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    CALIFFATO, POCO ALLA VOLTA - CON LE BASI NEL DESERTO SINAI, L’ISIS SI AVVICINA AL CONFINE CON GAZA E ISRAELE - IL PIANO DEI JIHADISTI È INSEDIARSI IN AREE MINORI, CONSOLIDARLE E POI LANCIARE ALL’IMPROVVISO OFFENSIVE MULTIPLE USANDO ATTACCHI SUICIDI


     
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    Maurizio Molinari per “la Stampa”

    ISIS - SCONTRI SUL SINAI ISIS - SCONTRI SUL SINAI

     

    Lo Stato Islamico si è insediato nel Nord Sinai, gli F-16 egiziani lo bersagliano dall’alto e lo scontro minaccia di estendersi a Gaza. Vista da Kerem Shalom, l’ultimo lembo di deserto israeliano stretto fra Gaza e l’Egitto, la guerra di Abdel Fattah Al Sisi contro i jihadisti del Califfo è in pieno svolgimento. All’indomani della cruenta battaglia di terra a Sheikh Zuwaid, i protagonisti sono gli F-16 egiziani: il boato delle bombe che sganciano attorno a Rafah arriva fino al kibbutz di Nirim, a 20 km dalla frontiera. Sono tuoni costanti, ravvicinati, che danno la sensazione della guerra e fanno rintanare i bambini nelle case.

     

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    ARMI AVANZATE

    Il comando egiziano parla di almeno 23 jihadisti uccisi nei raid delle ultima giornata ma ciò che conta, spiega l’analista israeliano Uri Rosset esperto di jihadisti, è che «devono usare i jet perché le sacche controllate da Isis nel Nord Sinai sono molte e non possono colpirle con gli elicotteri Apache». È una delle scoperte che gli egiziani hanno fatto mercoledì: il «Welayat Sinai» (Provincia di Sinai) di Isis dispone non solo dei missili anti-tank «Kornet» ma di vettori anti-aerei, lanciati a spalla, che minacciano gli elicotteri.

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    L’ANALISI ISRAELIANA

    A spiegare cosa sta avvenendo oltre frontiera è Nir Peled, vice capo della pianificazione di «Tzahal» in questo teatro di operazioni: «Isis combatte qui come in Siria, Iraq e Libia, si insedia in aree minori, le consolida e poi lancia all’improvviso offensive multiple usando attacchi suicidi e ondate di jihadisti, alcuni dei quali in divise governative». È un’analisi coincidente con quanto affermano gli ex generali egiziani Hisham El-Halaby e Talaat Moussa (già capo dell’intelligence militare) secondo cui l’intento finale di Isis «è allargare il territorio che controlla dando vita a proprie enclave». L’analisi convergente rivela la stretta cooperazione nella sicurezza fra i due Paesi.

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    Ma rispetto alle altre cellule dello Stato Islamico il «Welayat Sinai» vanta «il più alto rapporto fra propri militanti e vittime nemiche» osserva l’esperto militare Amos Harel su «Haaretz» riferendosi ai quasi 650 soldati e poliziotti egiziani uccisi in meno di 24 mesi da «poche centinaia di jihadisti».

     

    L’AIUTO DI HAMAS

    A spiegare tale efficacia negli attacchi è Yoav Mordechai, generale israeliano che coordina le attività nei Territori palestinesi, secondo cui «i leader militari di Hamas a Gaza aiutano Isis nel Sinai ed hanno collaborato agli ultimi attacchi» a Rafah, Al-Arish e Sheikh Zuwaid. «Durante la battaglia alcuni feriti di Isis sono stati evacuati a Gaza» afferma in particolare Mordechai. E il maggior sospetto riguarda i razzi anti-aerei usati contro gli Apache egiziani: sono simili a quelli lanciati da Hamas contro gli elicotteri israeliani durante il conflitto della scorsa estate.

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    Da qui l’ipotesi di raid egiziani a Gaza per colpire retrovie e arsenali di Isis. Hamas percepisce il pericolo e schiera unità scelte a ridosso di Rafah. «Hamas è spaccata - osserva Rosset, che risiede nel kibbutz di Magen - perché i leader militari a cominciare da Mohammed Deif sono sensibili ai jihadisti mentre quelli politici, tipo Ismail Haniyeh, se ne sentono minacciati». Il video con cui Isis ha detto di voler rovesciare i «tiranni di Hamas» è per Rosset «una sfida ai leader politici che negoziano in segreto la tregua con Israele e sono l’espressione palestinese dei Fratelli Musulmani, considerati da Isis degli apostati perché tendono a operare legalmente negli Stati arabi, non a distruggerli».

     

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    I DUE FRONTI

    Nel Nord Sinai, Isis dunque ha due fronti aperti: contro Egitto e Israele da un lato, contro i leader politici di Hamas dall’altro. È il fronte occidentale della guerra del Califfo al-Baghdadi, dove gli odiati sciiti non ci sono. I tank israeliani schierati a Kerem Shalom, con i cannoni non verso Gaza ma il Sinai, svelano il timore per uno scenario divenuto verosimile: attacchi suicidi alla frontiera.

     

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