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    COMINCIAMO BENE! RIVOLTA CONTRO IL GOVERNO PER IL DECRETO ANTI-RAVE: "E’ UN REATO DA STATO DI POLIZIA" – NON SONO SOLO LETTA, CONTE E I SINISTRATI A PROTESTARE, ANCHE GIURISTI, TOGHE E AVVOCATI SOLLEVANO DUBBI DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE: “LESA LA LIBERTA’ DI  MANIFESTAZIONE”. E QUI STA IL BACO CHE POTREBBE PRECIPITARE IL REATO DAVANTI ALLA CORTE COSTITUZIONALE – IL DISAGIO DI FORZA ITALIA CHE PROVA A EVITARE LE INTERCETTAZIONI. L’EX MINISTRO FLICK IRONIZZA: “MA NORDIO NON VOLEVA LIMITARLE?”


     
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    Elisabetta Baracchi per la Repubblica

     

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    Gli organizzatori dei rave party, e nei fatti anche i partecipanti, potranno essere intercettati. Meglio: potranno esserlo tutti coloro che invadono «terreni o edifici per raduni pericolosi per l'ordine pubblico o l'incolumità pubblica » in «un numero di persone superiore a cinquanta».

     

    Dunque, la norma non vale solo per chi balla da abusivo ma anche, potenzialmente, per chi occupa un edificio nel corso di una protesta. Purché ci siano almeno 50 persone e qualcuno stabilisca il "pericolo" della loro azione. E ancora: non solo potranno essere registrate le conversazioni, lette e utilizzate tutte le chat, ma basterà essere indagato (non condannato, non imputato) per subire confische e misure patrimoniali che il nostro ordinamento prevede a oggi soltanto per i reati di mafia.

     

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    La pubblicazione in Gazzetta ufficiale del decreto "anti rave" cancella ogni dubbio sulla natura del primo provvedimento del governo Meloni: come ieri aveva raccontato Repubblica, nonostante le forti perplessità di Forza Italia, il nuovo 434 bis ha mantenuto le pene fino a sei anni di reclusione. E, quindi, la possibilità delle forze di polizia e della magistratura di adottare il pugno durissimo nelle indagini.

     

    «Un errore gravissimo. I rave non c'entrano: viene messa in discussione la libertà dei cittadini », attacca il segretario Pd, Enrico Letta. «Una norma da Stato di polizia, raccapricciante» dice il leader M5S Giuseppe Conte. La rivolta delle opposizioni non scompone, almeno ufficialmente il governo. Anche se nei fatti nessuno rivendica la paternità della norma. Tranne Matteo Salvini che quella paternità non ce l'ha: «Indietro non si torna - dice il vicepremier - le leggi finalmente si rispettano ».

     

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    Il Viminale ha provato a spiegare e a tranquillizzare i tantissimi che temono che la nuova legge vada a colpire non soltanto chi organizza raduni danzanti ma anche chi occupa un'università, un centro sociale o magari manifesta in un luogo pubblico: «La norma - fa sapere il ministero - interessa una fattispecie tassativa che riguarda la condotta di invasione arbitraria di gruppi numerosi tali da configurare un pericolo per la salute e l'incolumità pubbliche» e quindi «non lede in alcun modo il diritto di espressione e la libertà». Una spiegazione che convince pochissimi. L'allarme è diffuso tra intellettuali e artisti. «Questo decreto puzza», twitta Fiorella Mannoia.

     

    «Il punto non è vietare i rave, ma proporre alternative migliori ai giovani», afferma il cantante Morgan. «Atto primo scena prima - commenta lo scrittore Erri De Luca - pene da patibolo contro la gioventù». Amnesty Italia denuncia: «Si rischia l'applicazione ampia e arbitraria a scapito del diritto di protesta pacifica».

     

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    Anche al Viminale, così come in via Arenula - il ministro Carlo Nordio sembra a disagio - l'argomento in realtà è oggetto di dibattito. Perché è vero che il testo arriva da lontano: era stato predisposto dal ministro Luciana Lamorgese lo scorso anno, dopo un rave nel Viterbese. Ma è altrettanto vero che in un primo momento si era pensato a pene più leggere (sui 4 anni) anche perché un reato simile esiste: è il 633 secondo comma che punisce «chiunque invade terreni o fabbricati altrui» (pena di quattro anni se si è in più di cinque). Tra l'altro è già punita anche "l'invasione" con scopo di lucro, cosa che la nuova norma non fa: occupare per fare soldi per paradosso rischia di diventare un'attenuante.

     

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    Perciò è possibile che in sede di conversione del testo qualcosa di sostanziale cambi. La rivolta di ieri, anche del mondo della magistratura e dell'avvocatura, ha messo in grande difficoltà Nordio e il suo vice, Francesco Paolo Sisto. Ma più in generale Forza Italia, che con Antonio Tajani già in Consiglio dei ministri aveva espresso disagio, raccogliendo sembra anche l'approvazione della premier Giorgia Meloni.

     

    Un punto di mediazione potrebbe essere l'abbassamento della pena massima: arrivare a 4 anni, come già oggi prevede la legge, eliminando così le intercettazioni. Lasciando però la confisca e le misure patrimoniali a cui Piantedosi, da prefetto prima ancora che da ministro, tiene particolarmente.

