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    COVID A CANESTRO – INCUBO NBA: IN AUMENTO I POSITIVI, I GIOCATORI ADESSO HANNO PAURA. L’ALA DEI SACRAMENTO KINGS JABARI PARKER È IL QUINTO CONTAGIATO. IL BASKET PROFESSIONISTICO AMERICANO SI INTERROGA SU QUELLO CHE ACCADRÀ DAL 31 LUGLIO, QUANDO SI RICOMINCERA' NELLA PRIGIONE DORATA DI ORLANDO – POSITIVO ANCHE NIKOLA JOKIC, CENTRO SERBO COINVOLTO NELL'ALLEGRA COMBRICCOLA DI SCIAGURATI GUIDATA DA DJOKOVIC...


     
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    ROBERTO DE PONTI per il Corriere della Sera

     

    Jabari Parker Jabari Parker

    E se la bolla all'improvviso scoppiasse? Saremo al sicuro, laggiù a Orlando, fra un canestro in sospensione, un avversario che ti marca da vicino e un pupazzo della Disney che ti osserva da lontano?

     

    La Nba si interroga su quello che accadrà dal 31 luglio, quando 22 squadre delle canoniche 30 ricominceranno ad affrontarsi nel Walt Disney World Resort, la prigione dorata in cui il basket professionistico americano si rinchiuderà per circa tre mesi nell'intenzione di tenere lontano il coronavirus dal pallone a spicchi. Bella idea, in effetti, se non fosse che non appena sono cominciati i controlli sui giocatori sono comparsi anche i primi positivi.

     

    L'ultimo, è notizia di ieri, è Jabari Parker, ala dei Sacramento Kings. Che si è affrettato a tranquillizzare il mondo via Instagram: «Mi sento bene. Non vedo l'ora di unirmi ai miei compagni a Orlando, quando torneremo sul parquet».

     

    Un ottimismo giustificabile. Il problema è che Parker è il quinto caso in pochi giorni. Prima di lui Malcom Brogdon, guardia degli Indiana Pacers («Il mio obiettivo è quello di unirmi ai miei compagni a Orlando per la ripresa della stagione Nba e i successivi playoff»), Nikola Jokic, centro serbo dei Denver Nuggets coinvolto nell'allegra combriccola di sciagurati guidata dal numero 1 del tennis mondiale Novak Djokovic, più due giocatori dei Phoenix Suns che hanno preferito difendere la propria privacy.

    jokic jokic

     

    Situazione prevedibile, a dire il vero: semplicemente, i giocatori hanno ricominciato a lavorare in palestra e di conseguenza sono scattati come da protocollo i primi controlli. È probabile che queste non saranno le ultime positività.

     

    Ma la mini-ondata di contagiati non aiuta la Nba, che professa ottimismo a oltranza ma si deve scontrare con la realtà della pandemia. E si interroga sul fatto che isolarsi dal resto del mondo sia davvero la soluzione più efficace. Anche perché la Florida non è esattamente lo Stato più tranquillo degli Usa, in quanto a contagi. Ai giocatori è stato chiesto di non parlare, per evitare strumentalizzazioni.

     

    Mercoledì è scaduto il termine per l'obiezione di coscienza, che permetteva a chi non se la sentiva di andare a Orlando di rinunciare senza essere punito (decurtazione dello stipendio a parte) e in pratica nessuno si è tirato indietro. Esistono 100 pagine di protocollo, se altri dovessero risultare positivi si andrebbe comunque avanti. Ma sotto sotto tanti giocatori, anche di peso, hanno cominciato a chiedersi: ma ne vale davvero la pena?

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