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    AMMAZZA QUANTO MENA IL “CICCIONE”! CLAMOROSO AL MADISON, IL PANZONE RUIZ ANNIENTA JOSHUA E CONQUISTA IL MONDIALE DEI MASSIMI – DOPO ESSERE ANDATO A TERRA IL PUGILE MESSICANO HA STESO 4 VOLTE IL CAMPIONE: “ERA LA PRIMA VOLTA CHE VENIVO ATTERRATO: QUESTO MI HA DATO FORZA”. PERÒ NON È FINITA QUI: NEL COPIONE ( O MEGLIO NEL "CONTRATTO") DI QUESTA FAVOLA C' È LA RIVINCITA (A DICEMBRE?) – VIDEO


     
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    Massimo Lopes Pegna per la Gazzetta dello Sport

     

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    Sabato sera nessuno scommetteva un dollaro bucato su quel ciccione con la panza a cui era stato chiesto di ribaltare un pronostico (quasi) impossibile: conquistare il titolo dei massimi, come mai riuscito a un suo connazionale. Era scritto: Andy Ruiz, californiano di nascita ma messicano nell' anima, nel cuore e nel passaporto, era destinato a finire lungo disteso molto prima del gong della dodicesima ripresa.

     

    Aveva davanti il suo contrario, l' inglese di origine nigeriana, Anthony Joshua: un ragazzone di due metri con gli addominali scolpiti e la faccia da modello. E a 29 anni, con un curriculum già glorioso: una medaglia d' oro ai Giochi di Londra 2012 (anche se con verdetto poco chiaro contro il nostro Roberto Cammarelle nei supermassimi), 22 successi (con 21 k.o.) e tre corone dei massimi (Wba, Ibf, Wbo), la categoria più importante e prestigiosa del pugilato.

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    Ma questo è lo sport dove se prendi sottogamba il rivale e non ti sei preparato con cura, non ti salvi in calcio d' angolo o spedendo la palla in tribuna.

     

    Anche le botte di uno con le braccia adipose e la cintura di grasso fanno male. E Ruiz non è certo un brocco. Una sola sconfitta, di misura, contro Joseph Parker, l' unico a resistere in piedi a Joshua: non esattamente una coincidenza. Così, mentre l' inglese a maggio si faceva fotografare dentro il negozio di Hugo Boss di Manhattan per cui s' improvvisa anche stilista e finiva sulla patinata copertina di GQ Inghilterra, Ruiz disegnava a tavolino il piano per fermarlo. In verità, lui era la riserva della riserva. Il titolare Jarrell Miller era stato trovato positivo dall' antidoping e il suo sostituto, Luis Ortiz aveva rinunciato alla possibilità, ammaliato dalla chance di una rivincita con il campione Wbc, Deontay Wilder.

     

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    Era il debutto americano di Joshua, diventato celebre per la vittoria due anni fa contro il grande ex re, forse ormai un po' stanco, l' ucraino Wladimir Klitschko, dopo essere finito però a terra in due occasioni.

     

    Fu il match dell' anno e lui nuovo divo della categoria.

    Quando nel 3° round, sul palcoscenico più rinomato del mondo (il Madison Square Garden di New York), Joshua ha piazzato un montante destro e un gancio sinistro e Ruiz è rotolato al tappeto per la prima volta nella sua vita, tutti hanno creduto al solito e scontato epilogo. Errore. Lo stesso che ha ingannato il campione: «Ok, anche questo è andato giù: fine del match. Ora sotto con Wilder per l' unificazione del titolo dei massimi».

    Ma nella testa di Ruiz si è formato un pensiero ben diverso.

    Spiegava: «Era la prima volta che venivo atterrato: è ciò che mi ha dato forza. Volevo metterlo k.o.». E così partiva coraggiosamente al contrattacco con una scarica di cazzotti e un potentissimo colpo alla tempia che facevano capitombolare per due volte uno stupefatto Joshua, poi salvato dal gong.

     

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    Lo shock nei suoi occhi sgranati raccontava in diretta il dramma di una giornata storta. Identico sguardo disorientato che aveva l' allora imbattuto re dei massimi Mike Tyson in una notte del 1990 al Tokyo Dome mentre gattonava alla ricerca del paradenti caduto sotto i colpi di Buster Douglas, un altro improbabile vincitore poi subito sconfitto da Evander Holyfield.

     

    Nella sesta ripresa, il californiano con le braccia flaccide tornava a bombardare chi invece si massacra in palestra a sollevare pesi. Il sipario scendeva nel round successivo con il finale a sorpresa. Ruiz sfogava la sua rabbia repressa e Joshua andava giù; si rialzava ma veniva ancora abbattuto.

     

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    Quando si rimetteva in piedi, sembrava un ubriaco nel pieno della sbronza: si appoggiava alle corde e l' arbitro fermava tutto dopo 1'27". Un «upset» così non si vedeva dal 2001 quando l' americano Hasim Rahman demolì l' inglese Lennox Lewis e poi da quello storico k.o. subito da Tyson in Giappone.

     

    Però non è finita qui: nel copione (il contratto) di questa favola c' è la rivincita (a dicembre?). E ci sono le parole persino troppo pacate di Joshua: «È la bellezza dei pesi massimi: ora la categoria s' infiamma. Non voglio che la gente sia dispiaccia per me.

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    Non era la mia serata. Ma, ehi, è stupendo per la tv e per chi ci guarda». Ruiz, rivolto alla famiglia, gridava: «Mamma, adesso la nostra vita cambia. È bellissimo. È ciò che ho sempre sognato e per cui ho lavorato duramente. Solo il cielo sarà il mio limite». La dedica è a tutti quelli che non avevano creduto in lui (tanti) e a quei pochi che si sono arricchiti scommettendo un pugno di dollari sulla sua vittoria.

     

     

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