Riccardo De Palo per “il Messaggero”
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Ernest Hemingway nel 1932 era già un autore affermato: aveva scritto Addio alle armi ed era noto per il suo carattere senza mezze misure. Quando, il 19 novembre del 1932, si accinse a scrivere al suo editore inglese, Jonathan Cape, era veramente furente. Qualcuno aveva manomesso il suo manoscritto di Death in the Afternoon (Morte nel pomeriggio), un libro sulla tauromachia; e lo aveva fatto in maniera maldestra.
LA FURIA
«Tutto il piacere che avevo all'idea di pubblicare il libro in Inghilterra è completamente svanito. Non capisce che se un taglio o cambiamento deve essere fatto, sono io a doverlo decidere, altrimenti il libro viene stravolto»?
La lettera, un inedito assoluto, è contenuta nel quinto volume della raccolta completa degli scritti epistolari di Hemingway, in corso di pubblicazione per Cambridge University Press, e anticipata dall'Observer. Sandra Spanier, accademica e curatrice dell'opera (che una volta conclusa sarà composta di ben diciassette volumi), descrive il documento come una «meravigiosa lettera», che dimostra anche quanto non andassero troppo con la mano leggera, al tempo, in fatto di editing. Lo scrittore era infuriato per la precedente lettera di Cape, datata 3 novembre, in cui aveva scritto che «aveva omesso alcune parole che sarebbero risultate inaccettabili per il pubblico inglese».
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La pruderie degli editori, all'inizio del secolo scorso, era una male diffuso. Ma faceva infiniti danni nei testi letterari. Laddove l'edizione americana di Morte nel pomeriggio riportava le parole go fk yourselves, (andate a farvi fottere) l'edizione inglese di Cape modificava con un go hang yourselves (andate a farvi impiccare). Non solo: la stessa parolaccia diventava, spesso e volentieri, un banale blast, e cioè scoppio, esplosione. Nella lettera, Hemingway si lamenta anche perché il termine bugger, e cioè bastardo, carogna, era stato, a sua volta, edulcorato.
«Se vuole pubblicare altri miei libri, è necessario che capisca questo molto chiaramente - incalza lo scrittore - Lei non è il mio vicario. Se il Papa è il vicario di Cristo, è perché il nostro Signore non si trova qui sulla terra per prendere di persona le sue decisioni. Io non sono ovviamente Cristo, ma finché sono vivo e vegeto prenderò io stesso le mie decisioni su cosa voglio o non voglio scrivere».
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DISTINGUO
«Se lei decide che un libro non sarà pubblicato perché contiene certe parole, e vuole cancellarlo dal programma editoriale per quella ragione, questa è una decisione di sua pertinenza», scrive ancora Hemingway. «Se io concludo che certi termini non siano importanti, ai fini del mio lavoro, e posso cambiarli senza perdere l'effetto o il significato voluti, lo farò senza battere ciglio». Lo scrittore di Fiesta precisa però che preferirebbe «essere dannato», piuttosto che «avere un vicario che decide di dare una sforbiciata ai miei libri per compiacere le biblioteche»
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