PAOLA DE MICHELI GIUSEPPE CONTE
Federico Capurso per “la Stampa”
Giuseppe Conte è deciso a revocare le concessioni ad Autostrade per l'Italia: «I Benetton non hanno ancora capito che questo governo non accetterà di sacrificare il bene pubblico sull'altare dei loro interessi privati», dice a La Stampa. «Hanno beneficiato di condizioni irragionevolmente favorevoli per loro: può bastare così». L'ultima parola verrà detta martedì, a palazzo Chigi: «Porterò la questione della revoca in Consiglio dei ministri e decideremo collegialmente, ma non siamo disponibili a concedere ulteriori benefici».
salini conte de micheli ponte genova
Un cambio improvviso di rotta, dopo 24 ore di pressioni fortissime arrivate dal Movimento 5 stelle, che non avrebbe retto all'ennesima promessa mancata. Un gesto di una forza inedita, perché piomba a poche ore dalla deadline, e lascia sul piatto dei Benetton una sola via d'uscita: cedere tutte le loro quote in Aspi, con modalità non troppo penalizzanti dal punto di vista finanziario; che non assomigli, insomma, a un esproprio. Altrimenti, sarà revoca. La tensione all'interno della maggioranza è altissima.
Gli alleati del Pd e di Italia viva stanno cercando di convincere il premier a tornare sui suoi passi, ma trovano un muro di fronte a sé. Da una parte, la speranza dei Dem è che quella di Conte sia solo l'ultima minaccia della trattativa, e che dietro la durezza di facciata si nasconda invece il solito spirito sempre improntato alla negoziazione. Una mossa, in altre parole, studiata per ottenere di più di quel che è stato offerto finora: ovvero il ridimensionamento radicale delle quote dei Benetton in Aspi, come d'altronde chiedevano gli uomini di Luigi Di Maio.
giuseppe conte paola de micheli
L'ipotesi avanzata dalla holding dei Benetton di passare dall'88% di quote al 40% non è sufficiente. Si chiedeva, invece, di scendere ancora e in modo «radicale». Anche l'articolo 35 del Milleproroghe, che i Benetton continuano a chiedere di modificare, sarebbe intoccabile. Un altro paletto. E l'abbassamento del 5% delle tariffe autostradali, proposto dal consiglio d'amministrazione di Atlantia non basterebbe a convincere i grillini. Nemmeno quelli guidati dal ministro degli Esteri. Nei colloqui riservati avvenuti ieri, Conte ha comunque spiegato che «qualunque scelta prenderò, sarà nell'esclusivo interesse degli italiani».
luciano benetton
La gestione della vicenda, però, non va giù ai Dem: «Se non si rema tutti nella stessa direzione - avverte un nome di peso del Pd, che conosce bene gli umori all'interno del gruppo -, perdere il controllo all'ultima curva può provocare danni enormi, sia al governo che alle casse dello Stato. E a preoccuparsi di più, di solito, dovrebbe essere chi ha in mano il volante». Sulla stessa linea ci sono anche gli uomini di Italia viva, che definiscono una «follia» rifiutare l'accordo, «dovremmo essere felici che Atlantia abbia accettato di baciarci le pantofole, pronta a lasciare allo Stato il controllo della società».
Leu si schiera invece al fianco dei Cinque stelle, chiedendo revoca e nazionalizzazione. Una spaccatura, questa, che potrebbe emergere in tutta la sua forza domani, nel corso del Consiglio dei ministri. La temperatura, già rovente, si misura anche nei silenzi che avvolgono i ministeri maggiormente coinvolti, Infrastrutture ed Economia, entrambi a guida Pd ed entrambi contrari all'ipotesi di una revoca.
barbara lezzi
Ma il nervosismo sale anche tra i Cinque stelle. Lo dimostrano le parole della senatrice Barbara Lezzi, vicina a Di Battista, che oltre a ribadire la necessità di revocare la concessione ad Autostrade, solleva dubbi sull'operato della ministra delle Infrastrutture Paola De Micheli (Pd), troppo schiacciato in favore dei Benetton, e altrettante perplessità sulla posizione degli alleati in Cdm, chiedendo che «venga reso noto il voto di ogni ministro». Difficilmente, però, il premier forzerà la mano con una decisione a maggioranza, spaccando in due il governo; ben consapevole dei venti che soffiano, in questi giorni, nelle vele del governissimo.
2 - IL PREZZO DEL CAMBIO DI CONTROLLO "SERVIRANNO TRA 5 E 8 MILIARDI"
Paolo Baroni per “la Stampa”
La premessa che fanno tutti, analisti finanziari, broker e possibili nuovi investitori, è la stessa: prima si disinnesca la questione della revoca della concessione e, soprattutto, si sistema la questione delle tariffe e poi si può ragionare dei passaggi successivi. Ovvero del cambio di governance.
