Paola Pollo per “Sette - Corriere della Sera”
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Stella Jean è un'italiana con la pelle nera. Padre di Torino e mamma di Haiti. Accento romano-romano, perché nella capitale è cresciuta. La «stilista dell'integrazione» dicono di lei. «Ho solo fatto dialogare le stampe dell'Africa con le linee d'Europa», risponde raccontandosi.
stella jean con uno dei suoi capi
E avrebbe voluto occuparsi solo e soltanto del suo lavoro. «Ma non ce l'ho fatta, non potevo restare immobile di fronte a tutto questo negazionismo e razzismo a chilometro zero», aggiunge riassumendosi. Perché il 7 giugno scorso, la giornata del #blacklivesmatter, è scesa in piazza, è salita sul palco e ha cominciato. Anzi ha ricominciato.
«Già, da quando ho il mio primo ricordo, non è cambiato nulla. Eppure ho 41 anni appena compiuti. Quindi tanta vita. Il muro più grande è il negazionismo. Quando mi dicono: "Stella, ma di cosa parli? Il razzismo in Italia non esiste. E aggiungono "io ho anche un amico nero" o "pensa, la mia tata era nera" mi fanno arrabbiare ancora di più: come se questi fossero dei salvacondotti. Invece è un razzismo vestito di perbenismo, profumato di buono. Ma ha esiti dolorosi. Molto. Perché è quotidiano, perché non c'è una consapevolezza di quello che succede».
giorgio armani
La prima e l'ultima memoria della sua discriminazione quotidiana?
«I compagni che urlavano "mamma quella bambina sembra una scimmia" e i genitori che scoppiavano a ridere. Poi sono arrivate le pressioni fisiche e le minacce. E prima di imparare a leggere impari ad addomesticare il dolore e per un bambino, credetemi, è tanto. Cerchi di incassare senza dare soddisfazione. E sei sempre in allerta.
stella jean bambina insieme alla madre violetta
Da ragazza più di una volta sono stata aggredita sui mezzi pubblici. Più di una volta mi hanno sputato addosso. A ferirmi non è stata la maleducazione, l'ignoranza del singolo, ma l'indifferenza della collettività. Può esserci il disgraziato di turno, ma quando la gente si gira dall'altra parte, ed è la tua gente perché io sono italiana, quello ti colpisce ancora di più.
Arriviamo all'oggi con io e mio marito che corriamo a scuola per altre minacce vergognose e in polizia per una denuncia. E poi non vivere e scortare ovunque mia figlia che mi supplica di non fare i nomi e cognomi per paura. Vado avanti?».
Certo, continui.
stella jean bambina con papa giovanni paolo ii
«A febbraio quando ho cercato sostegno per la mia campagna Italians in Becoming, nessuno del mio ambiente, a parte Giorgio Armani che è stato un grande, mi ha appoggiato incondizionatamente, non solo non mi ha ricevuto, ma neppure ascoltato. Quando parlavo di multiculturalità, di Africa, di bei Paesi esotici c'erano tutti ma non appena ho cominciato ad affrontare il razzismo in Italia si sono voltati dall'altra parte.
stella jean in piazza del popolo alla manifestazione black lives matter
Gli stessi che non si sono degnati li ho visti poi listare a lutto i loro instagram per il #blacklivesmatter. Avrei apprezzato maggiore coerenza e invece c'è stata la corsa a non volere sembrare razzisti. Bene, difendiamo la causa dei neri negli Stati Uniti, cominciando da qui».
Ancora il negazionismo?
«Sì, se non cominciamo ad ammetterlo, non lo risolveremo mai. Noi siamo uno dei Paesi più illuminati al mondo, con una Costituzione unica. Padri costituenti che 73 anni fa hanno difeso e salvaguardato tutti, pagando già il mio riscatto. Hanno pensato alle donne, ad abolire la differenza sessuale, di lingua, di ceto sociale e di razza.
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E io devo Ascendere in piazza a combattere una battaglia vinta da tempo? Ripeto: assurdo. Tutti questi attivisti dell'ultima ora e distratti della prima mi indispongono. Ma non mi importa. Se cambiano, va bene lo stesso. Non ho nessuna intenzione di risolverla da sola. Anche perché se mi dicono "nera, tornatene nel tuo Paese" io non so cosa rispondere perché sono italiana, sono nata qui e questa è la mia terra».
E poi c'è quella frase: cosa ti lamenti? In America è peggio!
«Questa è l'opzione Pilato. E mi arrabbio. Non ci sono morti è vero, ma nella quotidianità vengono inferte ferite che non si rimarginano mai più. Sono strastufa. Ho imparato il monologo di Martin Luther King da piccola e mi potevo emozionare allora. Ma se ancora, dopo 40 anni, debbo dire "ho un sogno", significa che è diventato un'illusione».
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Chiuda gli occhi e pensi all'Italia che vorrebbe.
«Vorrei che la gente parlasse. Posso aver sbagliato io a non spiegare e gli altri a non chiedere. L'Italia non è l'America, non c'è la stessa matrice odiosa e razziale e neppure una storia di schiavitù. Siamo a uno stadio embrionale: c'è bisogno di costruire un dialogo e non di essere spaventati dalla diversità.
Qui c'è diffidenza mista a indifferenza e altro. Se questi muri crollassero e ci parlassimo, sono sicura che succederebbe come quando ho cominciato nel mio lavoro a fare "dialogare" le stampe africane con le linee italiane. Siamo un popolo curioso, intelligente e con una cultura che non ha pari.
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Siamo in tanti a essere meticci, in più con una storia di immigrazione ed emarginazione all'estero pesante. La frase di Massimo d'Azeglio è sempre attuale: abbiamo fatto l'Italia ora facciamo gli italiani».
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In pratica?
«Iniziamo a passare il microfono, amplificando le voci di donne e uomini di ogni colore. Attualizziamo le pratiche occupazionali. Per-mettiamo a ragazzi neri e di altre minoranze di fare parte dei team, di varcare la sala dei bottoni. Il colore non dev'essere certo il motivo per cui si assume o non si assume.
Non chiedo misure coatte né quote, ma la valutazione di merito che non può mai essere subordinato ad un colore. Papa Francesco diceva di mettere tutto quello che è stato, anche da parte di noi non-bianchi, in un cassetto e di chiuderlo. Ripartire da zero e cominciare con un anticipo di gentilezza confidando che sia contagiosa e si sviluppi un'immunità di gregge».
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