CAMPI DI PRIGIONIA IN COREA DEL NORD
Annalisa Grandi per www.corriere.it
«Li hanno decapitati davanti a tutti, tutti dovevano sapere cosa succede a chi cerca di scappare». È una storia che sembra uscita da un film dell’orrore, quella raccontata al britannico «Daily Mail» da Lim Hye-jin, nordcoreana. Quando aveva 20 anni per un periodo spiega di aver prestato servizio come guardia nei campi di lavoro forzato in Corea del Nord.
IL LAVORO FORZATO E LE ESECUZIONI
CAMPI DI PRIGIONIA IN COREA DEL NORD
Siamo negli anni Novanta, ma l’ultima commissione di inchiesta Onu, nel 2014, parlava di oltre mezzo secolo di abusi e violenze in veri e propri campi di concentramento in Nordcorea. «Venivamo addestrati a non provare nessun tipo di empatia verso i prigionieri. Ci dicevano che avevano commesso dei crimini orribili. Ora so invece che erano persone normalissime e mi sento davvero in colpa» racconta Lim, che oggi vive a Seoul.
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Quando aveva solo 17 anni, inizia a lavorare nel «Campo 12», a Chongo-ri, vicino al confine cinese. Qui sarebbero state rinchiuse 10mila persone: prigionieri politici, responsabili di reati economici, criminali comuni. Due fratelli erano riusciti a scappare da uno dei campi. Li avevano ritrovati in Cina, riportati in Corea e poi decapitati, spiega l’ex guardia. «Hanno tagliato loro la testa davanti a tutti, poi hanno ordinato agli altri prigionieri di tirare delle pietre contro i corpi. Io dopo quella scena non ho mangiato per giorni».
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Lim Hye-jin è la prima donna ad aver prestato servizio nei campi di lavoro che sceglie di parlarne. Prima di lei, l’avevano fatto alcuni altri, che avevano descritto orrori simili. «Anche i bambini venivano rinchiusi lì, per punire genitori e nonni. Molti prigionieri erano deformati dalla fame e dal lavoro nelle foreste al gelo o nelle miniere». «Se gli uomini erano in salute, venivano mandati nelle miniere. Molti morivano. Una volta c’è stata un’esplosione di gas, 300 persone sono morte. Le guardie hanno chiuso la galleria anche se c’erano delle persone ancora vive dentro».
GLI STUPRI
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«Le donne venivano stuprate - racconta ancora - Non potevano dire no, e se qualcuna di loro rimaneva incinta doveva abortire o le veniva praticata l’iniezione letale. Se la gravidanza era in fase troppo avanzata, il bambino una volta nato veniva picchiato fino ad ucciderlo o bruciato vivo». Lim racconta di una donna spogliata e poi bruciata viva, da una guarda che semplicemente si annoiava, durante un interrogatorio. I detenuti, spiega ancora «dovevano lavorare 16 ore al giorno, sette giorni alla settimana».
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«Non c’era rispetto neanche per i morti, i corpi venivano messi uno sopra l’altro e poi bruciati». L’ex guardia, oggi una donna di mezza età, dopo aver disertato è stata arrestata perché accusata di traffici con la Cina, ora vive in Corea del Sud. «Temo che la situazione oggi sia ulteriormente peggiorata», dice. Quanto avveniva nei campi in Corea del Nord era stato raccontato anche da chi in quei campi ci era finito: Jung Gwan II, arrestato con l’accusa di spionaggio, era stato rinchiuso per tre anni nel campo di Yodok.
«È stato come vivere l’inferno sulla Terra» aveva spiegato, raccontando di aver subito ogni tipo di tortura già prima di entrare nel campo «Potevo solo strisciare non riuscivo a camminare» aveva rivelato. «I prigionieri non sembravano esseri umani, e non c’era solidarietà fra di loro. Ognuno pensava che se avesse aiutato gli altri sarebbe stato punito a sua volta».
zone rurali corea del nord
Una storia, quella di Jung Gwan II, per certi versi simile a quella di Shin Dong-hyuk, oggi 35enne, l’unica persona nata, cresciuta e riuscita a fuggire da un campo di internamento in Nordcorea. «Quando sono arrivato ho pensato di essere in un film dell’orrore - ha spiegato Kang Chol Hwan, all’età di nove anni finito nel campo di Yodok insieme al nonno - Una volta avevo visto un film su Auschwitz, e lì era praticamente uguale».
I NUMERI
KIM JONG UN
Secondo il rapporto dalla Commission per i diritti umani delle Nazioni Unite nei campi di lavoro in Corea del Nord sono state rinchiuse tra le 600mila e i 2 milioni e mezzo di persone, in mezzo secolo. In 400mila sarebbero morte per le torture, la malnutrizione e le esecuzioni sommarie.
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