Daniele Capezzone per ''La Verità''
Claudio Borghi, fino a pochi mesi fa presidente della Commissione bilancio della Camera (prima che la nuova maggioranza decidesse di occupare anche quelle postazioni parlamentari), è un deputato della Lega, e soprattutto uno dei più attivi esponenti eurocritici del partito. Ha accettato una conversazione a tutto campo con La Verità.
Che fa, mi diventa eurolirico pure lei? La devo immaginare avvolto nel bandierone Ue con l' Inno alla Gioia in sottofondo?
MESSAGGIO DI SALVINI A BORGHI SUL MES NON FIRMIAMO UN CAZZO GIUGNO
(Sorride) «Ah, cominciamo così? Non credo proprio: preferisco il bianco-rosso-verde».
Scherzi a parte, mi pare che lei ponga una questione molto seria: che succede se a Bruxelles ci dicono di no?
«A chi oggi vive autentici drammi economici e familiari credo che le sigle dei gruppi nel Parlamento europeo interessino assai poco: contano le soluzioni. Adesso l' Europa ti concede di fare deficit, ma a un certo punto può decidere di reintrodurre le solite regole. Se sei al governo e ti si chiede non di spendere ma di prelevare 100 miliardi, a forza di tasse e di tagli, tu che fai? Ubbidisci? E se non vuoi piegarti che piano hai?».
Devo però farle la domanda di controprova. Non correte il rischio di apparire «spettatori»? Come dire: vediamo quando arriva il collasso di questa Ue. E se invece il collasso non arriva? Se Berlino riesce, magari più male che bene, a imporre un commissariamento strutturale ma soft dei Paesi mediterranei, che si fa?
MARCO ZANNI MATTEO SALVINI CLAUDIO BORGHI
«C' è un' illusione di fondo: quella per cui se sei "buono" con l' Ue, allora ti lasciano fare le cose. Il fatto che in questo 2020 abbiano concesso di spendere 100 miliardi (che con la prossima manovra diverranno 140) e che la Bce faccia incetta di titoli è invece largamente dovuto al motivo che la Francia (e non solo lei) non avrebbe resistito in condizioni ordinarie. Non a caso, l' impostazione iniziale della Lagarde era: "Non siamo qui a chiudere gli spread".
Poi qualcuno deve averle telefonato spiegandole che c' era un problema anche sotto la Torre Eiffel».Quindi non basta genuflettersi.
«Guardi, se bastasse dire: "Siamo vostri amici" per ottenere la libertà per l' Italia, lo troverei magari poco democratico, ma ci si potrebbe pensare. Ma non è così: il Patto di stabilità è stato per ora stoppato perché serviva agli altri, mica per il Pd».A volte ho l' impressione che non vendiate bene una merce ottima.
Mi spiego: lei e Alberto Bagnai, con Matteo Salvini che se ne convinse molto presto, foste i primi, a inizio Covid, a dire che l' unica carta immediatamente efficace sarebbe stata la Bce. È effettivamente andata così. Perché non lo rivendicate?
«Sono argomenti difficili da spiegare. Chi ci segue su Twitter, quella nicchia di appassionati, sa benissimo da anni e con anticipo ciò che accade. Certo, forse dovrebbe essere anche interesse degli imprenditori ragionare in anticipo su ciò che può succedere, ma in troppi insistono a seguire gente che non ha mai capito nulla. È il solito problema dell' informazione: per capire queste cose occorre molta passione e predisposizione, certo, ma soprattutto occorre studiare a fondo. In tv servirebbero spazi come quelli di un tempo del maestro Alberto Manzi. Io cerco di farlo soprattutto sui social. Ma in tv in tempi brevissimi, nei talk show, con gente che ti grida contro dopo pochi secondi, è quasi impossibile».
borghi salvini bagnai
Però c' è il rischio che, essendo seriamente eurocritici, appariate eurodistruttivi.
«Ah certo, chi ha dalla sua quasi tutti i mezzi di comunicazione, con poche eccezioni, può tentare di metterti addosso l' etichetta che preferisce. Io sono stato attaccato furiosamente con due distinte campagne di stampa, una volta - avendolo dichiarato in modo trasparente - per avere alcuni risparmi in titoli italiani, e una volta per averli in titoli esteri È facile descriverti come l'"uomo nero". Devo però dire che quando poi incontri imprese o interlocutori anche stranieri e ti ascoltano, scoprono che non sei affatto l'"uomo nero" e che anzi dici cose molto sensate. Fare paura potrebbe essere utile per le trattative».
È possibile lavorare a un tema di fondo, e cioè alla rinegoziazione dei trattati Ue, cercando alleanze in Europa? Mi è capitato più volte di proporre un punto partenza: chiedere per noi ciò che l' Ue concesse a David Cameron e al Regno Unito a inizio 2016, prima del referendum Brexit. Per la Gran Bretagna era troppo poco, ma per noi sarebbe moltissimo. È realistico ripartire da lì?
«Si potrebbe, eccome. Utilizzando il metodo che adottavamo quando eravamo in maggioranza. Mica dicevamo: "Vogliamo distruggere tutto". Però avanzavamo proposte che avevano un sostrato non casuale, ed erano volte a mettere in discussione alcuni dogmi. In Ue presentarsi in posizione supina non giova. I Paesi che ottengono di più, anche in termini di fondi, sono spesso quelli euroscettici, dalla Polonia all' Ungheria».
Rimpiange qualche vostra proposta non ascoltata?
