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    CRAC CAPITALE - DAI MUSEI CHIUSI O DESERTI ALLE FONDAZIONI IN ROSSO, LA CULTURA A ROMA STA MORENDO. MA IL SINDACO MARZIANO PENSA SOLO AL SUO FETICCIO, LA SUA OSSESSIONE: “PORTEREMO IL TRAM AI FORI IMPERIALI”!


     
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    1. MARINO: “DAL METRO AL TRAM SETTE NUOVE LINEE. E UNA PASSERÀ LUNGO VIA DEI FORI’

    Dal Forum di Repubblica con il sindaco di Roma Ignazio Marino. Ad intervistarlo, il caporedattore della Cronaca di Roma Giuseppe Cerasa, Paolo Boccacci, Francesca Giuliani e Giovanna Vitale
     

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    roma pride 2014 ignazio marino e carlo gabardini luxuria maccarone imma battaglia sabina alfonsi 40 roma pride 2014 ignazio marino e carlo gabardini luxuria maccarone imma battaglia sabina alfonsi 40

    Ma abbiamo fatto anche errori di comunicazione».
     

    Quali?
    «Sulla tangenziale ad esempio per eliminare il pericolo di frane abbiamo dovuto piantare nel terreno, una zona ad altissimo rischio idrogeologico dove le palazzine potevano crollare con decine di morti, 450 pali d’acciaio di 20 centimetri di diametro con dentro a pressione cemento a presa rapida. Un anonimo ha scritto: “mia nonna avrebbe fatto prima a rimuovere la terra con una pala”, ma non avrebbe eliminato il pericolo di frane della collina. Lo abbiamo spiegato poco».
     

    Ignazio Marino la Nutella e Francesco Paolo Fulci Ignazio Marino la Nutella e Francesco Paolo Fulci

    Metropolitane, un problema di Roma. Arriverà la metrò C a piazza Venezia? E quando?
    «Partiamo da quello che ho trovato nell’ufficio del sindaco quando mi sono insediato. Un verbale del giugno 2008 che prevedeva l’arrivo della C a Centocelle nel dicembre 2011, a Lodi nell’ottobre 2012 e a San Giovanni in “data da definirsi”. Nel 2013 abbiamo firmato un nuovo accordo con date certe. La metro arriverà a Lodi entro ottobre di quest’anno e 21 stazioni saranno attive.

    IGNAZIO MARINO E OBAMA IGNAZIO MARINO E OBAMA

    Per la stazione di San Giovanni invece si è dovuta smontare la talpa per il ritrovamento di una villa romana. Per quanto riguarda il proseguimento verso piazza Venezia, è importante per la realizzazione del parco archeologico. E abbiamo già ottenuto oltre 500 milioni di euro».
     

    IGNAZIO MARINO SPAZZINO IGNAZIO MARINO SPAZZINO

    E che fine hanno fatto il project financing Rebibbia-Casal Monastero e la tratta piazzale Jonio-Bufalotta?
    «Con l’assessore alla Mobilità abbiamo immaginato anche un’alternativa alle metropolitane: la realizzazione di 7 reti tranviarie con un costo di realizzazione di 1 a 10 rispetto ai metrò. Tra le altre ci saranno la tratta della Musica, da piazza Ungheria a viale Parioli, via Reni e ponte della Musica, 5,9 chilometri realizzabili in 48 mesi. Poi la linea Tiburtina, 4 chilometri in 36 mesi, quella del Pigneto, 0,3 km in 6 mesi. Ed infine quella dei Fori, da piazza Venezia fino a via Labicana. Questo è un progetto da discutere con il nuovo assessore alla Cultura. Ci sono ormai tram bellissimi e silenziosissimi, potrebbe essere una fantastica passeggiata. Il tram non inquina, non fa rumore e costerebbe 10 milioni di euro».
     

