Estratto dell’articolo di Rossella Tercatin per "La Repubblica"
benjamin netanyahu
«L’Idf è responsabile della sicurezza di Israele e dei suoi cittadini, e sabato mattina nell’area circostante la Striscia di Gaza non siamo stati all’altezza». Per la prima volta dall’attacco di Hamas, ieri il Capo di Stato Maggiore Herzi Halevi ha parlato al Paese, e per molti cittadini israeliani le sue parole hanno recapitato un messaggio che in questi giorni di paura e frustrazione avevano aspettato a lungo: un’assunzione di responsabilità.
Le dichiarazioni di Halevi sono importanti per una società che dallo scorso sabato si tormenta. Dove era l’esercito? Come è stato possibile un suo tracollo così colossale? E dopo tutto quello che è accaduto, perché nessuno, tra le autorità, è stato in grado di guardare negli occhi i cittadini e di ammettere di aver fallito?
«Dovete scusarvi con Israele in ginocchio», ha detto ieri un cittadino mentre il Ministro dell’Economia Nir Barkat visitava i feriti all’ospedale Sheba, e contestazioni simili sono state rivolte anche alle ministre Idit Silman e Miri Regev e vari altri esponenti della maggioranza. E tuttavia il Paese ferito si interroga, perché nonostante la rabbia diffusa nei confronti di un esecutivo che già prima della tragedia spingeva in piazza milioni di persone per protestare contro la sua riforma della giustizia, oggi per molti la priorità è unire la nazione nello sforzo bellico (come dimostra anche il vaglio del governo di unità nazionale).
israeliani presi in ostaggio da hamas 4
Lo dimostra Shikma Bressler, fondatrice del movimento delle Bandiere Nere, uno dei principali gruppi di protesta che da quasi un anno contestano il governo: «Questo è il tempo della guerra. Faremo di tutto per vincere. E vinceremo», ha dichiarato, aggiungendo poi che «un attimo dopo i responsabili, a partire da Netanyahu, devono andarsene». E se i network che organizzavano le manifestazioni da sabato si sono prontamente trasformate in reti di solidarietà per vittime, sfollati e soldati, non tutti però concordano con la scelta di mettere in pausa i cortei.
«Come ci siamo ridotti a passare dalle proteste alla raccolta di prodotti per l’igiene? », ha scritto su Facebook Effie Shoham, uno dei leader di “Custodiamo la casa comune”, gruppo attivo a Gerusalemme. «Perché non siamo in piazza?».
Herzi Halevi
La questione di quali debbano essere gli obiettivi strategici della guerra è un altro grande tema al centro del dibattito pubblico. Per anni, nonostante i momenti di conflitto aperto con Hamas si siano ripetuti periodicamente da quando il gruppo terrorista ha preso il controllo di Gaza nel 2007, Gerusalemme ha colpito l’organizzazione duramente, ma non ha mai ambito a rovesciarne il regime, né a riconquistare la Striscia, da cui si era ritirata nel 2005. Stavolta i leader civili e militari ripetono che la realtà della regione non sarà più quella di prima. Ma, notano gli analisti, non è ancora chiaro cosa significhi. […]
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