIA: IN ''MAINSTREAM'' RACCONTA COME È FACILE CREARE UN MOSTRO GRAZIE AI SOCIAL, UN FRANKENSTEIN APPLICATO A INSTAGRAM - LEI SI CHIAMA GIA, DIMINUTIVO DI GIAN-CARLA, COME IL PADRE CHE MORÌ POCO PRIMA CHE LEI NASCESSE IN UN INCIDENTE IN MOTOSCAFO


     
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    Valerio Cappelli per il ''Corriere della Sera''

     

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    L'importanza di chiamarsi Coppola. Nelle sue vene scorre il sangue di Hollywood. «Sono sempre più affascinata dall'immagine della mia città e dal suo significato», dice Gia Coppola. Ha 33 anni, il volto ovale allungato, appartiene a una dinastia che è un clan, nel senso buono del termine. Ama la moda e le piace sperimentare al cinema, andando contromano ma con stile, assecondando una ebbrezza gentile, patinata. Ha le sue cicatrici, il nome, Gia, è un richiamo alle radici italiane: il suo vero nome Gian-Carla, è un omaggio al padre Gian-Carlo che morì poco prima che lei nascesse in un incidente su un motoscafo, guidato dal figlio di Ryan O' Neal che cercava di passare a folle velocità tra due imbarcazioni vicinissime.

     

     

    gia coppola gia coppola

    A Venezia porta un film in cui la protagonista ha perso il padre. Ma la storia è un'altra, c'è uno sfondo leggero di denuncia sociale: «La dipendenza da Internet». Lei e suo nonno, Francis Ford Coppola. «Mi ha dato consigli preziosi su come togliere ansia e insicurezza, dal nonno, uomo saggio e buffo, ho anche ereditato la passione per il vino, che produciamo in California. Ma ho cercato una mia voce originale. Lavoro duramente per realizzare me stessa. Le creature umane sono pezzi unici».

     

    I suoi zii sono Sofia e Roman, suo cugino è Nicolas Cage.

    «Sono cresciuta con i riflettori addosso».

     

    È al Lido con « Mainstream», e partecipa al panel Mastercard sul cinema nell'era digitale.

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    «Lo streaming deve convivere con le vecchie sale che io vedo come le chiese, luoghi in cui ci si concentra e non si mangiano pop corn. Nel film racconto i falsi miti creati da Internet. C'è qualcosa di mio in questo film, così come dei miei amici. Sono i pericoli che vedo e che possono accadere. L'idea mi è venuta guardando Un volto nella folla di Elia Kazan, sul cantante folk che diventa idolo delle folle tv, un demagogo. E inquietante l'ultima immagine del protagonista Andy Griffith, la sua risata maniacale che si spegne su un cartellone pubblicitario della Coca-Cola che svanisce nel nero».

     

    Fu girato negli anni 50.

    «È stato pericolosamente importante per me, la satira sulla transizione dalla radio alla tv, il potere dell'entertainment e allo stesso tempo la love story con un sottotono alla Frankenstein, la giornalista che crea un mostro. Volevo combinare una eco di quel film con la possibilità iper-veloce di diventare celebri. È un film bizzarro, girato in appena 19 giorni, ci ho messo un po' per trovare i partner giusti che credessero nel progetto».

     

    Cosa racconta?

     «Tre amici sul web, una barista, Mata Hawke (figlia di Uma Thurman e Ethan Hawke, ndr ) lavora col suo migliore amico, Nat Wolff, in un comedy club di Hollywood, dove si beve seguendo sketch, e poi una figura misteriosa, un megalomane interpretato da Andrew Garfield, filmato dalla barista mentre lancia invettive sul conformismo, le sue sfuriate finiscono online in uno show dove lui si fa chiamare Nessuno di speciale. Una storia contro il narcisismo e la dipendenza dei social».

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    C'è un dialogo sul vuoto pneumatico del web.

    «Sui più giovani che si nascondono dietro a un computer e su YouTube adorano un tipo di vita fatto di niente, se non imiti Kardashian pensi di non valer nulla. Gli influencer possono destabilizzare. A Hollywood anche gli insetti amano i riflettori».

     

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    Torna sette anni dopo «Palo Alto», il suo esordio.

    «Lo produsse James Franco, è tratto dai suoi racconti, le difficoltà dell'adolescenza, la gioventù bruciata di Hollywood. Ho fatto il mio primo film da sola e a modo mio, sono stata orgogliosa di mostrarlo in anteprima in Italia, dove sono le nostre origini».

     

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    Lei viene dalla fotografia.

    «L'ho studiata al college. Ero timida, mi nascondevo dietro l'obiettivo e osservavo la vita. Il cinema è stato un'estensione della fotografia, ho scoperto la bellezza di lavorare in un team».

     

    Il film della sua vita?

    «I primi pianti li ho fatti con Bambi , il vero spavento lo provai a 7 anni vedendo Lo squalo di Spielberg. Il cinema che ha influenzato il mio immaginario è il mondo onirico di Fellini, e Rocco e i suoi fratelli di Visconti. Siamo tutti in debito col vostro cinema, col nostro cinema italiano».

     

     

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