LO SCATTO PERFETTO DI MANCHESTER
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Lo scatto - immediatamente virale - perfetto. Non è più una foto, ma una specie di quadro. Ha tutta l’aria di essere frutto del caso anche se è fuor di dubbio che il fotografo che ha premuto il clic, il ventiseienne freelance inglese Joel Goodman, sappia il fatto suo. Si è piazzato al posto giusto, al momento giusto e con la luce giusta. E appunto: siamo a Manchester, ora in bilico tra i secondi che portano dal 2015 al 2016. A terra, compare un uomo ubriaco.
Una donna, in pelliccia e abito rosso, si rivolge a un ragazzo che sta per essere ammanettato da due poliziotti. Una passante guarda e attraversa la scena. Inquadratura e bilanciamento da manuale: luci, ombre, posizioni, gesti. Scena michelangiolesca che evoca la «Creazione». Ma anche Hopper, in «Nighthawks».
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Fatto sta che la foto - i cui crediti appartengono all’agenzia London News Pictures - è stata ritwiittata con pennellate all'insegna della fantasia: rinascimentali, romantiche, impressioniste, surrealiste. Senza contare l'ubriaco: già meme ovunque
2. LA CREAZIONE DI MANCHESTER: SE UNO SCATTO DI CAPODANNO DIVENTA L’IMMAGINE PERFETTA
Michele Smargiassi per “la Repubblica”
Quell’uomo in blu voleva solo la sua birra. Una bottiglia di lager miracolosamente intatta e piuttosto incongrua in quel posto, posata sul selciato umido di una strada (ironia della topografia: Well Street, via del pozzo) come fosse sul bancone del pub.
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Sdraiato anche lui sull’asfalto — la notte di capodanno a Manchester può essere un’esperienza maledettamente seria — l’uomo ha plasticamente allungato le dita in uno sforzo estremo ed è entrato dritto dritto, suo malgrado, nella storia dell’arte. «Sembra un dipinto!»: milioni di contatti e condivisioni sui social, commenti, rielaborazioni, uno di quei fenomeni virali che esplodono imprevedibili in Rete.
Tutti impazziti per «la più bella foto dell’anno» — non perdono tempo, i nervi del web.
La foto ha già un nome mitico, La Creazione di Manchester, in omaggio a Michelangelo.
Che cosa è successo? Be’, tecnicamente si sa. Mentre l’uomo in blu finito a terra agognava la sua birra, lì a due passi c’era un fotografo, Joel Goodman, un freelance, che in quel preciso istante ha scattato.
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Una di quelle foto da news del primo dell’anno, auguri e bagordi, uscita sul Manchester Evening Post, neanche troppo drammatica, benché concitata: un agitato intervento di polizia, forse dopo un litigio, traffico bloccato, curiosi che sbirciano. Poi l’ha vista qualche occhio allenato, un produttore della Bbc di nome Roland Hughes l’ha twittata con quel commento, «sembra un bel quadro», e il flipper della Rete s’è acceso come un fuoco d’artificio.
Bene, abbiamo il come. Ma il perché? Milioni di fotografie vorrebbero essere baciate dalla stessa gloria. Perché proprio questa ha colpito nel segno? Be’, perché è vero: sembra un quadro. Accade ai fotografi di ricevere per intuizione istantanea, o dono del caso, una forma che il pittore suda sette camicie per costruire.
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Un annetto fa fece lo stesso scalpore la foto di una rissa nel parlamento ucraino: un perfetto dipinto barocco. Si, siamo conservatori, amiamo le immagini che ci ricordano altre immagini.
La prova: appropriata dal grande polipo del web, la foto di Manchester è stata subito taroccata per ricondurla ai suoi richiami pittorici: una stampa di Hogarth, un quadro impressionista, il man in blue al posto del Creatore della Sistina, o disteso sul lungofiume di Seurat...
La composizione di questa foto del resto è singolare, qualcuno le ha sovrapposto la spira mirabilis del Fibonacci per dimostrare che in quell’istante decisivo, come recita il mantra di Henri Cartier-Bresson che ogni fotoamatore manda a memoria, la realtà si è disposta in un geometrico equilibrio di forma e significato.
Guardate bene, non c’e solo l’uomo isolato nella sua aureola d’asfalto che si protende (didascalia del giornale) “come un guerriero verso la spada”: il dipinto fotografico scompone lo spazio come un quadro manierista, i due poliziotti che afferrano l’altro uomo steso, la donna che grida con la mano in un classico gesto di supplica, il gruppetto plastico dei voyeur al centro come un coro greco, la passante che guarda lo spettatore, davvero diresti che il fotografo abbia velocemente consultato i volumi del Pontormo o di Giulio Romano dei Maestri del colore prima di scattare.
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Però, suvvia, se chiedessimo ai millemila che hanno scritto euforici «sembra un quadro», quale quadro di preciso, scusa?, non credo avremmo molte risposte. Ma non importa. La cultura visuale collettiva abita nei nostri occhi senza bisogno di enciclopedie. Chiunque di noi vede troppe immagini nella vita per non udire con gli occhi una certa eco, quando s’imbatte in un’immagine azzeccata come questa, che rimbomba di echi come l’orecchio di Dioniso.
Non c’è neppur bisogno di scomodare la storia della pittura, basta vivere nell’iconosfera presente, è lei che seleziona per noi le eredità del passato. Una postproduzione abbastanza decisa piazza questa immagine nel pieno del gusto contemporaneo per la luce diffusa, i colori saturi, la leggibilità delle ombre e la trasparenza (c’era già tutto nelle pale d’altare medievali), lo stesso gusto dei cartoon di Miyazaki, della grafica dei videogame (questa non potrebbe essere una scena di Grand Theft Auto?) giù giù fino alle nostre foto delle vacanze, ben assistite dai filtri preset dello smartphone.
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Ciò detto, dovremmo fare uno sforzo in più. Quello di ricordare che una fotografia è sempre una foto di qualcosa. In questo caso, di persone che non se la passano troppo bene. Nulla di grave, almeno per quel che sappiamo, ma forse a quelle persone (ormai ricercate dai media come delle star) non piacerebbero gli scherzi visuali e l’euforia arty che li hanno travolti.
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«Sei l’uomo di questa foto? Fatti vivo, speriamo che tu stia un po’ meglio adesso», scrive con scrupolo il giornale che ha pubblicato per primo la foto. L’arte, la luce, la proporzione aurea, d’accordo, ma quando guardiamo una foto, qui come in occasioni un po’ più drammatiche, non stiamo guardando un dipinto. E davanti alla fotocamera di un reporter non c’e una tela, ma la vita degli esseri umani.
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