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    COME DAGO-RIVELATO SI PREANNUNCIA UN AUTUNNO BOLLENTE PER DRAGHI, SALVINI DOPO LA DISFATTA LANCIA UN ULTIMATUM A MARIOPIO: “TORNEREMO SUL PRATONE DI PONTIDA IL 18 SETTEMBRE. PER QUELLA DATA VOGLIAMO RISPOSTE”. IL FEDELISSIMO FONTANA MUGUGNA: “DI QUESTO GOVERNO SONO ABBASTANZA STANCO” - MA IL LEADER RISCHIA IL COMMISSARIAMENTO DA PARTE DEI GOVERNISTI (GIORGETTI, ZAIA, FEDRIGA) – LA PROPOSTA DI SALVINI DI UN COMITATO POLITICO RISTRETTO PER… - DAGOREPORT


     
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    SALVINI

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    Cesare Zapperi per il Corriere della Sera

     

    La sua prima tappa post elezioni è stata a Genova per festeggiare Marco Bucci. Ma lì avete dimezzato i voti.

    «Giusto celebrare una vittoria figlia anche del Decreto Genova, provvedimento fortemente voluto dalla Lega e osteggiato dalla sinistra: grazie a Bucci e alla Lega di governo, il ponte Morandi è stato ricostruito a tempo di record mentre il Pd ci attaccava. Certo, la nostra lista ha pagato un prezzo alle civiche e all'astensione. Dobbiamo lavorarci».

     

    Lei dice che avete conquistato 21 sindaci in più. Ma ci sono anche quelli che avete perso, come Lodi, o dove siete in difficoltà (da Verona ad Alessandria a Parma).

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    «Per onestà, è giusto valorizzare i tanti nuovi Comuni conquistati e le vittorie, senza sottovalutare le sconfitte che ovviamente dispiacciono e su cui dovremo riflettere. Lei ha citato casi negativi, io segnalo l'operaia Monfalcone dove abbiamo vinto al primo turno col 72%, Lampedusa dove il sindaco dei porti aperti ha perso e uno dei più votati sull'isola è uno storico militante della Lega. Siamo gli unici del centrodestra ad aver vinto sia a Palermo che a Messina, a Carrara siamo al ballottaggio con un civico che sfiderà il centrosinistra».

     

    A Verona per vincere dovete venire a patti con Flavio Tosi che la Lega cacciò nel 2015.

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    «A Tosi ho mandato un sms di complimenti. Lascio ai veronesi e al sindaco Sboarina ogni valutazione, di sicuro non mi sembra saggio rinunciare a una possibile alleanza: Verona non merita di finire alla sinistra».

     

    Fratelli d'Italia vi ha superato anche al Nord. Che sta succedendo?

    «FdI beneficia dell'essere all'opposizione. Noi abbiamo preferito responsabilmente farci carico dei problemi degli italiani. Un esempio: se noi fossimo stati all'opposizione ci sarebbe stata una stangata sulla casa degli italiani, sarebbe aumentata la pressione fiscale, sarebbero passati lo ius soli e il ddl Zan. Ci siamo sacrificati per buone cause».

     

    Ma non basta.

    «Va detto che il governo deve fare di più altrimenti delude i ceti produttivi che un tempo apparivano entusiasti di Draghi. Il risultato è che i nostri elettori preferiscono stare a casa. Sindaci e militanti mi segnalano una crescente insofferenza verso un governo che appare sbilanciato a sinistra su troppi temi. Su pace fiscale, pensioni, immigrazione, giustizia. Serve un cambio di passo».

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    Giorgia Meloni dice che Lega e FI dovrebbero uscire dal governo Draghi. È d'accordo?

    «Abbiamo deciso di appoggiare il governo perché era necessario non lasciare il Paese nelle mani di Pd e 5 Stelle che lo stavano sfasciando. Ora tutti quei dirigenti e militanti (compresi Zaia e Fedriga) che credevano in Draghi e in questo governo, col perseverare degli errori di Speranza e Lamorgese, di Bianchi e Giovannini, mi chiedono di rifletterci bene... Draghi deve sapere che ci sono temi su cui non siamo disposti a transigere».

     

    Che tempi si è dato?

    «Attendo risposte entro l'estate. Temo un autunno molto difficile. Ci sono tre mesi per sminare il terreno».

     

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    Quando deciderà?

    «Torneremo sul pratone di Pontida il 18 settembre. Per quella data vogliamo risposte».

     

    Sulla riforma Cartabia volete fare la guerriglia?

