Franco Cordelli per il "Corriere della Sera"
franco cordelli
Da quando Luigi Proietti non c'è più è passato quasi un mese. Lo ammiravo. Mi piaceva. Oggi, avverto la sua assenza, non ho smesso di pensarlo: Roma, la mia città, senza più lui. Cos' è successo perché l'immagine di Proietti crescesse non solo dentro di me? Due opposte forze, a contrastare: quanto per ricordarlo scrisse Renato Palazzi. Scrisse (siamo nel 1976, Proietti aveva trentasei anni) che non andò oltre A me gli occhi please , ossia non divenne un grande attore.
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Si sarebbe fermato di fronte al successo. Allora mi chiedo: che cos' è un grande attore? Quando si diventa tale? Correggo e preciso la domanda, secondo ciò che desumo dall'articolo di Palazzi: si diventa tali quando si interpretano i grandi personaggi della drammaturgia di tutti i tempi? Rispondo che no, non è così. In realtà basta interpretarne uno, non necessariamente sé stesso - ma, anche fosse, sé stesso potrebbe essere più che sufficiente.
Quanti grandi personaggi interpretò Salvo Randone? Non lo ricordiamo quasi solo per l'Enrico IV ? Aggiungo: prima di A me gli occhi please , Proietti non era stato interprete, diretto da Antonio Calenda, del Dio Kurt di Moravia, del Coriolano di Shakespeare e di Operetta di Gombrowicz? Non aveva accompagnato Carmelo Bene nell'avventura de La cena delle beffe , quando Carmelo tornò al teatro dopo la parentesi cinematografica? Concludo: quasi quattro spettacoli non sono più che bastevoli per stabilirne da sé soli impegno e grandezza d'un tipo non solo popolare, votato al successo?
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Di una quantità di scrittori ammiriamo le opere prime o seconde, e ci bastano per considerarli grandi. Poi, o si ripetono o cambiano strada e, appunto, gli succede di scrivere testi più accessibili al grande pubblico e tuttavia noi continuiamo a considerarli per ciò che erano stati al principio della loro avventura. Vorrei tuttavia osservare, senza ricorrere al suo cinema (Altman, Lumet) o agli altri titoli di svariata natura, che a Proietti non accadde una simile sorte. La sera dopo la sua morte, il 2 novembre scorso, ho visto in televisione Preferisco il Paradiso , una fiction per celebrare i suoi settant' anni (Proietti era nato il 2 novembre 1940).
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Vi interpretava Filippo Neri, come Filippo Neri diventò santo. Certo, non era un prodotto artistico, era un prodotto concepito e realizzato per il grande pubblico. Pure, più d'una volta mi sono commosso, non m' imbarazza dirlo, e sempre per la qualità suprema dell'interpretazione di Gigi. Per essere ciò che Proietti era non è necessario diventare Riccardo III o Cyrano de Bergerac , che pure interpretò. Ho parlato di due opposte forze. C'è quella positiva. Sui muri di Roma sono fiorite immagini del Cavaliere nero. Sorridente, sempre: dal Tufello (sopra) al Trullo, alla porta del Brancaccio, il teatro che a lungo diresse.
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Quando morirono Gassman o Sordi, una cosa simile sarebbe potuta accadere e non è accaduta. Ma i tempi sono cambiati. In quei murales si avverte ciò che ho chiamato una forza. Se la parola scritta lo è, oggi di più lo è l'immagine. Le immagini, spontanee, vengono alla luce. A crearle non sono artisti, è vero.
È semplicemente la forza «creaturale» del popolo, di chi lo ha amato, di chi lo vuole ricordare, di chi sente la mancanza di un uomo che né a Riccardo III né a Enrico IV ha dato voce, ma a tutti. Proietti non era un attore «da palcoscenico». Come meglio ricordarlo, allora, se non con quelle meravigliose, toccanti immagini?
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