Federico Berni per "www.corriere.it"
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Nella cassetta della posta condominiale una busta con una chiavetta Usb contenente un video hard, e un biglietto: «Ecco quello che fa la nostra vicina di casa». In un gesto criminale, la reputazione rovinata, l’obbligo di cambiare casa, l’imbarazzo, il disagio personale e la frustrazione per una donna brianzola di 47 anni, vittima di un classico caso di «revenge porn», anche se all’epoca del fatto — era primavera del 2018 — la legge sulla «illecita diffusione di immagini a sfondo sessuale» non era ancora entrata in vigore.
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La procura di Monza (pubblico ministero Carlo Cinque) contesta comunque i reati di estorsione, stalking e diffamazione a quattro imputati, tre uomini e una donna rinviati a giudizio nei giorni scorsi dal gup Silvia Pansini. Tra questi c’è anche un 47enne di Trezzo sull’Adda, che con la vittima aveva intrattenuto una relazione, fino a pochi mesi prima della spirale di ricatti denunciati dalla donna, assistita dall’avvocato Elena Franzoni.
All’epoca del loro rapporto, l’impiegata brianzola credeva di aver trovato un partner che ricambiasse il suo affetto. Invece, lui sembra interessato solo al denaro, come avrebbe avuto modo di capire in seguito. Due anni fa le venne chiesto di girare un video a luci rosse: lei con due uomini, con il fidanzato nella veste di «regista». Qui entrano in gioco i presunti complici, un 25enne di Cornate d’Adda e un 36enne nato in Sicilia nel ruolo di «attori», anch’essi finiti a processo (la quarta persona a giudizio è una 32enne che avrebbe aiutato gli altri tre nell’attuazione del piano).
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La vittima accetta e per lei prende forma l’incubo. Dal momento in cui realizzano il filmato, i quattro cominciano a chiederle soldi. Non somme esagerate (massimo 500 euro), che lei è costretta a prelevare, per timore che il contenuto del video venisse consegnato al padre o reso pubblico.
Ma gli attacchi più violenti sono quelli tra aprile e giugno 2018. Le viene incisa una croce sulla porta di casa. Le fanno trovare un foglio con alcuni fotogrammi del video intimo. Le inviano dei messaggi carichi di insulti e volgarità via whatsapp, sempre inerenti il filmato («Ridicola, patetica, mi fai schifo» sono le parole meno pesanti riportate negli atti). Minacciano, pretendono denaro («altrimenti ti roviniamo») e poi agiscono.
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Le immagini (con i volti degli imputati coperti) vengono mandate al padre, ai contatti di Facebook (amici, parenti, e colleghi di lavoro) e agli inquilini del residence di Usmate Velate (Monza e Brianza) dove la stessa viveva, prima di essere costretta a traslocare. A questi ultimi viene fatta trovare una lettera di accompagnamento (a nome di un fantomatico «residente della zona») piena di menzogne.
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«La signora da un po’ di tempo paga uomini stranieri (non sempre maggiorenni) per prestazioni sessuali a pagamento, alcuni di questi autori di furti negli appartamenti. Le sue attività private si sono rivelate portatrici di crimini del nostro quartiere». Dopo la denuncia, gli inquirenti scoprono la copia originale del video, senza i volti oscurati.