    IGNAZIO MARINO IGNAZIO MARINO

     

    2. ROMA, MARINO: IN ESTATE FORI IMPERIALI PEDONALIZZATI, VIA LE AUTO - DAL 28 GIUGNO AL 31 AGOSTO SOLO PEDONI, BICI E AUTOBUS A 30 KMH

    (TMNews) - Dal 28 giugno al 31 agosto stop alle auto su via dei Fori Imperiali, spazio solo a pedoni, biciclette e autobus ma a 30 kmh. Lo ha annunciato il sindaco di Roma Capitale, Ignazio Marino, durante una conferenza stampa in Campidoglio, assieme agli assessori capitolini alla Mobilità e Trasporti, Guido Improta, e alla Roma Produttiva, Marta Leonori, al sovrintendente capitolino, Claudio Parisi Presicce, e al presidente del Municipio I, Sabrina Alfonsi.

     

    "E' stato fatto un ulteriore passo in avanti nel voler rendere pedonale la zona archeologica del centro di Roma", ha detto soddisfatto il numero uno del Campidoglio. "Se pensiamo che l'idea di avere una zona archeologica centrale nasce nel lontano luglio del 1887, credo che sia ormai arrivato il momento di realizzarla", ha affermato il sindaco.

     

    "Rispetto alla decisione presa lo scorso 3 agosto di pedonalizzare parzialmente il tratto tra Largo Ricci e piazza del Colosseo, quest'estate dal 28 giugno al 31 agosto, renderemo questo stesso tratto fruibile solo ai pedoni, alle biciclette e agli autobus con il limite di 30 chilometri orari, come si fa in città europee come Zurigo e Amsterdam dove i tram e gli autobus convivono con le persone che si spostano a piedi o in bicicletta", ha spiegato Marino.

     

    FRANCESCO MERLO FRANCESCO MERLO

    "Nello stesso tempo chiuderemo al traffico anche il tratto da piazza Venezia a Largo Corrado Ricci. L'unica eccezione sarà per i taxi e gli Ncc che devono accompagnare al Colosseo un cliente diversamente abile", ha aggiunto.

     

     

    3. ROMA, IL GRANDE CRAC CULTURALE

    Francesco Merlo per ‘La Repubblica’

     

    Cinque miserabili biglietti al giorno! Se volete capire il magnifico fallimento e sentire anche fisicamente la morte della cultura a Roma andate nel quartiere Ostiense al museo Montemartini che in Italia è forse il più bell’esempio di riuso, anzi di “rammendo”, per usare il tic linguistico alla moda. Le statue antiche nella vecchia centrale elettrica e il frontone del tempio d’Apollo in fondo alla sala macchine sono una convivenza magica e definitiva, come vedere la cupola di San Pietro posata, a cappello, sul Pantheon.

     

    Ma l’eccitazione è più potente perché non ci sono visitatori. Ci sono invece i fantasmi: l’archeologia industriale delle turbine e delle caldaie, l’archeologia classica delle Veneri senza testa e della barba di Lisippo, e poi io e quattro americani, archeologia del turismo museale.

     

    finti fachiri a via dei fori imperiali a roma finti fachiri a via dei fori imperiali a roma

    Più frequentato è ovviamente il Mosè, in San Pietro in Vincoli, ma senza mai la folla che ti aspetteresti, la fiumana della Cappella Sistina, e chissà che direbbe Michelangelo di questa disparità di trattamento dei suoi capolavori. Magari chiederebbe al Papa di far pagare l’ingresso nella chiesa, come fanno (solo) a Venezia.
     

    centurioni e gladiatori a roma ai fori imperiali centurioni e gladiatori a roma ai fori imperiali

    La Cultura che muore a Roma non è un taglio del bilancio, che in Italia è solo una banalità, ma un territorio fisico e mentale sterminato che parte dai 19 chilometri delle mura aureliane, che franano un tanto al giorno - l’ultimo crollo è quello di piazzale Ardeatino - e arriva sino all’industria del cinema che dava lavoro a 250mila persone. Si chiude a Cinecittà. Sono cancellate “Le Notti di Cinema” a Piazza Vittorio e la Rassegna dei film dei grandi festival (Cannes, Locarno e Venezia).

