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    L’URLO DI TATANKA - CLEMENTE RUSSO: “MI SENTO UN SIMBOLO DELL’ITALIA SPORTIVA: IO PORTABANDIERA AI GIOCHI DI RIO 2016” - ‘’ANCHE A ME HANNO PROPOSTO IL DOPING MA LI HO MESSI IN FUGA’’ – ‘’LA TALPA? L’HO FATTO PER SOLDI E GRAZIE A ME LA BOXE HA AVUTO BOOM DI ISCRITTI’’


     
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    Francesco Persili per Dagospia

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    «Non mi fare la regina sul ring, Anna Magnani!». Per Saviano e i suoi tifosi Clemente Russo è “Tatanka”, per il numero uno dei promoter di boxe Don King è “The White Hope” ma per il suo preparatore-guru Vittoriano Romancci, storico coach della lotta azzurra, resta semplicemente Anna Magnani. «All’inizio, vedendolo da fuori, lo avevo un po’ sulle palle. Poi l’ho conosciuto meglio e mi è piaciuto. Clemente è un istrione ma è nato campione. Il problema è quando si mette a fare la regina. Soprattutto fuori dal ring». Rieccola, Anna Magnani.

     

    Altri si sarebbero offesi, non Clemente Russo che in quel soprannome ci ha sempre (ri)trovato l’ironia e la feroce determinazione di Romanacci. Fosse stato per lui il gigante di Marcianise non avrebbe dovuto neanche perdere tempo con il libro (“Non abbiate paura di me”, Fandango Edizioni) scritto col giornalista Boris Sollazzo e presentato ieri sera a Roma alla galleria d’arte contemporanea Giacomo Guidi. Dal ring alla vita di tutti i giorni, il refrain non cambia: sudore, passione, disciplina e programmazione. Destinazione Rio.

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    «L’Olimpiade è il traguardo massimo di ogni sportivo: immaginatevi vincerla». I sacrifici, la fatica, i combattimenti non sono finiti. Dopo le due vittorie mondiali Clemente Russo ha ancora voglia di stringere i gomiti, alzare la guardia e cacciar fuori la cazzimma: «Ho ancora due sogni: essere il portabandiera ai Giochi di Rio del 2016 e vincere finalmente l’oro olimpico».

     

    I cinque cerchi li sente dentro come un pugno: «Reggere la bandiera del mio Paese davanti a tutto il mondo è qualcosa di profondamente emozionante». Il pensiero torna a Pechino 2008. Il senso di ingiustizia per la finale olimpica, la chiamata di Napolitano, la scelta di Petrucci di nominarlo alfiere degli azzurri nella cerimonia di chiusura.

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    Clemente Russo ci ha preso gusto e lancia la sua auto-candidatura per il ruolo di portabandiera a Rio: «Mi sento un simbolo dell’Italia sportiva. Sarò alla quarta partecipazione ai Giochi, ho due medaglie d’argento al collo. Ho sempre onorato i colori azzurri. Mi dispiacerebbe se dovesse portare la bandiera qualcuno che ha fatto meno Olimpiadi e vinto meno medaglie di me».

     

    Ai Giochi spera di andare anche Schwazer squalificato per doping, il pugile campano non fa sconti: «Non capisco chi cerca di aiutarsi. Se bari che gusto c’è? Anche a me hanno proposto di assumere sostanze illegali, li ho messi in fuga…Se sapessi che il mio avversario è dopato? Salirei sul ring lo stesso. La mia sfida sarebbe quella di vincere comunque».

     

    A scolpire il mito Tatanka ha contribuito Roberto Saviano con un articolo sull’Espresso e un racconto (che ha ispirato anche un film): «Siamo amici - rivela il pugile campano - e abbiamo molto in comune. Nessuno ci ha mai regalato nulla. Entrambi lottiamo, lui con la penna, io con i guantoni, per far prevalere la bellezza nella nostra terra».

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    Viene da un posto difficile, Clemente Russo, da una città in cui la violenza può colpire chiunque, i duri e i puri, i corrotti e i corretti. «Quella terra mi ha dato tanto: la boxe, innanzitutto, che mi ha forgiato come uomo e mi ha dato la possibilità di avere un posto di lavoro e la possibilità di inseguire il sogno olimpico».

     

    Non solo pugile anche attore, poliziotto, personaggio televisivo, il gigante di Marcianise non si vergogna delle sue performance sul piccolo schermo: «La Talpa? Volevo i 200mila euro del vincitore, non siamo calciatori e non nuotiamo nell’oro. L’esposizione mediatica ha fatto bene anche al pugilato visto che gli iscritti sono aumentati del 114%».

     

    Non esclude che, in futuro, possa partecipare ad altri reality o andarsene ad Hollywood. «Mi sto avviando alla fine della carriera ma a differenza di altri sportivi non corro il rischio di entrare in depressione se penso al futuro. Tra la famiglia, il cinema, il professionismo, la palestra e i miei cavalli le cose da fare non mancano». Ma prima c’è un oro olimpico da conquistare e quel tricolore da sventolare al cielo di Rio: «Spero che Malagò mi faccia questo regalo...»

     

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