Monica Serra per “la Stampa”
silvia romano
In questo palazzo dai muri ingialliti al Casoretto, periferia multietnica a nord est di Milano, non c'è più neanche mamma Francesca. Mentre lei, Silvia Aisha Romano, liberata l'anno scorso dopo diciotto mesi di prigionia in Somalia, ha scelto di tornare alla vita andando ad abitare lontano dalle polemiche, dalla città. E si è sposata. Le tapparelle marroni dell'appartamento al terzo piano del palazzo sono state tirate giù per l'ultima volta. E non per tenere lontani giornalisti e curiosi che per giorni si sono affollati sotto casa di Silvia, rapita a Chakama, in Kenya, la sera del 20 novembre 2018.
davide piccardo
Non ci sono più, e per fortuna, gli hater e i troll che hanno perseguitato la volontaria gracile, dagli occhi gentili, per giorni e mesi dopo la sua liberazione, il 9 maggio del 2020. Che l'hanno accusata per via della conversione all'Islam, per il suo jilbab verde (abito tradizionale somalo), per i soldi che l'Italia avrebbe pagato per il riscatto, forse anche per il suo sorriso. L'hanno sommersa di odio e cattiveria e fatta finire sotto "tutela" a casa sua, spingendo anche la procura ad aprire un'inchiesta.
silvia romano va dall'estetista 1
È passato un anno da quel sabato pomeriggio di nuvole e sole, il giorno della liberazione, arrivato dopo un lungo e complesso lavoro d' intelligence e con la collaborazione dei servizi turchi. E la famiglia, tutta, ha deciso di allontanarsi da Milano per ricominciare a vivere. Ancora chiusa nel più stretto riserbo, ha finalmente trovato la serenità che cercava, lontano dalle offese e dalle telecamere. Ognuno per la sua strada, in città e regioni diverse, a partire da lei, Silvia Aisha (che significa "viva": il nome scelto dopo la conversione).
silvia romano va dall'estetista 3
Oggi ha ventisei anni, vive distante da sguardi indiscreti in un paese alle porte di Milano, insegna in una scuola per adulti le «adorate» lingue straniere (si era laureata poco prima di partire per l' Africa), ed è felice. Di una «felicità piena», racconta chi è molto vicino alla famiglia.
Ha trovato l'amore Silvia e si è sposata, con rito islamico, il 5 ottobre scorso. A Campegine, un piccolo centro di cinquemila anime, a metà strada tra Milano e Bologna, tra la casa di Silvia e quella del marito, Paolo P., un ragazzo italiano di origini sarde che all' epoca viveva proprio lì, in Emilia Romagna.
TIZIANA BELTRAMI E SILVIA ROMANO A CENA AL KAREN BLIXEN
E che, prima di sposarla, si è convertito all' Islam e ha abbracciato anche la sua fede.
Una «storia da favola su cui si potrebbe girare un film», racconta chi le vuole bene. Perché Silvia e Paolo, suo coetaneo, sono amici da quando erano bambini. Da piccoli giocavano sempre insieme. Poi la vita li ha divisi ed entrambi hanno intrapreso la propria strada. Fino a quel 9 maggio, al ritorno a casa di Silvia.
il sequestro di silvia romano tiziana beltrami e africa milele
La sua storia, il clamore mediatico, le foto ovunque. Così Paolo, con tutto l' affetto che accompagnava i ricordi dell' infanzia, ha provato a rimettersi in contatto con lei. E ci è riuscito. Hanno iniziato a sentirsi, a frequentarsi. Dopo tanti anni, si sono ritrovati. E innamorati. Lui si è convertito, ha abbracciato la stessa fede che Silvia Aisha racconta nell' unica intervista affidata a luglio a Davide Piccardo, esponente della comunità islamica milanese e direttore del sito "La luce", e ha potuto sposarla. In gran segreto. Senza feste e cerimonie.
SILVIA ROMANO
Con pochi, pochissimi intimi. Ora vivono insieme, lontano da tutto quel che è stato. «Rinati», dopo una sofferenza che tutta la famiglia ha vissuto per più di cinquecento giorni, mentre Silvia era nelle mani del pericoloso gruppo terroristico di Al Shabab, affiliato ad al Qaeda. Ceduta dal commando armato di pastori kenioti di etnia somala che l' avevano rapita alle sette e mezza della sera del 20 novembre di tre anni fa.
Era una domenica di pioggia e Silvia era arrivata da una decina di giorni a Chakama, a fare la volontaria per Africa Milele, una piccola associazione, troppo poco strutturata e che non adottava le giuste misure di sicurezza, nata per aiutare i bambini del villaggio, a ottanta chilometri a ovest di Malindi.
SILVIA ROMANO
Non aveva esperienze di cooperazione internazionale Silvia, né una formazione specifica. Eppure Lilian Sora, fondatrice dell' associazione, era tornata a Fano, dove vive, nelle Marche, e l'aveva lasciata lì come referente italiano sul posto, a gestire l' economia della Onlus. Con lei c'era un masai keniota, compagno di Sora e padre di sua figlia. Ma quando arrivarono i rapitori armati di kalashnikov non c'era nessuno.
A causa del cambio di guardia, hanno poi spiegato. La ragazza è stata trascinata via, portata al di là del confine, costretta a cambiare almeno tre covi diversi, tenuta prigioniera dai terroristi. Recenti servizi delle Iene hanno messo in dubbio tempi e modalità della liberazione, condotta dall' Aise, con l'aiuto delle forze locali. Mai si è saputo se l'Italia ha pagato un riscatto per ottenere il rilascio. E con sicurezza mai si saprà.
SILVIA ROMANO CON LA MADRE
Quel che è certo è che ora Silvia sta bene ed è felice. Sogna di poter un giorno tornare in Africa ad aiutare i suoi amati bambini. Ma per ora non ci pensa, «sa che sua madre morirebbe di paura», spiegano fonti vicine alla famiglia. Quel che spiace è che, per ricominciare davvero, è dovuta andare via dalla sua casa, dalla sua città. Lontano dagli odiatori seriali che l' avevano presa di mira. Messa in pericolo, qui, in Italia. Nonostante loro, nonostante tutto, oggi «il suo sorriso è più bello di quello di prima».
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