Paola Italiano per “la Stampa”
C'è stato un tempo in cui per capire quale musica avremmo ascoltato in Italia da lì a poco, bisognava guardare le classifiche inglesi e americane. Per la generazione del giovane Raffaele Riefoli il viaggio a Londra era allora una tappa obbligata dell'educazione underground del giovane alternativo, specie se ambiva a fare musica. In quel tempo, precisamente il 18 agosto 1984 entrava nella top ten inglese Laura Branigan con il pezzo Self Control.
RAF RAFFAELE RIEFOLI
E l'autore era lui, Raffaele Riefoli, nome d'arte Raf, che arrivava da Margherita di Savoia, allora provincia di Foggia si era trasferito a Firenze per studiare all'Istituto d'arte e quindi si era avventurato senza una lira in Inghilterra, al centro del mondo. In Italia Self Control sarebbe stato il terzo singolo più venduto del 1984 dietro Stevie Wonder e gli Wham!. A 62 anni, 63 a settembre, Raf sembra ancora un ragazzo, ma erano 7 anni che non usciva con un singolo, che è finalmente è arrivato e si intitola Cherie.
Che ha fatto in questi 7 anni?
«In realtà 5, quelli della pandemia vanno tolti: non avevo voglia di uscire con un progetto nuovo perché non avrei avuto la possibilità di portarlo dal vivo, cosa che oggi è fondamentale. Sarei dovuto uscire prima con un disco ma ho avuto un diverbio con la mia vecchia casa discografica perché volevano impormi la loro linea».
Cioè?
«Faccio questo mestiere da una vita e arrivare in sala dove tutti hanno fatto già tutto e io devo solo cantare e poi tornare a casa non mi piace».
In Cherie c'è un forte richiamo alle origini: la lingua inglese (in parte) e il groove disco-funky. Non è che quel che resta degli Anni 80 alla fine è proprio la musica? Kate Bush è tornata addirittura in classifica grazie alla serie Stranger Things.
«Miracoli di Netflix. Le canzoni del passato ritornano grazie alla serie tv, ma anche grazie ai social come TikTok. Da un lato è un bene, dall'altro la dice lunga su come oggi sia un problema fare musica: tutto quello che viene proposto attinge inevitabilmente al passato, non c'è nulla di veramente nuovo. E non imperversano solo gli 80, si sentono tantissimo gli anni 60, anche nei tormentoni estivi».
RAF RAFFAELE RIEFOLI UMBERTO TOZZI
Anche negli Anni 80 però si era già visto e sentito molto.
«Ma io ricordo il giorno in cui vidi il film dei Beatles in bianco e nero sulla Rai, avevo 13 anni: quella fu la scintilla che mi fece dire voglio diventare come loro, perché erano degli extraterrestri, non si era mai visto nulla di simile».
Per questo andò in Inghilterra?
«Tutto partiva da lì, si andava a Londra per scoprire cosa succedeva. Io volevo sentirmi al centro della rivoluzione musicale che in quegli anni era la New Wave, la nuova musica rock».
Cosa era disposto a fare quel ragazzo per realizzare i suoi sogni?
«Ero, e mi sento ancora, un ingenuo ragazzo di provincia. Per giunta della provincia del Sud. In quegli anni senza web e in cui c'erano solo la radio e la tv (e la tv aveva per giunta pochi canali) voleva dire essere distanti dal mondo. Io e i miei amici guardavamo i tramonti e sognavamo l'America. Ma era come dire oggi andiamo su Marte, a differenza dei miei figli (Bianca e Samuele, 26 e 22 anni, ndr) che in America ci sono stati decine di volte. A Londra ero un ragazzo che voleva conquistare il mondo, anche se non me ne rendevo conto: ma se non fosse stato così non avrei mai avuto la forza di andare avanti, era una vita di stenti, facevo il cameriere e altri mille lavori».
RAF GABRIELLA LABATE
I lavori che secondo alcuni i giovani oggi non vogliano più fare: sono bimbi viziati?
