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    COSA BOLLORE’ IN PENTOLA? VIVENDI VIA DA MEDIASET, IL GRANDE PATTO TRA IL FINANZIERE BRETONE E BERLUSCONI - LA BATTAGLIA DEL BISCIONE SI STA PER CHIUDERE: I FRANCESI PRONTI A SCENDERE AL 5 PER CENTO NEL GRUPPO DI COLOGNO E A COLLABORARE CON IL NUOVO POLO TV NATO DALL' ALLEANZA TRA CANAL PLUS E TIM – INTANTO IL GOVERNO…


     
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    Claudio Tito per la Repubblica

     

    Mediaset, Vivendi, Telecom. Il grande patto sulle telecomunicazioni si sta per chiudere. E ha una premessa: la pace tra Silvio Berlusconi e Vincent Bolloré, dopo la guerra dell' ultimo anno per il controllo dell' azienda più cara al Cavaliere.

     

    A meno di colpi di scena dell' ultima ora, infatti, l' accordo per chiudere la battaglia di Cologno Monzese è ormai in corso di definizione. Alcuni particolari devono essere ancora specificati. E infatti nessuna notifica è arrivata all' Agcom. Anche se l' Autorità per le Comunicazioni, che attende una risposta ufficiale dopo lo stop impartito a Bolloré la primavera scorsa, è stata ufficiosamente informata che la trattativa richiede solo un limitato surplus di tempo.

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    Sono dunque due gli architravi su cui le squadre di legali stanno lavorando: Vivendi abbandona di fatto Mediaset e Premium inizia a collaborare ai prodotti televisivi del nuovo polo nato dall' alleanza tra Canal Plus e Tim Vision.

     

    La società francese negli ultimi dodici mesi - dopo lo scontro sull' acquisto di Premium e la successiva causa legale - aveva rastrellato le azioni del Biscione sfidando il Cavaliere e arrivando a toccare quasi la quota del 30 per cento. Al momento si attesta intorno al 28,8 per cento. Una soglia che le impedisce di esercitare il controllo, anche perché ad aprile scorso proprio l' Agcom aveva intimato a Vivendi - a causa della presenza egemone in Telecom e della denunciata posizione dominante - di rinunciare entro un anno a uno dei due pacchetti azionari. Nella sostanza lo stesso soggetto non può detenere il comando di due aziende che agiscono nello settore delle telecomunicazioni.

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    Il socio francese ha quindi accettato di ridurre la sua presenza in Mediaset fino al 5 per cento (l' Autorità per le tlc gli aveva imposto di scendere sotto il 10 per cento entro un anno). Il passaggio delle azioni sarà progressivo.

     

    Fininvest, il socio di maggioranza delle tv berlusconiane, può acquistare nell' immediato solo un altro 5 per cento senza far scattare l' Opa incrementale. E considerando che Mediaset ha già deliberato di acquistare azioni proprie fino al 10% (ora ha circa il 4 per cento), nel breve periodo Berlusconi può riconquistare sotto il suo dominio un pacchetto di azioni che ammonta a circa l' 11 per cento. Tra le soluzioni in discussione anche quella di affidare la restante quota ad un blind trust che le gestisca per l' ordinaria amministrazione.

     

    Vendere ora, però, comporta una perdita netta sostanziosa per Vivendi che aveva impegnato 1,25 miliardi al fine di tentare la scalata e che adesso - con gli attuali prezzi di borsa - rischia di rimetterci un bel po'.

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    Le due parti hanno comunque concordato di ratificare l' accordo entro metà dicembre. Per due motivi: il 19 dicembre si terrà l' udienza per la causa civile tra Mediaset e Vivendi. E poi perché entro la fine dell' anno si dovrebbe tenere l' asta per i diritti tv del calcio, ossia per trasmettere le partite della Serie A.

     

    Un passaggio questo non indifferente. Perché il patto prevede il coinvolgimento di Premium, la pay tv del Biscione con due milioni di abbonati, nella fornitura di prodotti televisivi alla joint venture nata tra Canal Plus e Tim vision per sfidare Netflix sui contenuti on demand. E il calcio italiano sarebbe un vero e proprio vantaggio competitivo per la nascente emittente. «Ho sempre pensato - ha detto nei giorni scorsi Berlusconi - che serva la costruzione di un grande polo televisivo europeo ». E questo sarebbe appunto il terreno per provare a dar vita a questo progetto. Ma sarebbe soprattutto il primo passo per realizzare il trasferimento graduale e successivo di Premium sotto l' egida di Vivendi.

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    Ci sono altri due aspetti che il Cavaliere ha tenuto in considerazione nel braccio di ferro con Bolloré. Uno riguarda la divisione dell' eredità familiare. Una questione che da tempo provoca tensioni tra i cinque figli e che il capo famiglia deve ancora mettere a punto. «Mediaset - ha ammonito Berlusconi nel libro di Vespa - resterà sempre italiana e della mia famiglia». Il secondo è strettamente connesso alla prossima campagna elettorale: il leader di Forza Italia non intende rinunciare al ruolo attivo delle sue televisioni. Come è sempre stato dal 1994.

     

    Il patto, però, ha come orizzonte anche il futuro di Telecom.

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    Non solo per il coinvolgimento di Tim Vision. In realtà la partita è stata giocata separatamente pure sul tavolo della rete dell' ex monopolista telefonico. Il pressing esercitato dal governo su un possibile scorporo dell' infrastruttura si è concretizzato con l' attivazione del cosiddetto "golden power" che obbliga i vertici di Corso d' Italia a informare il governo su una serie di iniziative, a cominciare proprio dai piani di sviluppo e manutenzione della rete.

     

    Questa decisione era stata interpretata come il primo passo per lo "scorporo" della infrastruttura telefonica. Ma dopo il ricorso al "golden power" il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, ha deciso di non dare l' ultimo colpo di acceleratore. Non vuole emettere multe e a tutti ripete che semmai ci penserà il prossimo esecutivo. Una linea che sta provocando una frattura dentro il governo. Il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, infatti ha anche di recente insistito con Gentiloni sulla necessità di andare fino in fondo con Telecom.

     

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    La scelta del premier ha quindi tranquillizzato Vivendi, il socio controllante di Tim. Non a caso nei giorni scorsi il nuovo ad del gruppo, Amos Genish, proprio per lanciare un ultimo segnale di pace a Palazzo Chigi non ha escluso una "societarizzazione" della rete con l' ingresso di nuovi soci, anche pubblici. Una sorta di "consorzio" delle infrastrutture telefoniche. Del resto, c' è un elemento ormai ben chiaro ai vertici della ex Sip. Nel giro di tre anni la nuova rete in fibra di Open Fiber, controllata di fatto dallo Stato, raggiungerà il 40 per cento del Paese. La rete in rame di Tim rischia di diventare obsoleta e soprattutto di perdere valore. Un rischio che nessuna Spa quotata può permettersi.

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    Il grande patto sulle telecomunicazioni serve anche per questo.

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