CDP – CASSA DEPOSITI E PRESTITI
Perché, anche se scenderà il gettito dei pedaggi, la società Autostrade resterà sempre un buon investimento. Ovviamente se non ci sarà la revoca che ieri il premier Conte è tornato a minacciare. Un investimento in linea con i requisiti richiesti da istituzioni come Cassa depositi, i fondi che investono in infrastrutture come pure le grandi compagnie di assicurazione, che prima di scegliere se puntare su una società richiedono visibilità del business e piani chiari e rendimenti certi.
ATLANTIA INVESTITORI
«Se la situazione si chiarisce ed Atlantia trova un'intesa col governo - assicura una fonte vicina al dossier - è possibile che il cambio di proprietà avvenga in tempi molto rapidi, se non addirittura repentini». Già, ma quanto vale la società? Quanto bisogna mettere sul piatto per avere il 51% di Aspi e ridurre i Benetton attorno al 30 una volta acquisito, ovviamente, il loro consenso? Nei contatti delle settimane passate tra Cdp e Atlantia, stando a indiscrezioni, pare si ragionasse su un range compreso tra 8 e 12 miliardi di euro; per il governo, o almeno quella parte che punta a forzare la trattativa se non addirittura a defenestrare la famiglia di Ponzano, invece non si va oltre i 7-8.
Secondo Marco Opipari analista di Fidentiis, «ipotizzando un taglio delle tariffe del 5% il valore di Aspi dovrebbe essere pari a 9 miliardi» per cui «l'88% oggi in mano ad Atlantia ne varrebbe a sua volta circa 8». A suo parere però, ipotizzare un aumento di capitale a carico dei nuovi soci per sopravanzare in questo modo la quota di Atlantia senza dover comprare direttamente titoli da questa società, è «un'operazione senza senso», perché dovrebbe essere fatta ad una cifra superiore agli 8 miliardi.
ATLANTIA
Mentre se più semplicemente ci fosse una cessione del pacchetto di controllo detenuto da Atlantia, ipotesi sinora scartata per il veto dei 5 Stelle, di miliardi basterebbe investirne circa 4,5. La cordata Una ipotetica cordata composta da Cdp, Unipol, Generali, Poste Vita, assieme ad un non meglio precisato fondo di investimento internazionale (tipo Macquarie), che potrebbe scendere in campo al posto di F2i, e tra l'altro avrebbe il pregio di togliere all'operazione l'etichetta della nazionalizzazione, stando ad alcune fonti finanziarie potrebbe essere disposta ad investire tra i 5 e i 7 miliardi. Insomma la partita Autostrade dovrebbe valere tra i 5 e gli 8 miliardi di euro, a seconda di come finirà realmente la querelle delle tariffe.
Si tratta di cifre considerevoli ma comunque ben lontane da quelle fissate 2 anni fa quando nel capitale di Aspi entrarono i tedeschi di Allianz e il fondo cinese Silk Road pagando il 10 % delle quote ben 1,48 miliardi di euro ed attribuendo così un valore di ben 14,8 miliardi all'intero capitale di Autostrade.
AUTOSTRADE PER L ITALIA
«Oggi senza convenzione Aspi vale zero, perché la società è la convenzione», spiega un altro analista che vuol restare anonimo. «Leggendo i giornali di questi giorni però - aggiunge - non vedo grosse novità: era così 6 mesi fa, 12 mesi fa ed era così anche 18 mesi fa. Se non si trova un accordo, che magari potrebbe anche già esser stato siglato ma viene tenuto riservato, è inutile fantasticare su aumenti di capitale e passaggio delle quote».
Quanto rendono i pedaggi Però più fonti confermano che se si riuscirà a trovare una quadra evitando la revoca della concessione, anche dopo che Aspi avrà ridotto le tariffe dei pedaggi ed aumentata in maniera significativa la mole degli investimenti come ha chiesto e come alla fine pare abbia ottenuto il governo in quest' ultimo round di trattativa coi Benetton, la società che dal 1998 gestisce metà delle rete autostradale italiana (3000 km) può essere pur sempre un buon investimento.
Nulla a che vedere però con la situazione pre Covid e pre Morandi, quando come nel 2018 (anno comunque funestato dal crollo del ponte sul Polcevra) a fronte di 4 miliardi di euro di ricavi (di cui 3,66 esclusivamente da pedaggi) la società sfoggiava un utile netto di 622 milioni di euro e soprattutto un margine lordo che sfiorava addirittura la metà del fatturato arrivando a quota 1,99 miliardi. -