     

    IGNAZIO MARINO CON LA MAPPA DELLA NUOVA MOBILITA SUI FORI IMPERIALI IGNAZIO MARINO CON LA MAPPA DELLA NUOVA MOBILITA SUI FORI IMPERIALI

    Il sindaco si ostina a non nominare il direttore della Casa del Cinema. Vive nella mediocrità il Festival inventato da Veltroni (non più 17 milioni, ma ancora 12). È sparita la Film commission che una volta “vendeva” i luoghi di Roma alle troupe. «Ma Roma non è solo la città “del” cinema, è anche la città “dei” cinema» mi dice Massimo Arcangeli, segretario dell’Agis-Anec. «Si sono spenti almeno 50 schermi».
     

    Per salvare Roma dal fallimento, il sindaco Marino ri-corteggia gli emiri, sogna una “soluzione Alitalia”, uno sceicco per restaurare il mausoleo di Augusto per esempio, 18 milioni per una ferita che fu aperta dal fascismo. C’è il progetto, approvato nel 2006, con l’esposizione del plastico dello studio Cellini ma, ogni volta che cambiano, i responsabili delle Sovrintendenze costringono il povero Cellini a nuove varianti: fino ad ora 20. E chissà a Caracalla cosa farebbe il sultano Mansour dei forni sotterranei dove l’amore divenne “fornicare”: sono «chiusi per mancanza di personale».
     

    Nel prezzario dei monumenti (Economic Reputation Index) stilato dalla Camera di Commercio della Brianza, che Marino portò con sé in Arabia Saudita, la Fontana di Trevi vale 78 miliardi e il Colosseo 91. E però non solo gli emiri, ma anche il potente Emmanuele Emanuele, barone e marchese palermitano, avvocato e banchiere, califfo ed alcalde della Roma bizantina, che fa il bagno nel Tevere ogni mattina, dopo avere promesso di finanziare il restauro del centro barocco con i soldi della sua “Fondazione Roma” pretende ora lo sconto “Rolling Stones” (“il sogno rock” di Marino, come si sa, ha reso solo 7.930 euro per l’affitto del Circo Massimo).
     

    È l’ennesima conferma che la cultura a Roma rimane romanesca - Belli, Trilussa e Rugantino - e le statue sono tutte Pasquino, e persino nelle mascherate ci sono i gladiatori e non i legionari. E infatti l’assessore alla Cultura, che in teoria avrebbe il potere di un console, qui non ha mai contato nulla e perciò Marino non l’ha ancora nominato dopo avere, un mese fa, costretto alle dimissioni Flavia Barca, famosa sorella di Fabrizio, a sua volta famoso figlio di Luciano.

     

    Casa del Cinema Casa del Cinema MUSEO MACRO ROMA MUSEO MACRO ROMA

    La cultura a Roma è fatta anche di cognomi. Nella classicità erano le gentes: la gens Giulia per esempio. Un cognome è Carandini. «La terra ai Carandini» diceva Maccari in rima satirica con “la terra ai contadini”. Lui, Andrea, il grande archeologo, è l’uomo che Marino sogna alla Cultura. Più che un assessore, un Primo Console Alto Imperiale. Ed è da gens anche l’esposizione al Maxxi del pittore Andrea Boldrini, fratello.
     

    Un altro sogno impossibile di Marino è l’unificazione di tutto, a partire dai musei capitolini che sarebbero forse 22, numero variabile come le 99 cannelle della fontana dell’Aquila che nessuno riesce a contare (il compianto Gianni Borgna nel suo libro scriveva in una pagina che i musei sono 45 e in un’altra pagina 39). E si comincia con i due musei del Campidoglio dove sono esposti la Lupa, il Gàlata Morente, il San Giovannino e la Zingara del Caravaggio. Sono i soli che hanno visitatori.
     

    MUSEO MACRO A TESTACCIO MUSEO MACRO A TESTACCIO

    Tutti gli altri sono deserti, a partire da Palazzo Braschi, pittura, e, di fronte, lo stupendo Barracco con una collezione egizia; non lontano c’è quello napoleonico, e ancora il museo delle mura Aureliane e l’Ara Pacis, il Bilotti, il Canonica, la Galleria nazionale di arte moderna, le 4 sedi espositive di Villa Torlonia con la scuola romana. Non c’è mai nessuno, tranne al caffè del Bilotti: attira gli assetati di villa Borghese.
     

