i giocatori della nazionale iraniana non cantano l'inno del regime e una donna sugli spalti si commuove...il coraggio in un semplice gesto che rimarrà nella storia...#Iran #IranRevolution #FIFAWorldCup #InghilterraIran pic.twitter.com/0P0XvdWwLr
— Sirio (@siriomerenda) November 21, 2022
Alessandra Muglia e Greta Privitera per il Corriere della Sera
nazionale iran
A noi, da qui, quelle bocche serrate e quegli sguardi fissi dei giocatori iraniani durante l'inno, prima della partita contro l'Inghilterra nei Mondiali in Qatar, hanno ricordato i pugni chiusi e alzati nel guanto nero dei velocisti americani Tommie Smith e John Carlos che, nel 1968, nello stadio Olimpico di Città del Messico, compivano uno dei gesti più potenti della storia dello sport, appoggiando in silenzio i movimenti per i diritti degli afroamericani. Ma a Teheran l'effetto è stato opposto. Quello che sui giornali occidentali è stato definito un «segno coraggioso», nelle strade e nelle piazze d'Iran è stato letto più come «opportunismo», «codardia». «Disonorati», urlavano dagli spalti.
«Disonorati», scrivono su Twitter gli attivisti. Non è un aggettivo qualunque. È lo stesso che i manifestanti usano per definire i pasdaran, i Guardiani della rivoluzione, nemici numero uno delle proteste che infiammano il Paese da ormai 68 giorni dove almeno 416 persone sono state uccise, 72 solo questa settimana, 56 delle quali nelle regioni curde.
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«Se i giocatori iraniani avessero voluto fare un gesto vero, avrebbero dovuto rifiutarsi di scendere in campo, la Fifa doveva espellere l'Iran», spiega Bita, 32 anni, attivista di Teheran. «Non cantare l'inno è un gesto diluito, un furbo escamotage che hanno trovato per lavarsi la coscienza e fingere vicinanza con il popolo. E intanto il regime sui suoi giornali li chiama "traditori": hanno perso su ogni fronte».
Decine i video che girano sui social di festeggiamenti al contrario: «Si vedono ragazzi in scooter sventolare la bandiera inglese. A ogni goal dell'Inghilterra Teheran esultava», continua Bita.
Molti attivisti accusano la nazionale di essere collusa con il potere. Non è piaciuto l'incontro tra la squadra e il presidente Raisi poche ore prima di partire per Doha. Un colloquio che agli occhi di molti conferma una certa intesa, o almeno una sottomissione: «Alcuni gli hanno baciato addirittura le mani». A difendere i suoi atleti ci prova il commissario tecnico Carlos Queiroz che sul suo account Instagram scrive «I giocatori non sono i nostri nemici».
tifosa iran
«Elnaz Rekabi, la ragazza che ha partecipato senza velo ai campionati di arrampicata di Seul, è stata coraggiosa. Come Vouria Ghafuri, centrocampista dell'Esteghlal, o Hossein Mahini, difensore di Persepolis, che è in stato fermo. Così come le ragazze del basket senza velo o i ragazzi della nazionale di beach soccer. La nazionale non rischia quello che rischiano loro», dice Faris, studentessa iraniana, su Telegram.
il portiere dell iran esce in barella dopo lo scontro con il compagno di squadra
Davvero quell'inno silenzioso è senza rischi? «È un regime brutale, abbiamo visto di cosa è capace, basti pensare all'esecuzione di David Afkari giustiziato nel 2020, il campione di lotta libera diventato poi anche un simbolo delle proteste del 2018 contro il carovita», dice Rob Koehler, direttore generale di Global athlete, l'associazione sportiva internazionale per i diritti degli atleti. Koehler risponde alle critiche contro la nazionale spiegando che bisogna tener presente le pressioni a cui questi atleti sono sottoposti. «Se non fossero partiti per il Qatar avrebbero subito ogni tipo di intimidazione e rappresaglia. Io credo abbiano fatto bene a partecipare anche perché i Mondiali offrono l'opportunità di accendere ulteriormente i riflettori. Non bisogna incolpare i giocatori ma la Fifa che non protegge gli atleti. L'unica federazione che ha avuto il coraggio di sospendere l'Iran è quella del judo». Mentre sui social si discute di «palloni insanguinati», il r egime ha attaccato gruppi di dissidenti curdi iraniani nel nord dell'Iraq, giustificandosi così: «Sono attacchi necessari i per proteggere i nostri confini».
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