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    LA FRANCIA CI STA SPOLPANDO - CON L’OPA SUL CAPITALE RESIDUALE, LACTALIS SI PRENDE IL 100% DI PARMALAT PER POI TOGLIERLA DA PIAZZA AFFARI - DOPO TELECOM, EDISON E CARIPARMA, LO SHOPPING D’OLTRALPE PUNTA A MEDIASET - I FRANCESI CONTROLLANO QUASI 35 MILIARDI DI EURO DI PARTECIPAZIONI AZIONARIE ITALIANE, IL 7% DI PIAZZA AFFARI


     
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    Gianluca Baldini per ''La Verità''

     

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    Con l'Opa residuale lanciata ieri da Lactalis su un altro 12,26% del capitale di Parmalat si chiude il cerchio aperto, a sua insaputa, nel 2011 dall' ex ministro Giulio Tremonti con il decreto anti-scalate. Già nel maggio del 2011, quando il Senato approvò in seconda lettura senza modifiche il decreto legge, furono in molti a dire che sarebbe stato inutile.

     

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    Il provvedimento doveva consentire lo slittamento, da 120 a 180 giorni dalla chiusura dell' esercizio in corso (ai tempi era quello del 2010), dei termini per la convocazione dell' assemblea annuale, anche qualora tale possibilità non fosse prevista dallo statuto, in favore di società quotate che avevano l' Italia come Stato membro d' origine, investite dall' obbligo di pubblicare alcune relazioni finanziarie a cadenza periodica.

     

    Il decreto venne creato ad hoc per evitare che Lactalis si mangiasse Parmalat, fatto che avvenne comunque, visto che il gruppo francese nel tempo è riuscito a entrare in possesso dell' 87,74% del gruppo italiano del latte fondato nel 1961 da Calisto Tanzi a Collecchio, in provincia di Parma.

     

    Ieri il percorso si è chiuso con il gruppo fondato da Emmanuel Besnier (patron di Lactalis e della holding Sofil, che sta per Société pour le financement de l'industrie laitiere), che ha deciso di lanciare un'opa volontaria totalitaria su Parmalat, cui seguirà l'uscita di Parmalat dal listino azionario di Piazza Affari.

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    La decisione del gruppo Lactalis di procedere con il delisting di Parmalat, spiega una nota, è nata per continuare a sostenerne la crescita; il gruppo ritiene che tale obiettivo possa essere perseguito più agevolmente con una ristretta base azionaria, piuttosto che con un azionariato diffuso, e in una situazione, quale è quella derivante dalla perdita dello status di società quotata, caratterizzata da minori oneri e maggiore flessibilità gestionale e organizzativa.

     

    Per questo il gruppo ha deciso di offrire agli azionisti di minoranza 2,8 euro per azione, per un premio dell' 8,5% rispetto al prezzo registrato dal titolo il 23 dicembre scorso, un valore superiore all' 11% rispetto alla media dei prezzi ufficiali dell' ultimo mese, si legge nel comunicato.

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    L' offerta riguarda 287,3 milioni di azioni Parmalat non ancora possedute dal gruppo francese, compresi gli oltre a 52,85 milioni di azioni destinate ai creditori di Collecchio e i 7,03 milioni di azioni a servizio dei warrant e riguarda solo l'Italia.

     

    Per ora non è prevista alcuna fusione all'orizzonte tra Lactalis e Parmalat. I programmi dell'offerente e del gruppo Lactalis non prevedono operazioni di fusione che coinvolgano l'emittente nel periodo temporale di 12 mesi dalla data di pagamento dei titoli conferiti, spiegano i vertici francesi. Insomma, questa operazione sembra avere un significato importante: le aziende italiane che fanno gola agli investitori esteri esistono, eccome. Non ci sono solo le banche italiane come Mps, Veneto Banca o la Popolare di Vicenza, piene di investitori che scappano a gambe levate. Gli investitori (francesi ma non solo) disposti a fare shopping da noi non mancano e non sono mancati.

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    Basta andare indietro con la memoria per ricordarsi di Gucci, Fiat ferroviaria, Galbani, Cariparma e Bnl, acquisite rispettivamente dai gruppi Ppr (poi diventata Kering), Alstom, Lactalis, Crédit agricole e Bnp paribas fra il 1999 e il 2006. Poi nel 2011, proprio nell' anno del decreto anti-scalate, il colosso Lvmh ha rilevato il 51% del capitale di un altro marchio del lusso, Bulgari, lanciando successivamente un'offerta pubblica di acquisto sul resto del flottante. Poco dopo, in estate, la scalata di Lactalis che ha messo le mani anche su Parmalat.

     

    Esattamente un anno dopo è stato il turno di Edison, una delle aziende più note nel settore della produzione di energia finita sotto l'egida di Électricité de France al termine di un riassetto che escluse la lombarda A2A, che insieme ad Edf controllava pariteticamente la società.

     

    L'anno dopo è stato di nuovo il turno di Lvmh, che non ha avuto problemi a mangiarsi l'80% di Loro Piana. Poi una piccola pausa di riflessione fino a quest' anno, quando a giugno Vivendi è subentrata agli spagnoli di Telefonica in Telecom Italia. Fino a oggi, sempre con Vivendi, che sta avendo la meglio per il controllo di una buona fetta di Mediaset.

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    Il problema sembra proprio questo. Il nostro Paese sta diventando sempre più una terra di consumi. Il made in Italy sta diventa strumento di ricchezza per gli altri. Gli investitori esteri, in particolar modo francesi. Stando ad un'analisi condotta da Il Sole 24 Ore, gli investitori d'Oltralpe controllano quasi 35 miliardi di euro di partecipazioni azionarie italiane, il 7% della capitalizzazione di Piazza Affari e rappresentano il 17% sul totale della presenza di soggetti esteri, ogni giorno più forti a Piazza Affari.

     

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    E ieri, con la notizia dell'opa totalitaria lanciata da Lactalis, le spalle dei risparmiatori Parmalat sono diventate ancora più solide: il titolo ha chiuso con una crescita del 10,12% a 2,83 euro, ingrassando ancora di più i portafogli francesi. Quando si chiuderà la partita su Mediaset e quella sull' industria del risparmio gestito, resterà un ultimo settore da vendere: quello delle assicurazioni. A quel punto l' Italia sarà un mercato in mano a teste straniere.

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