Alessandra Arachi per il “Corriere della Sera”
Cristiano De André, a che età ha capito che la musica sarebbe stata la sua vita?
cristiano de andrè
«A 12 anni. Mi chiudevo in camera e suonavo la chitarra, mi allenavo per ore. Poi grazie a una compagnia di ragazzi di Genova imparavo nuovi accordi, quelli che mio padre non mi voleva insegnare».
Perché non voleva?
«Diceva che con il mio cognome fare il suo mestiere non sarebbe stato facile. Avrebbe preferito che frequentassi veterinaria così mi sarei occupato dell'azienda agricola di Tempio Pausania. Io ho insistito, discutevamo. Poi alla fine mi ha iscritto al conservatorio di violino, però...».
Però?
«Non perdeva occasione per dirmi che sarebbe stato difficile, che avrei dovuto impegnarmi molto e aveva ragione. Per parecchi anni il paragone con lui è stato ineluttabile, a volte anche molto doloroso. Però alla fine sono contento di aver insistito. Ho prodotto sette album miei, sono riuscito a crearmi una mia solidità personale, quella di riuscire a fare musica e di vivere di questo, oggi è già tanto ».
fabrizio de andre e dori ghezzi fotografati da guido harari
Il ricordo più dolce di suo padre Fabrizio?
«Tanti. Uno è stato quando a sei anni mi ha regalato una chitarrina e con quella ho scritto la mia prima canzone, gliel'ho cantata e lui si è emozionato. Pensava, sperava, che finisse con quel gioco da bambino. Invece a 18 anni ho fondato un gruppo di successo, "I tempi duri". Allora si è accorto che non scherzavo. Però il ricordo più importante che ho di lui è in età adulta».
Quale?
fabrizio de andre by guido harari
«L'ultimo tour, quello di Anime Salve. È stato il periodo più intenso che ho vissuto insieme a lui sia dal punto di vista professionale sia umano. Abbiamo avuto molto tempo per stare insieme, per parlarci come non avevamo mai fatto, per conoscerci meglio. Per fortuna c'è stato questo momento altrimenti oggi avrei il rimpianto di non averlo vissuto».
Dopo la scomparsa di suo padre ha deciso di prendere in mano il patrimonio delle sue canzoni, di riarrangiarle in chiave rock e di portarle in turné. Un'impresa ardita...
«Potevo essere una zappata sui piedi, ma ho voluto correre il rischio. È stato un modo per sentirmi io più vicino a lui e poi per tutti quanti per alleviare un po' la sua mancanza. L'ho fatto perché me lo aveva chiesto lui, nell'ultimo tour».
Cosa le aveva chiesto?
«Di dare una mia interpretazione alle cose che aveva fatto. Poi quando è scomparso ho pensato che come figlio avevo una responsabilità che andava oltre la musica».
Cosa ha sentito
FABRIZIO CRISTIANO DE ANDRE
«Con la mia visione di musicista ho dato l'opportunità di poter riascoltare le sue opere. Oggi più che mai abbiamo il bisogno di rileggere chi ha visto più in alto di noi. Di riascoltare opere che ci danno uno spunto di riflessione sul mondo e uno sguardo più umano con il quale osservarlo. Viviamo in un periodo in cui è difficile dire qualcosa di nuovo rispetto a tutto quello che è stato già scritto. E il vero pericolo che corriamo è di dimenticare. C'è troppo qualunquismo in giro, distrazione».
Ha trasformato in un film «Storia di un impiegato», un disco che suo padre incise quasi cinquant' anni fa. È stato alla mostra del cinema di Venezia ed è stato molto apprezzato. Cos' è che lo rende ancora così attuale?
DE ANDRE COVER
«Intanto è merito della regista Roberta Lena che ha saputo creare una sintesi narrativa e visiva particolarmente poetica. E poi bisogna dire che tutte le opere di mio padre hanno la prerogativa di risultare sempre attuali. L'arte è arte, attraversa il tempo senza essere scalfita. "Storia di un impiegato", poi, lo è in modo particolare».
Perché dice?
«Perché è una presa di coscienza contro il potere e le sue declinazioni. È un momento in cui si stanno ripetendo tante cose di allora». «Storia di un impiegato» però parla del maggio francese da cui derivò il nostro Sessantotto.
Adesso non c'è questa voglia di ribellione...
