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Antonio Riello per Dagospia
C'è una mostra sull'opera di Alexander Calder alla Modern Tate di Londra. Vale assolutamente la pena di visitarla. Per parecchi buonissimi motivi.
E' la più ampia mostra finora a lui dedicata, copiosamente articolata in undici stanze tocca praticamente tutti i diversi aspetti creativi del poliedrico scultore americano. Alla Tate sono presenti anche diverse opere che non si sono mai viste prima al di fuori della loro collocazione originaria.
Come la famosa ed impressionante "Black Widow", la scultura mobile che di solito si trova nell'Istituto di Architettura a San Paolo del Brasile e che possiamo ammirare nella ultima sala. Proprio con il Brasile, alla fine degli anni quaranta, egli ha avuto lunghe e proficue frequentazioni artistiche.
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Calder, figlio e nipote d'arte, si pone fin da giovane (siamo negli anni venti dello scorso secolo) un affascinante problema semplice e complesso al tempo stesso: come rendere leggera e mobile la scultura. Quasi un ossimoro: la si pensa tutti spontaneamente sempre pesante, robusta e eternamente immobile. Il suo programma è geniale e facilmente comprensibile, tutta la sua lunga attività artistica è in fondo una variazione su questo unico tema.
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Lui non è solo artista di talento, ma anche brillante ingegnere e ha dunque le conoscenze tecniche necessarie per questa sfida. Molto americano, sia nel suo approccio che nelle sue soluzioni. Non è controverso, tormentato, complicato e ambiguo come tanti suoi colleghi europei.
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Nel 1926 va a Parigi e comincia sul serio la sua avventura artistica. Qui, ammaliato dal mondo del circo, decide intanto di fondarne uno tutto suo: Le Cirque Calder. Un circo molto speciale: in miniatura, smontabile e che si può trasportare in cinque valigie. Fatto sostanzialmente di marionette e personaggi in filo di ferro che sotto l'abile direzione di Calder fanno delle vere e proprie acrobazie.
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Uno spettacolo complesso e vario che, concettualmente, ripropone quasi tutti i classici "numeri" circensi. A metà strada tra cabaret e performance artistica. Un piccolo-grande capolavoro di ingegnosa creatività che divertirà personaggi non abituati a facili entusiasmi come Jean Cocteau, Juan Mirò e Piet Mondrian.
Un business che per alcuni anni darà da vivere a Calder, che nel frattempo fra uno spettacolo e l'altro ritrae amici e celebrità parigine varie (Josephine Baker, tra gli altri). Certo l'ambiente parigino lo influenzerà decisivamente nelle sue scelte: l'astrattismo geometrico è per lui una rivelazione che lo segnerà e lo accompagnerà. Ma anche la dinamica e il movimento cari alle opere cubiste saranno ampiamente e opportunamente tradotti nelle sue sculture.
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La sua "invenzione" artistica per eccellenza è quella che Marcel Duchamp nel 1931 definisce con il nome di "Mobiles". Diventerà presto (e rimarrà) uno delle icone dell' Avanguardia, oltre che il suo "biglietto da visita" artistico. Sono sculture fatte con materiali vari e tenute abilmente assieme da fili di ferro (o altro materiale) e appese ai soffitti. Il risultato? Un delicato e stupefacente equilibrio di parti che si muovono, dialogano e volteggiano.
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La sfida, non certo facile, è vinta: eccola qua la "scultura leggera", aerea e apparentemente fragilissima E appunto liberata dell'immobilità scultorea si muove anche: Arte Cinetica (finalmente). Insomma con un geniale paradosso l'ingegnere ottiene proprio quello che voleva l'artista. Alcune di queste sculture, le prime, si muovono grazie a dei motori elettrici appositamente realizzati, come il caso di "Black Frame" e "A Universe" entrambi del 1934. Negli anni successivi ne fa altre, (tipologia quest'ultima sicuramente più nota, riconoscibile e definitiva) che fluttuano liberamente grazie nelle correnti d'aria. "Snow Flurry", che è del 1948, è un ottimo esempio e archetipo per tutte quelle (numerose) che verranno.
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Nel frattempo Calder, instancabile, continua a realizzare, in parallelo, anche delle eleganti sculture più tradizionali, non cinetiche (Jean Arp le battezza come "Stabiles"), spesso di grandi dimensioni, anche monumentali. Ce n'è proprio una molto bella anche in Italia a Spoleto, che Calder fece nel 1962, si chiama "Teodelapio". A dispetto del peso e appunto delle dimensioni rimangono anch'esse comunque strutture molto slanciate e (almeno in termini di percezione visiva) senz'altro "non-pesanti".
In mostra ci sono anche disegni astratti, non molto noti se non agli specialisti del caso. Super interessanti. Una vera sorpresa.
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"Performing Sculpture", il titolo scelto per la mostra dai curatori, Achim Borchardt-Hume e Ann Coxton, è assolutamente azzeccato. Musica e danza lo appassionano almeno quanto il circo. Infatti l'artista nella sua carriera non smette praticamente mai di interagire artisticamente (si potrebbe dire, senza esagerare anche "acrobaticamente") con balletti, opere ed esecuzioni musicali.
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La Tate documenta con esaustiva efficacia tutta questa attività, probabilmente anche la meno conosciuta e celebrata. Collabora infatti con Edgard Varèse, Eric Satie, Virgil Thomas, John Cage, Martha Graham. Nel 1960 lavora con il compositore Earle Browne producendo una particolarissima "scultura-musicale" dal titolo "Chef d'orchestre". Questo mirabile progetto durante la prima settimana della mostra è stato visibile al pubblico della Tate nella gigantesca Turbine Hall.
Inventa e produce, sempre divertendosi a sperimentare, anche curiosi e sofisticati strumenti musicali (come "Small Sphere") e addirittura giocattoli, sempre più o meno sonori.
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Il suo lavoro, per certi aspetti, sembra avere ispirato, almeno indirettamente, le opere-performance dello svizzero Jean Tinguely. E sempre negli anni cinquanta e sessanta anche altri artisti, soprattutto legati al cosiddetto "Nouveau Realisme" francese, sembrano influenzati dalle sue ricerche.
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Ma da italiano ospite a Londra, mi piace particolarmente far notare, come nota suggestiva, i nomi di due artisti italiani (incredibili visionari e, curiosamente, entrambi trentini, di Rovereto) che richiamano con propri accenti le conquiste di Calder. Il primo è Fortunato Depero, futurista atipico, che dal movimento e dalla musica è stato pure lui felicemente ossessionato. Potrebbe esserne stato un ispiratore? Mi piace certo pensarlo.
L'altro è Fausto Melotti, praticamente coetaneo dell'americano, che ha saputo rappresentare un'altra lettura, certo non meno affascinante e potente anzi forse più sofisticata, leggiadra e profonda, del concetto di "scultura leggera".
ALEXANDER CALDER: PERFORMING SCULPTURE
TATE MODERN
Bankside
London SE1 9TG
11 Novembre 2015 - 3 Aprile 2016