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Monica Colombo per il Corriere della Sera
Il ritorno al Milan è avvenuto, a maggio, dalla porta di servizio, pertugio che ha dato l' accesso alla Primavera da rilanciare dopo l' addio dello scopritore di talenti Bianchessi e l' esperienza altalenante in panchina di Nava.
«Voglio solo allenare i giovani, non ho altro per la testa perché non sono pronto per lavorare per la prima squadra» disse umile, all' epoca, Rino Gattuso, gravato dal peso delle aspettative per un curriculum ingombrante. «Vincenzo stia tranquillo: ho solo da imparare da lui specie per gli schemi offensivi».
Fa perciò sorridere che oggi sia Rino a prendere il posto di chi paga la sterilità di una squadra che pur imbottita di punte e mezze punte da quattro partite non segna a San Siro. Pazienza, chi lo conosce sa che non è il tipo da arrendersi davanti alle difficoltà.
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Da allenatore ha sempre scelto soluzioni ai limiti del masochismo: fra l' esperienza al Sion dove ha iniziato da giocatore («Il presidente Constantin si metteva alla lavagna e disegnava gli schieramenti. Al Sion ho lavorato quasi più di quanto facevo al Milan. E mia moglie me l' ha rinfacciato: «Meno male che siamo venuti qua per rilassarci»), all' avventura a Palermo dove si è scontrato con le ingerenze di Zamparini («Con lui ho discusso di formazioni: se ti assumi la responsabilità di mettere in campo un giocatore e poi i risultati non arrivano vai a casa»).
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All' Ofi Creta ha dovuto staccare assegni per un totale di 50 mila euro per garantire alla squadra lo stipendio di Natale, mentre a Pisa ha tenuto il timone della nave in burrasca nel bel mezzo di una cessione societaria («Il presidente Petroni metta a posto le pendenze societarie, altrimenti lui nello spogliatoio non ci mette più piede, perché devo morire io, mi devono portare via da lì dentro»).
Al Milan era giunto 21enne dalla Salernitana, segnalato da Ruben Buriani, con stupore e meraviglia. «Sono orgoglioso di essere arrivato in questa grande metropolitana» disse ai giornalisti il suo primo giorno di scuola. Si è fermato per tredici anni a Milanello con la sensazione talvolta di essere un intruso fra fenomeni («Io mi sento il muratore della squadra: il mio Pallone d' Oro è vincere con il Milan e rubare più palloni possibili») e in un paio di occasioni con la voglia di fuggire. «Dopo il primo anno, poiché Zaccheroni lo aveva impiegato poco, Rino se ne voleva andare - racconta Adriano Galliani -. Si rivolse ad Ariedo che da fine psicologo gli rispose "Non fare il terrone" e rimase». Poi la seconda crisi nel 2005. «Dopo Istanbul lo dovetti rincuorare per giorni interi: sosteneva che dopo la delusione per la sconfitta nella finale di Champions non si sarebbe più ripreso».
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Ieri ha trascorso tre ore a Milanello con il ds Mirabelli, ha risposto a centinaia di messaggi e alla telefonata di Silvio Berlusconi che peraltro sta coltivando l' idea di andarlo a trovare nei prossimi giorni a Milanello.
«Attraverso il lavoro e la voglia ha vinto tutto - ha commentato il ds rossonero -. Lo farà anche da allenatore e si giocherà al meglio questa chance. Inutile spendere il nome di un futuro tecnico, vediamo cosa succede. Non pensiamo già al funerale di Gattuso».
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Pronto lo staff: Riccio, allenatore in seconda, Innaurato (scelto da Montella e che rimarrà) con Dominici preparatori atletici, Sangermani match analist, Magni e Giorgio Bianchi tecnici dei portieri e Innocenti collaboratore. Come si dice in bocca al lupo in calabrese?
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