«È cambiato il mondo, non si può accusare una generazione. Oggi è tutto diverso. Io vengo da una famiglia di operai e per i miei le vacanze non erano un diritto, se le sono concesse quando noi figli siamo diventati grandi. Erano comunque felici, ma questo non vuol dire che oggi i ragazzi siano viziati: semplicemente chiedono quello che ritengono gli sia dovuto, non si può pensare che rinuncino alla loro gioventù per meno del minimo sindacale, perché poi di questo parliamo».
Si offende se la chiamano boomer?
«No, ma credo che le definizioni lascino il tempo trovano e io cerco di sfuggire alle etichette.La mia carta d'identità mi mette tra i boomer: quali altri specifiche ha il boomer?».
Vediamo: che rapporto ha con i social?
«Sono nato in un'epoca in cui l'ostentazione del superfluo era quasi un sacrilegio, cosa che invece sui social viene fatta con grande naturalezza. A me imbarazza. Non sarei un bravo TikToker. Ho i profili social perché oggi se fai musica sono una parte importante, ma se non fosse per questo forse non li avrei. Questo è boomer?».
gabriella labate e raf
Per niente, in realtà. Passiamo al rapporto con le novità: la musica dei i giovani le piace o «voi» eravate meglio?
«Io sono aperto a tutte le novità. Ascolto volentieri la musica che ascoltano i miei figli e non è scontato: quando avevo 20 anni i miei inorridivano a sentire quello che piaceva a me».
E chi le piace?
«Ci sono tanti artisti bravi, anche se nell'offerta illimitata dello streaming è tutto da vedere chi riuscirà a resistere nel tempo. In Italia Tha Supreme è sicuramente un fenomeno, notevoli anche artisti più pop, come Blanco o Madame. Il talento dei Måneskinè evidente a tutti, anche se mi permetto di dire che da loro prima o poi io mi aspetto che facciano qualcosa di diverso da un pezzo rock costruito su un riff di chitarra, ma una canzone, magari anche più pop: come hanno fatto a un certo punto i Rolling Stones».
RAF GABRIELLA LABATE 1
A proposito di pop. Lei ha firmato molti successi con Umberto Tozzi che ha spesso lamentato un atteggiamento snob da parte della critica, lui che è l'italiano che ha venduto più dischi al mondo. Vale anche per lei?
«Questo atteggiamento c'era soprattutto da parte dei colleghi: negli anni 80 erano veramente terribili, vigeva il luogo comune per cui la musica leggera era sinonimo di povertà, quando in realtà scrivere canzoni pop di successo è complicatissimo, lo hanno ammesso gli stessi cantautori osannati dalla critica. Penso che a Umberto qualcosa sia stato tolto, ma lui veniva dopo il '68, un'epoca in cui si pretendeva l'impegno a ogni costo. Io sono arrivato un po' dopo, quando le cosa stavano cambiando».
Come è nata la vostra amicizia?
«A farci conoscere è stato Giancarlo Bigazzi a Firenze, io facevo il lavoro dietro le quinte, quello che oggi si chiama producer. Poi siamo diventati vicini di casa a Roma per un decennio. L'amicizia resiste anche se oggi lui vive a Monaco, io per gran parte del tempo negli Stati Uniti».
concerto dei maneskin al circo massimo a roma 9
Quelli che sognava da ragazzo guardando i tramonti. Ora lo ha scoperto: come si sta in America?
«Vivo in Florida dove la qualità della vita è molto buona, e sono in una condizione di privilegio, non devo alzarmi tutte le mattine per andare a lavorare. Ma sono un grande osservatore e mi pare che gli americani negli Stati Uniti vivano un periodo di grande confusione determinato da una scena politico sociale estremamente complicata. Ora Trump minaccia di presentarsi alle elezioni e questo aumenta il conflitto sociale: e mi mette ansia vedere che oggi l'America è come una polveriera che può esplodere da un momento all'altro».
Victoria dei Maneskin in topless con un'amica 3 concerto dei maneskin al circo massimo a roma 8 concerto dei maneskin al circo massimo a roma 19 concerto dei maneskin al circo massimo a roma 6 Victoria dei Maneskin in topless con la sorella 2