    È chiuso lo stupendo museo della Civiltà Romana, all’Eur, un’eccellenza mondiale di plastici e ricostruzioni (è aperto solo il Planetario). E ci sono musei mai esistiti, scatoloni di oggetti come il “museo” degli strumenti medicali che giace in un sotterraneo della Sapienza (nessuno sa dove), e il museo del giocattolo che Veltroni acquistò per 4 milioni e mezzo da un collezionista danese e fu stipato in un capannone di Perugia.

    flavia barca flavia barca


    A Villa Pamphilj c’è un museo di statue che non è mai stato aperto al pubblico. E il museo di zoologia è attaccato allo zoo ma senza la possibilità di passare dall’uno all’altro, perché si fanno la guerra di frontiera, come Giappone e Cina, zoologi e zoologisti, proprio come l’Opera e l’Accademia di Santa Cecilia, che sono i Romolo e Remo della musica “ab urbe condita”.
     

    Flavia Barca ricorda Gianni Borgna Flavia Barca ricorda Gianni Borgna

    Forse la sola unificazione realizzabile è tra il Macro e il Palazzo delle Esposizioni, che comprende le splendide Scuderie del Quirinale, quelle della recente Mostra del Caravaggio, con più di seicentomila visitatori. Se si esclude la chiusura della Casa del jazz, usata per la festa dell’Unità pur essendo un bene pubblico e per giunta un’espropriazione antimafia, il Palazzo delle Esposizioni ha una gestione d’eccellenza, nonostante Marino l’abbia messa a rischio lasciando per troppo tempo il direttore generale Mario De Simoni solo, senza presidenza (ora c’è Franco Bernabé) .
     

    E il sindaco non nomina il direttore del Macro, il museo di arte contemporanea, che già campicchiava con piccole mostre ma adesso ha perduto pure i soldi dell’Enel e dell’Associazione “Macro-Amici” di Beatrice Bulgari : chiusi bar e ristorante, non ci sono guardiani e gli artisti portano via le opere perché temono i furti. Il Macro è un bel luogo desolato e desolante. E ci piove pure dentro (c’è un drammatico video su youtube).
    L’ambizioso Maxxi, che è statale (5 milioni di finanziamento), non è riuscito a diventare il Museo Nazionale dell’arte contemporanea e dell’architettura (i modelli erano la Tate, il Centre Pompidou, il Reina Sofia).

     

    ANDREA CARANDINI ANDREA CARANDINI

    Ma nella Roma depressa fa, comunque, molto traffico: incontri, lezioni, cicli, attività multimediali, canzoni, cinema, persino lo yoga. La presidente Giovanna Melandri, che sempre contesta e sempre è contestata, insegue l’idea di “un foro romano” che forse però è solo “la Roma garage” di Moravia o “la terrazza” di Scola che si nutre di materia umana mista e di eterno vernissage. Non è la Tate, ma è già qualcosa.

    ANDREA CARANDINI ANDREA CARANDINI


    «Il paradosso dell’arte contemporanea a Roma è che l’unico museo effervescente e
    attivo è il Maam sulla Prenestina» mi aveva suggerito Umberto Croppi, l’assessore che fu cacciato da Alemanno ma che gode di una rarissima stima trasversale. Sono dunque andato nello stabilimento ex Fiorucci (salumi, non vestiti) dove vivono circa duecento famiglie di immigrati: rom, sudamericani, nordafricani, Est europeo e pure italiani.

     

    Fuori ci sono i murales, alcuni molti belli, di Kobra e di Borondo. Dentro realizzano ed espongono artisti di ogni genere. «Vale la pena andarli a vedere — mi aveva detto Croppi — il livello è alto, e tra tutti gli esperimenti di integrazione attraverso l’arte, questo non è retorico ed è condiviso dalla comunità che ospita gli artisti».
     