    «No, siamo d'accordo che voteremo alcuni emendamenti ma non mettiamo a rischio la riforma».

     

    L'amore litigarello con Meloni dopo l'abbraccio di Verona cosa prevede?

    «Prevede che tutti la smettano di litigare e fare gare interne al centrodestra, per prepararsi a vincere le prossime elezioni, anticipando programma di governo e anche squadra, ministri compresi».

     

    Il centrodestra è visto vincente alle Politiche 2023: è rassegnato all'idea che la premiership spetti a Meloni?

    «Gli elettori hanno sempre ragione ma credo che alle Politiche il primo partito del centrodestra sarà la Lega».

     

    Cosa dovrebbe fare il governo Draghi che non fa?

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    «Fare la pace fiscale, a beneficio non dei grandi evasori ma di tanti cittadini perbene che non sono riusciti a pagare le tasse per colpa della crisi. Stanno per partire cartelle esattoriali per 16 milioni di italiani, molte delle quali sotto i 10 mila euro.

     

    Draghi lo sa? Poi, bisogna superare definitivamente la Fornero trovando l'accordo su quota 41 entro la fine dell'anno. Quindi, sigillare i confini visto che dall'inizio dell'anno si contano già 22 mila arrivi. Difendere il potere d'acquisto di salari e pensioni. Tutelare l'ordine pubblico nelle grandi città. Confermare il taglio delle accise e i fondi contro il caro energia».

     

    Lei dice che bisogna lavorare per pensioni, pace fiscale, lavoro. Ma nelle scorse settimane pensava a Mosca...

    «Se la guerra andrà avanti a lungo, non ci saranno soldi in Italia per aumentare stipendi e pensioni, questa è la verità. Quindi lavorare per la pace è un dovere, di tutti, e io proseguo a testa alta e con trasparenza a chiedere il cessate il fuoco e lo stop alla guerra, in primis alla Russia ovviamente. E attenzione, a proposito di scenari internazionali: dal 2035 lo stop alle auto benzina e diesel a favore delle elettriche rischia di produrre danni all'ambiente, bruciando 100 mila posti di lavoro. Un folle regalo alla Cina, confezionato dal Pd e dal suo segretario che evidentemente sono molto generosi con Pechino».

    matteo salvini dopo il doppio flop referendum amministrative 2 matteo salvini dopo il doppio flop referendum amministrative 2

     

    Referendum: non dica che credeva davvero che sarebbero passati.

    «Nonostante il silenzio di giornali e tivù hanno votato più di 10 milioni di italiani, con la Lega da sola a girare l'Italia parlando di "Giustizia Giusta". Ora torneremo a lavorare in Parlamento perché la riforma è una necessità». Rispetto ai mugugni interni che raccontano i giornali, lei risponde che il Consiglio federale di lunedì si è espresso all'unanimità. Sicuro che non ci siano problemi? «Le rivelo una cosa: i mugugni ci sono stati, e tutti nei confronti del governo. Il ministro Giorgetti giustamente protesta perché la messa al bando delle auto a benzina e diesel sarà un massacro per l'industria italiana.

     

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    I governatori giustamente protestano perché, con questa burocrazia e queste difficoltà, molti miliardi del Pnrr non potranno mai essere investiti. E il percorso verso l'Autonomia, che ormai è richiesta a Nord e a Sud, è ancora troppo lento. E tutti protestano perché sul Reddito di cittadinanza non ci sono controlli e modifiche promessi da tempo. È mio dovere prendere atto di queste riflessioni e lavorarci».

     

     

    L'IDEA DI STRAPPARE A PONTIDA MA I GOVERNISTI ORA VOGLIONO COMMISSARIARE IL LEADER

    Emanuele Lauria per la Repubblica

     

    giancarlo giorgetti giorgia meloni matteo salvini giancarlo giorgetti giorgia meloni matteo salvini

    C'è una data cerchiata in rosso nel calendario della Lega scossa dalla doppia batosta del referendum e delle amministrative. È il 18 settembre, il giorno del ritorno a Pontida. La guarda con tentazione Matteo Salvini, la temono i cosiddetti "governisti". Perché sul pratone delle invettive di Bossi l'attuale leader potrebbe consumare il passaggio traumatico dello "strappo": l'addio a Draghi.

