Ilario Lombardo per “La Stampa”
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Andò così. Fu Mario Draghi, ex presidente della Bce, a suggerire alla Commissione Ue di colpire il cuore delle risorse finanziarie di Putin: la Banca centrale russa. Avvenne la notte del terzo giorno di guerra, a fine febbraio.
A ricostruire quelle ore è stato il Financial Times, ma già sui quotidiani italiani era trapelata la volontà di Draghi di colpire l'accumulo di riserve che Putin aveva portato avanti per anni.
ARTICOLO DEL FINANCIAL TIMES SUL RUOLO DI DRAGHI NELLE SANZIONI ALLA BANCA CENTRALE RUSSA
Ieri, il presidente del Consiglio ha confermato il retroscena. Fu proprio lui a studiare i meccanismi «per congelare le riserve della Banca centrale russa depositate o presso altre banche centrali o in banche normali in giro per l'Europa». Nessun Paese si oppose.
Una sanzione durissima, che piegherà le capacità di autosufficienza economica dei russi. Draghi ci tornerà sopra, qualche giorno dopo, rivendicando la scelta. Lo farà in Parlamento spiegando che le riserve della Banca di Mosca erano aumentate di sei volte dalla guerra di Crimea, nel 2014, a oggi.
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Nei primi giorni della guerra scatenata lo scorso 24 febbraio, l'Italia, troppo dipendente dal gas russo, è sospettata di voler frenare sulle sanzioni. Draghi propone di puntare su altro e di usare il primo dei cinque pacchetti di misure finora confezionati dall'Ue contro il salvadanaio di Putin.
È la presidente della Commissione Ue Von der Leyen a chiedergli una mano, mentre a Washington la segretaria del Tesoro Yellen sta studiando come procedere. Nella ricostruzione dei funzionari di Bruxelles, i leader europei temevano che la Russia potesse venire a conoscenza dei piani, se non avessero fatto in fretta. Von der Leyen chiama Draghi e gli chiede di mettersi in contatto con Yellen per trovare al più presto la soluzione. Qualche ora dopo arriva la proposta del premier italiano.
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