    Gianni Borgna Gianni Borgna

    Ho trovato straordinaria la trasformazione di un ghetto di rifugiati in un fenomeno sociale. Giorgio de Finis, antropologo, è il direttore artistico, e qui è forse tutto velleitario e naïve come lui; ma di sicuro è questa la periferia che piace a Renzo Piano, quella del pensiero laterale che costruisce razzi con i bidoni per raggiungere la luna. Sono, di nuovo, i poveri che volano di “Miracolo a Milano”, il più bel film di De Sica, proprio perché non neorealista. E ho pure visto cantare i bimbi rom: somigliano ai ladruncoli di Termini, ma sembrano più bimbi e più felici.


    Ed è, questo Museo di squatter, l’uguale e il contrario dell’occupazione del teatro Valle che è invece un bene pubblico nel centro di Roma e dunque reclama una gestione pubblica. E infatti non c’è paragone rispetto al risultato artistico del Prenestino. Quando fu sciolto l’Ente teatrale italiano non venne fuori solo l’occupazione del Valle, ci fu anche il passaggio del Quirino ai privati.

     

    Foto di Gianni Borgna Foto di Gianni Borgna

    Ebbene, questo Quirino ha goduto dei finanziamenti del solito Emmanuele Emanuele e, non si capisce perché, anche della Regione Calabria. Il direttore è un dandy napoletano, un attore con un nome strano, Geppy Gleijeses , di cui tutti mi dicono all’orecchio: «È lui il vero Gep Gambardella» un po’ come, una volta, si diceva del giornalista Victor Ciuffa «è lui il Mastroianni della Dolce Vita». Anche questo eterno ritorno romano, che tanto annoiava Flaiano, è un genius loci culturale: lo stravagante, la maggiorata e, appunto, il tardo vitellone che non riesce ad essere “quel flâneur che a Roma non può esistere” scrisse Benjamin.
     

    Inutilmente a Marino hanno spiegato che i teatri non sono unificabili con i Musei e con le istituzioni musicali. Quelli di prosa sono più di cento, la loro vita è grama anche se le sale non sono mai vuote, forse perché questa è stata la città delle cantine, di Carmelo Bene e di Memé Perlini, ed è la città delle macchiette italiane più ancora che delle maschere: Albertone e Meo Patacca su tutti. Mi dice Massimo Monaci, direttore dell’Eliseo e presidente dei gestori: «Il pubblico di Roma vuole il divertimento e sa riconoscere, come nessun altro, il divertimento di qualità. E però negli ultimi due anni è calato del 20 per cento. Non garantiamo più per la prossima stagione».
     

    Giovanna Melandri e Giovanni Valentini Giovanna Melandri e Giovanni Valentini

    Sono comunali l’Argentina, che è lo Stabile, e i 4 teatri di cintura, lottizzati politicamente, Quarticciolo, Ostia Lido, l’Elsa Morante sul Laurentino, e Tor Bella Monaca dove Michele Placido ha fatto un gran lavoro, non pagato. Per mancanza di teatro, chiude, dopo 28 anni, il “Roma Europa Festival”, che era l'unica rassegna di spettacolo contemporaneo (anche danza e musica) e alla quale la Regione ha ora negato l’uso del Palladium. E chiude, dopo 12 anni, il festival della fotografia. Collegato allo Stabile c’è l’India, che è il teatro sperimentale sul Lungotevere: da due anni è chiuso per lavori.
     

    MARCELLO CICCAGLIONI GIULIO TREMONTI MARCELLO CICCAGLIONI GIULIO TREMONTI

    Anche allo Stabile, Marino ha perduto dieci mesi prima di nominare Marino Sinibaldi alla presidenza e, alla direzione, Ninni Cutaia che però è risultato incompatibile: si sa che il sindaco pasticcia con gli amati curricula. Alla fine ha nominato Antonio Calbi ma il teatro vivacchia malamente. Eppure i privati, come mi spiega Monaci, accusano il teatro pubblico di concorrenza sleale.
     