     

     

    ALLARME DI GIURISTI E AVVOCATI

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    Da la Repubblica

     

    Il decreto anti rave? «Ben oltre la Costituzione ». E «ben oltre il codice Rocco». «Una delega in bianco alla polizia». «Altro che depenalizzazione, come garantiva Nordio». «Ma proprio lui non voleva ridurre, o addirittura eliminare le intercettazioni? ». «Un delirio: se pure i prefetti cominciano a scrivere le leggi siamo fritti». «Per punire un possibile pericolo il governo incrimina comportamenti che sono minimamente pericolosi ». «Ve la immaginate un'udienza preliminare con i 3mila indagati che erano scesi in piazza?».

     

    La sorpresa, lo sconcerto, la disapprovazione, in una parola la piena bocciatura di costitituzionalisti e giuristi che scorrono le nuove norme anti rave, è totale. Con una calda raccomandazione: «Non chiamatele così, non ne riducete la portata, perché quell'articolo, se sopravviverà alla scure della Consulta, cambierà la storia di ogni manifestazione pubblica in Italia. Politica o sindacale che sia».

     

    Per dirla con l'allarme delle toghe di Magistratura democratica, «se questo è il biglietto da visita del nuovo esecutivo in materia penale, ci aspetta una lunga stagione di resistenza costituzionale».

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    Da Giovanni Maria Flick a Gaetano Azzariti, da Vittorio Manes a Emilio Dolcini, da Gian Domenico Caiazza a Michele Laforgia. Costituzionalisti, giuristi, avvocati. Da tutti una «condanna» senza appello per una norma «goffa» e che mette in pericolo la nostra libertà costituzionale.

     

    Che entra in pieno conflitto con l'articolo 17 della Carta che garantisce il pieno diritto di manifestare, sopprimibile «soltanto per comprovati motivi di sicurezza e di incolumità pubblica ». Di per sé pure una sfida alla Consulta - la seconda dopo quella sull'ergastolo ostativo - che già nel 1958 aveva bocciato una norma del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza che risaliva al 1926, e che limitava il diritto di manifestare. Un precedente destinato a pesare.

     

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    Non ha dubbi l'ex presidente della Consulta Giovanni Maria Flick sulla debolezza costituzionale della norma Meloni-Piantedosi. «A quanto ricordo - dice l'ex Guardasigilli - la Costituzione parla di limitazioni "soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica" mentre non fa cenno a pericoli per l'ordine o per la salute pubblica. Andrebbe subito verificata la costituzionalità di questa estensione dei limiti ».

     

    Flick boccia sia il nuovo reato, perché «erano sufficienti quelli che già ci sono», sia le intercettazioni. E ironizza: «Ma Nordio non voleva limitarle? ». E critica l'approccio verso i giovani: «Mi sembra pericolosa l'idea di combattere il loro disagio con strumenti di carattere penale e con sanzioni che appaiono molto pesanti e con un nuovo reato, quando sono più che sufficienti quelli che già esistono». Le intercettazioni sono un altro vulnus giuridico.

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    E vengono lette dai giuristi come la voglia di spiare tutto e tutti. Lo denuncia Gaetano Azzariti, costituzionalista della Sapienza: «C'è una stretta e un controllo sugli individui che si può dedurre dalla possibilità di intercettare tutti, anche i minori. A dispetto delle rassicurazioni di esponenti del governo, i pm potranno mettere sotto controllo i telefoni di moltissime persone, pur giovanissime, senza che abbiano commesso alcun reato.

     

    Senza neppure poter escludere quelli di politici o sindacalisti che organizzano raduni ritenuti pericolosi».

     

    Un decreto che lede la libertà degli italiani di manifestare liberamente.

     

    «Un delirio» per Gian Domenico Caiazza, presidente delle Camere penali. Perché «questo è un reato su qualunque adunanza di più di 50 persone su terreni privati o pubblici, e quindi se andiamo in 70 a Villa Pamphili possiamo essere tutti quanti incriminati». E Michele Laforgia, l'avvocato barese presidente di Giusta causa, torna al codice Rocco: «Al momento del raduno, il potere e il dovere di intervenire e arrestare i presenti sarà delle forze dell'ordine, con facoltà molto più ampie di quelle già previste dal codice fascista.

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    Un po' troppo, se l'obiettivo erano solo le feste in campagna».

     

    Il pericolo è la vaghezza della norma, come dice Vittorio Manes, docente di diritto penale a Bologna, che parla di «reato simbolico, vago e sproporzionato rispetto agli altri del codice», un reato «utopistico se si pensa che possa disincentivare il fenomeno che si vorrebbe colpire perché qualsiasi raduno può diventare un pericolo per l'ordine pubblico, o la stessa incolumità pubblica».

     

    E che vuole «punire chi semplicemente partecipa e non organizza o promuove l'assembramento». Insomma «un esempio dell'utilizzo simbolico del diritto penale, una sorta di norma manifesto carica però di effetti punitivi molto severi e con profili di dubbia costituzionalità».

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    Una norma inutile? Emilio Dolcini, professore emerito di diritto penale a Milano, la pensa così: «Questa volta il legislatore ha veramente esagerato perché per punire un possibile pericolo ha incriminato comportamenti minimamente pericolosi rispetto al bene giuridico da tutelare.

     

    Il che solleva dubbi di legittimità costituzionale ». E qui sta il baco che potrebbe precipitare il neo reato davanti alla Consulta.

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