«Per esempio quella delle 100 grandi opere da finanziare tramite Bce, creando lavoro e sviluppo ma senza pesare sul debito pubblico e sui bilanci nazionali. Invece il Recovery fund va in direzione opposta, e ti costringe ad andare in ginocchio a Bruxelles».
matteo salvini claudio borghi
Si può lavorare a rafforzare un meccanismo da «cartellino rosso», cioè a un recepimento sempre meno automatico di norme e direttive Ue, convincendo il Parlamento italiano a uno scrutinio più severo di ciò che arriva da Bruxelles?
«L' avevamo proposto con una mozione che era passata dopo la sciagurata accettazione della "procura europea", una delle tipiche cose che vogliono farti prendere a scatola chiusa, perché se no arrivano le sanzioni, perché se no Bonafede piagnucola, e così via. Dunque, dopo quel caso, puntavamo a creare una struttura per uno scrutinio ex ante della normativa in arrivo da Bruxelles, quando ancora norme e direttive Ue sono in fase ascendente. Ma Conte, e ne ho le prove, fece sapere che non aveva intenzione di dare seguito».
Non giriamo intorno al problema. Il suo collega Giancarlo Giorgetti, autorevole dirigente leghista e responsabile Esteri del partito, ha posto sul tavolo il tema della collocazione europea del vostro partito e ha evocato un dialogo con il Ppe. Lei come la pensa?
«Da una parte c' è molta logica: contare il più possibile. Anch' io, che sono stato in Parlamento per un tempo minore di Giorgetti, comprendo bene che un conto è stare in maggioranza e altro conto è stare all' opposizione. Dall' altro lato, però, mi pare che si sottovaluti un punto decisivo: facendo i "moderati", o presentando soluzioni che la gente non vuole, rischi proprio di non arrivarci in maggioranza.
Prendiamo il caso dei grillini: hanno fatto la svolta "moderata", effettivamente stanno al governo, ma al prezzo di aver distrutto la loro forza elettorale. Loro prima hanno preso i voti, hanno svoltato dopo, e li hanno persi».
E quindi che conclusione trae da questo ragionamento?
salvini giorgetti
«Dipende da cosa si vuole. Se uno vuole governare a ogni costo, può fare come il M5s. Ma se l' obiettivo fosse questo, mi lasci fare una battuta: anziché puntare al Ppe, tanto varrebbe iscriversi al Pd».
A me pare che il ragionamento di Giorgetti abbia un punto forte e un punto debole. Il punto forte è che oggettivamente la Cdu tedesca, e a cascata il Ppe, determinano ciò che accade in Ue, e quindi almeno interloquire è inevitabile. Il punto debole è che forse non tiene conto del 2011, quando Silvio Berlusconi (membro Ppe) fu silurato a colpi di sorrisini proprio dagli «amici» Merkel e Sarkozy. Secondo lei, come mai tanti dimenticano la ferita del 2011?
«Mi pare che anche Berlusconi e Forza Italia a volte mostrino di non comprendere cosa accadde allora Vede: un patto con i tedeschi sarebbe fattibile se servisse effettivamente alla Germania, ma non mi pare che sia alle viste un' intesa tra Germania e Italia per mettere in minoranza altri. Noi e la Germania, economicamente e forse anche geopoliticamente, siamo concorrenti naturali. Per assurdo, se uno dovesse entrare in questa logica, sarebbe da valutare un progetto a lunghissima scadenza con la Francia: questa era la logica di un' alleanza con la Le Pen. Ma se si pensasse che non andrà mai al governo allora bisognerebbe andare a iscriversi al gruppo di Macron, non al Ppe Un' alleanza Italia-Germania contro la Francia non ci sarà mai e quando c' è stata in passato non è andata benissimo, sarebbe autodistruttiva».
Mancano tre anni al voto politico. Una maratona, non una corsa sui 100 metri. Perché c' è in giro tanta fretta?
PAOLO SAVONA GIANCARLO GIORGETTI GIUSEPPE CONTE MATTEO SALVINI
«Penso che molti poteri forti del Paese pensino a scadenze più rapide rispetto al 2023, e che meditino soluzioni che necessitano dell' appoggio di tutti i partiti. Cose già viste. Ma allora torno alla provocazione di prima: tanto varrebbe iscriversi al Pd, se la logica fosse questa».
Lei pensa che, in attesa di decisioni finali, i vostri eurodeputati si collocheranno nel gruppo misto europeo, quello dei «non iscritti»?
«Se l' obiettivo è contare di più, andare nei non iscritti significa contare ancora di meno».
Non rischiate dentro il partito una convivenza difficile tra due - scusi la parola - «correnti» che potranno essere indotte dalla dinamica mediatica a litigare quotidianamente? Non era meglio puntare su un modello come quello dei repubblicani Usa, in cui convivono tante anime e mille sfumature, con un segretario che fa la sintesi e un programma essenziale che unisce tutti?
«Il rischio può esserci. Però se si passa da uno schema che altri definirebbero "leninista", dove il dibattito o non c' è o non è pubblico, a un modello di partito plurale (e Salvini giustamente insiste sull' esigenza di allargare), è naturale che specie all' inizio ci possano essere gioie e dolori. Ma poi a volte nella politica può accadere positivamente quello che accade con le cellule: una si doppia in due, poi si passa a quattro e così via fino a costruire un organismo sano e forte».
EMMANUEL MACRON CHRISTINE LAGARDE