    Ce l’hanno soprattutto con l’Auditorium, cioè con la Fondazione Musica per Roma, che fa solo spettacoli leggeri (l’ultimo è “Luglio suona bene” con Keith Jarrett, Stefano Bollani, Pino Daniele e Patty Pravo). La Fondazione, finanziata anche dal Comune con tre milioni e mezzo, da undici anni ottiene utili (quello lordo del 2013 è di 231.347 euro con 612.851 spettatori per 663 “eventi”).

     

    MARCELLO CICCAGLIONI E SIGNORA MARCELLO CICCAGLIONI E SIGNORA

    È dunque magnificamente amministrata da Carlo Fuortes, che è stato appena nominato sovrintendente dell’Opera, la Fondazione Lirica presieduta per legge dal sindaco, una nobile idrovora che riceve poco meno di 40 milioni pubblici (20 dal Comune), ha 490 dipendenti con 5 sindacati che scioperano persino per la pausa pranzo e fermano pure la bacchetta di Muti. Il deficit annuale è di 11 milioni, il debito patrimoniale di 30.
     

    Marino ha minacciato di chiudere, non frequenta, non domanda. La sua strategia è «sol chi sa che nulla sa, ne sa più di chi ne sa». Adesso Fuortes, che dovrebbe scegliere tra le due cariche, vuol tenerle tutte e due e proprio mentre porta in scena il rigore, i bilanci, l’etica del lavoro.
     

    Umberto Croppi Umberto Croppi

    «La Scala è Milano, la Fenice è Venezia, il San Carlo è Napoli» mi dice Croppi, «Roma invece non si identifica così immediatamente con il Costanzi, che è il nome del teatro dell’Opera», un goffo edificio sovraccarico: «Questa facciata è un’orrenda oscenità» diceva Bruno Zevi. «Quasi un quarto del bilancio comunale, che è di 70 milioni, va all’Opera» sottolineano ridacchiando gli avversari, i tifosi del Santa Cecilia, che si vanta di una maggiore rilevanza internazionale e prende dal Comune solo 4 milioni e 400mila euro.

     

    «Certo — ammette Croppi — due o tre volte l’anno all’Opera dirige il grande Muti, che non ha però cariche esecutive, anche se ha messo il nome e incide su alcune scelte». Si potrebbero unificare Opera e Santa Cecilia? «È giuridicamente molto difficile». E di nuovo la qualità sbuca dove meno te l’aspetti.
     

    Ci sono centinaia di piccole associazioni musicali che organizzano scuole e concerti, qualche volta di ottimo livello. È il caso dell’Associazione “Orazio Vecchi” di Alessandro Anniballi, 31 anni di insegnamento di coro e composizione, esibizioni al Campidoglio, elogi dei critici, premi… Lavorava nelle aule della scuola E.Q. Visconti dove Anniballi insegna musica. Ma i tempi sono cambiati e la nuova dirigente ha disdetto il protocollo. Ora i coristi vagano nel quartiere, costretti nella chiesetta di San Bernardino dove padre Michele, un cinese, li ospita: «È come se avessero sradicato un albero che faceva frutti e fiori. Perché?».
     

    Umberto Croppi Umberto Croppi

    Un altro caso di qualità fuori luogo è l’Associazione “Rialto occupato”. Sono squatter che, in supplenza del municipio, propongono un progetto, “Urban Ground”, di riqualificazione dell’area che va da Porta Portese alla Piramide e comprende l’ex mattatoio e il quartiere Testaccio. Penso che i centri sociali si siano meritata la diffidenza che li circonda, ma ho girato questo loro stupefacente progetto alla Quodlibet, la raffinata casa editrice di Macerata specializzata in Architettura.
     

    Roma è l’unica città del mondo che ha due sovrintendenze, una nazionale e l’altra comunale. E non è solo una moltiplicazione di burokrati, carte e bolli. C’è anche la p che diventa v. Quella di Stato si chiama infatti soprintendenza, quella comunale sovrintendenza. Ed è un gioco disperato di vanità. È una pacchia per il Cafonal di Dagospia l’archeologia come parodia di Indiana Jones, «a Roma se non conosci l’archeologia non riesci neanche a fermarti a uno stop» dice uno dei protagonisti del geniale film “Smetto quando voglio”.