     

    Attorno a questa suggestione, e sulle macerie della doppia campagna elettorale, si consuma uno scontro mai così duro nel Carroccio. Al di là dei tentativi del leader di ridimensionarlo, il risultato delle Comunali è da brividi: il 6,4 per cento di media nei 26 capoluoghi in cui si è andati alle urne. Un dato che potrebbe essere inquinato dalla presenza di molte civiche di centrodestra ma che di certo è sempre più lontano dal 34 per cento delle Europee. Anzi, è terribilmente vicino a quello del Carroccio che nel 2014 Salvini ereditò da Roberto Maroni.

     

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    Soprattutto, a preoccupare i leghisti è l'allineamento verso il basso dei consensi su tutto il territorio, che non sono molti al Sud a fronte di un crollo nelle roccaforti padane. L'esperienza di "Prima l'Italia", la lista che nel Meridione avrebbe dovuto raccogliere moderati e civiche, per un big come Luca Zaia era un errore che si è tramutato in fallimento. Con un trend sotto il 10 per cento a livello nazionale, le Politiche si preannunciano un bagno di sangue: fra un anno la metà della rappresentanza parlamentare tornerebbe a casa.

     

    Davanti a questo scenario, l'esigenza di una scossa è avvertita da tutti. Il modo con cui generarla divide le due anime del partito. Salvini si va convincendo ogni giorno di più che la permanenza nell'esecutivo sia insostenibile elettoralmente.

     

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    «Stare al governo con il Pd è impegnativo », si è limitato a dire ieri il segretario. Che sa bene che uscire adesso significherebbe dare ragione a Giorgia Meloni ma si è pure persuaso che il lavoro di Draghi non riscuota particolare appeal fra gli imprenditori che costituiscono lo zoccolo duro della Lega e del centrodestra. Ecco l'esigenza di chiedere almeno un segnale di discontinuità in economia, a partire da salari e pensioni. Altrimenti, appunto, in autunno il numero uno di via Bellerio potrebbe staccare la spina.

     

    Una mossa che i cosiddetti governisti (Giorgetti, Zaia, Fedriga) pensavano che Salvini avrebbe potuto fare già ieri, nel corso di un consiglio federale convocato d'urgenza. Ma che è rimasta lì, a mezz' aria, come minaccia viaggiante nelle parole del vicesegretario Lorenzo Fontana: «Se per la Lega sarà più difficile stare al governo dopo l'estate? Fosse per me - ha detto Fontana - io sono abbastanza stanco... L'obiettivo di questo governo era tentare che ci fosse il minor numero di problemi economici dopo la pandemia, era giusto provarci e sono convinto che la scelta sia stata giusta. Nel momento in cui però non vedo che i nostri cittadini hanno un riscontro positivo, la Lega risponde all'elettorato, non a qualcun altro, risponde ai cittadini».

    ATTILIO FONTANA GIANCARLO GIORGETTI MATTEO BIANCHI MATTEO SALVINI MASSIMO GARAVAGLIA VARESE ATTILIO FONTANA GIANCARLO GIORGETTI MATTEO BIANCHI MATTEO SALVINI MASSIMO GARAVAGLIA VARESE

     

    Parole pronunciate "a titolo personale" ma da uno degli uomini più vicini a Salvini.

     

    A un leader ormai sotto assedio dentro la Lega, con il fiato sul collo dei "governisti" che invece vogliono evitare proprio la rottura con Draghi. E che ora reclamano con forza una linea univoca e coerente, senza più oscillazioni su temi centrali come la politica sanitaria o quella estera: «Perché inseguire la Meloni fuori dalla maggioranza, quello sì sarebbe un errore», dice un esponente di primo piano dell'ala istituzionale.

     

    Prima delle elezioni, un Giancarlo Giorgetti sempre più stanco, Luca Zaia e Massimiliano Fedriga, avevano chiesto un incontro a Salvini per discutere proprio della rotta da seguire. Attendono ancora una risposta. Si sono risentiti dopo il voto, però. E sul tavolo c'è la proposta pervenuta da un ambasciatore del leader, il capo della segreteria Andrea Paganella, di entrare in un comitato politico ristretto.

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    Un modo con cui allargare la responsabilità delle scelte, secondo Salvini, evitando spaccature fino alle Politiche. Ma una soluzione che Giorgetti, Zaia e Fedriga per primi vedono di buon occhio, per orientare la navigazione di un segretario che considerano ormai allo sbando, fiaccato da iniziative considerate sciagurate, fra cui il mancato viaggio in Russia. Tutto è fermo, in attesa dei ballottaggi. Ma la temperatura, all'ombra del Carroccio, è sempre più elevata.

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