Giovanna Casadio per "la Repubblica"
calderoli
Ferma da due anni, con una proposta già fatta e finita congelata in Parlamento (il Germanicum), la legge elettorale torna al centro del dibattito politico. La macchina dei partiti riparte da qui, guardando alle macerie delle coalizioni che l'elezione per il Quirinale ha lasciato sul campo. La conseguenza dell'adozione di un modello proporzionale, come quello che c'è stato fino alle elezioni del 1992, comporterebbe la fine del voto per coalizioni.
Non essendoci più il meccanismo dei collegi unimoninali, dove viene eletto il candidato che prende un voto in più degli avversari, cade l'incentivo a cercare intese prima del voto e ogni formazione si presenta per conto suo, eleggendo una quota di parlamentari appunto proporzionale ai consensi ricevuti. Gli eventuali accordi si farebbero solo dopo, in Parlamento, qualora nessuna delle forze avesse - com' è probabile - una maggioranza autosufficiente.
MATTEO SALVINI E GIORGIA MELONI
Un modello proporzionale sancirebbe la fine del centrodestra, nella forma che si è vista finora. Matteo Salvini lo sa bene. Se vorrà consumare il divorzio verso Giorgia Meloni, basta che apra a una legge proporzionale. Ma Roberto Calderoli garantisce: «Il Rosatellum non si tocca, presenterei 100 milioni di emendamenti». I leghisti intanto rilanciano un'idea antica: creare una federazione che porti a una sorta di partito repubblicano all'americana.
Per chi volesse leggere tra le righe c'è il tentativo di agganciare FI e sganciare FdI. Salvini salverebbe capra e cavoli: la leadership e l'affaccio al centro. Furente è Meloni per tutto il chiacchiericcio sul proporzionale, che boccia senza appello: «È un sistema per turlupinare gli italiani». Ignazio La Russa attacca sulla federazione: «Salvini si prenda una bella pausa».
LETTA RENZI
Sulla strada che vuole imboccare Forza Italia poi, non c'è certezza. Silvio Berlusconi ha ribadito poche settimane fa di essere sempre a favore del maggioritario e Antonio Tajani, il coordinatore forzista, ha assicurato che da lì nessuno si muove. Ma nelle file di Forza Italia cresce la voglia di proporzionale, per riprendersi la centralità perduta e sganciarsi dalla "sudditanza" alla Lega. E sono propri i centristi i principali sostenitori del modello proporzionale, a cominciare da Giovanni Toti di "Coraggio Italia", che vorrebbe un matrimonio con i renziani. Ma Renzi, da sempre pro maggioritario, è tutt' altro che convinto.
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Sostiene che neppure ai centristi serve il proporzionale e che lui vuole tenersi il Rosatellum. C'è un retropensiero: la ritrovata sintonia con il segretario del Pd, Enrico Letta potrebbe rendere conveniente ai renziani rientrare in una coalizione larga progressista, immaginando la dissoluzione del Movimento 5Stelle.
Intanto Marco Di Maio, capogruppo di Iv in commissione Affari costituzionali della Camera, dove il Germanicum è fermo, stoppa: «La riforma della legge elettorale non è una priorità, questo confronto rischia di mettere in difficoltà Draghi. Si può fare una riforma proporzionale solo se tiene unita la maggioranza di governo». Ma a non volere più insabbiare il dossier legge elettorale è il Pd. È stato il segretario Letta a sollevare la questione e lo conferma oggi su Repubblica il vicesegretario Peppe Provenzano.
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Emanuele Fiano, relatore del Germanicum, assicura: «Siamo pronti a farlo ripartire» e rilancia il proporzionale con sbarramento al 5%. In un partito in cui i fondatori avevano legato il dna politico al maggioritario è una svolta. Andrea Giorgis, responsabile riforme dice che se ne parlerà nella prossima Direzione e che «al Pd preme rendere meglio funzionante la nostra democrazia rappresentativa: non stiamo parlando di cosa ci avvantaggerebbe, ma di come ricostruire la fiducia con i cittadini». Sintonia con Leu.
La sinistra è a favore del proporzionale. Federico Fornaro indica i tre nodi da sciogliere: sbarramento (meglio al 4%), basta liste bloccate e trovare un modo per selezionare i candidati. Per i grillini, il proporzionale è il cavallo di battaglia. Giuseppe Brescia, il presidente 5S della commissione Affari costituzionale di Montecitorio, invita a passare dalle parole ai fatti: «Il dibattito deve riprendere in Parlamento, non solo sui giornali ». Il Germanicum è il "suo" testo, sua è stata la sintesi, tanto che è chiamato anche Brescellum.