     

    Umberto Croppi e Mario Tozzi Umberto Croppi e Mario Tozzi

    Dalle buche delle strade, che il Comune non ricopre mai, può sempre sbucare fuori, quanto meno, una lapide di Teodosio il grande. Il sovrintendente di Alemanno era Umberto Broccoli, archeologo e presentatore radiofonico, autore dei dottissimi libri “Voce del verbo amare” e “Telesogni dalla A alla Z”.
     

    Marino, dopo otto mesi, ha nominato Claudio Parisi Presicce, già direttore dei Musei capitolini, che non è un semi vip come Broccoli però è un sovrintendente che dovrebbe puntare ad abolirsi, a perdere la v e a prendere la p. Qualche motivo? I mercati di Traiano e i fori imperiali sono del Comune, ma pochi metri più in là i fori romani, il Palatino e il Colosseo sono dello stato. La Domus Aurea è dello Stato ma le parti esterne, le grotte e il giardino sono del Comune.
     

    Il ministro Franceschini, per completarne la restaurazione, ha fatto un appello ai privati, ma i giardini comunali sono depositi di spazzatura, accampamenti di barboni, un “non luogo” municipale che i soldi non basterebbero a recuperare. E ancora: al Teatro Marcello una parte della base è dello Stato, il corpo centrale è del comune, ma appartamenti e uffici sono privati. Sono comunali le 546 fontane, la trentina di torri medievali, i sedici obelischi egizi.

     

    È statale il Colosseo, che frutta 50 milioni l’anno, ma nessuno sa spiegarmi perché la metà dei profitti dei biglietti vanno a un gestore privato, la Coop Cultura associata alla Electa di Berlusconi, gestiscono anche Caracalla e il Palazzo Massimo, in proroga dal 1998, senza gara. È invece comunale il colosseo fuori dal Colosseo, quel posto senza legge degli accattoni-gladiatori e delle camionette dei porchettari, dove si mangia, si frega e se fa subito a cazzotti, come ai tempi del Belli, pe’ schiaffasse in saccoccia li quadrini.
    Benché a Roma ci sia il maggior numero di case editrici d’Italia, 371, non ce n’è mai stata una veramente potente.

     

    Le più grosse sono comunque piccole: Newton Compton, e/o, Armando, Donzelli, Minimum Fax, Fazi, Nottetempo… E ogni dicembre all’ Eur c ‘è la fiera della piccola e media editoria, “Più libri, più liberi”, ed è la fiera del libro che funziona
    meglio in Italia e forse proprio perché non ci sono i grandi editori: “less is more”. E però Enrico Jacometti, che è il presidente dei Piccoli Editori, mi dice: «Dieci anni fa Roma era al primo posto, insieme a Milano, nell’indice di lettura, che è il rapporto tra numero di abitanti e numero di libri venduti. Oggi siamo al quinto; al decimo negli ebook ».

     

    Chiudono le librerie anche a Milano e a Firenze, «ma il dato romano è clamoroso e drammatico» mi spiega Marcello Ciccaglioni, il geniale proprietario del gruppo Arion: «Negli ultimi cinque anni hanno chiuso almeno 50 librerie importanti».
    Per ogni libreria che chiude si spegne una stella. Ma inaspettatamente c’è una lucciola, ed è il sistema delle biblioteche comunali.

     

    Ogni anno due milioni e trecentomila persone utilizzano queste biblioteche, che sono 42, e danno in prestito un milione e mezzo di libri. Sono cifre da capogiro rispetto ai 170mila lettori della Biblioteca nazionale, che è statale. Eppure il sindaco Marino da un anno non riesce a nominare il consiglio di amministrazione, il presidente e il direttore delle 42 biblioteche che rischiano di chiudere, come si legge nell’appello che i dipendenti gli hanno indirizzato.

     

    Forza, dunque, signor sindaco: non spenga anche questa lucciola romana, che non è Pasolini ma è Trilussa: «Luna Piena minchionò la lucciola / - Sarà l'effetto dell'economia,/ ma quel lume che porti è deboluccio ...- / Sì, - disse quella - ma la luce è mia!».

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