«Non c'è più una ribellione collettiva, ma la voglia c'è ed è tanta. Lo vedo nei concerti, incontro tante persone che hanno un pensiero comune: la voglia di ribellarsi. Che però non riescono a trasformare in qualcosa di concreto».
FABRIZIO CRISTIANO DE ANDRE 19
Perché secondo lei?
«Viviamo in una società complessa. Oggi attraverso i media, i social, si insinua la paura nelle persone, questo senso di inadeguatezza nei confronti di una società omologata. Insofferenza e paura si trasformano in intolleranza e odio di chi non la pensa come noi. Con la rilettura di "Storia di un impiegato" ho cercato di dare una bussola per porre fine al rancore che è poi il sentimento prevalente in questi anni, e che sta purtroppo condizionando la vita di tutti noi».
Dice che il suo cognome è difficile da portare, pensa sia così anche per i suoi quattro figli?
cristiano de andrè
«Sì, credo si. Anche se per fortuna i miei figli hanno scelto altri campi lavorativi che non sono la musica e questo indubbiamente li ha agevolati. Comunque portare il cognome De Andrè è una bella responsabilità e non sempre è facile».
E cosa pensa di sua figlia Francesca? Lei ha scelto di apparire in tv, anche per raccontare la sua burrascosa vita privata?
«È un momento difficile per Francesca, lo è sempre stato. Mi auguro che riesca a capire un po' di cose e a mettere la testa a posto. Purtroppo viviamo in una società dove oggi si può avere successo raccontando il peggio di se stessi. E questo forse è il punto più basso che abbiamo raggiunto».
La sua prima figlia. Fabrizia, ha avuto un figlio: che effetto le fa essere nonno?
fabrizio e cristiano de andrè
«Una bellissima emozione. Riccardino poi è un bambino splendido, ricettivo, meraviglioso, anche se credo di non essere ancora pronto per essere nonno, non sono abbastanza maturo. Sono un sessantenne atipico, sono ancora alla ricerca di me stesso».
I sessant' anni sono un traguardo?
«È un traguardo esserci arrivato, ho superato mio padre di qualche mese, ma mi riesce difficile sentirmi più vecchio di lui. È difficile sentirsi alla sua altezza. Se guardo le foto da giovane lo vedo sempre con lo sguardo del bambino».
CRISTIANO DE ANDRE E ALBA PARIETTI
A proposito di nonni, che ricordi ha di suo nonno Giuseppe?
«Mio nonno è stato il pilastro che ha tenuto insieme tutta la famiglia. È stato amministratore delegato e presidente dell'Eridania, è stato anche vicesindaco di Genova e ha fatto costruire la Fiera del mare che oggi si chiama "Giuseppe De Andrè". A casa sua, Villa Paradiso a Genova, ho passato tutti i week end fino a quando lui non è mancato. Mio nonno mi dava quella fermezza di uomo che a mio padre, essendo artista, mancava. Ho dei ricordi molto belli di lui».
Quali?
«Quando mi portava nei suoi viaggi di affari. Una sera, al ristorante dell'Hotel Beau-Rivage di Losanna. Avrò avuto 5-6 anni. Mi accompagnò in fondo alla sala dove c'era un uomo di una certa età che mi fece salire sulle sue ginocchia. Era Charlie Chaplin. Che inforcando due panini con le forchette mi fece la famosa danza dei panini del film "La febbre dell'oro". Sono cose che ti rimangono impresse per tutta la vita».
E della casa dei suoi genitori? Cosa ricorda di quando era piccolo?
fabrizio e cristiano de andrè
«Casa mia era un via-vai di amici di mio padre che mi chiamavano "Fabrizietto" perché ero la miniatura di mio padre. Io li chiamavo zii. Da Tenco, a Villaggio, Paoli, Lauzi, Bindi, Walter Chiari. Era una bella persona Walter, aveva gli occhi buoni, voleva bene ai bambini e anche io gliene volevo. Poi c'è l'amicizia di mio padre con Villaggio».
Cosa ricorda?
«Villaggio si trascinava mio padre in scorribande notturne nei carrugi e poi finivano sbronzi al mattino sul divano di casa mia. Paolo era nel passaggio da Fracchia a Fantozzi quindi erano battute continue si sghignazzava dalla mattina alla sera. Ho vissuto circondato da una combriccola di pazzi con l'urgenza di cambiare il mondo. Anche Ferreri frequentava casa di mio padre mentre stava scrivendo La grande abbuffata . Erano persone che stavano scrivendo un pezzo della cultura del Novecento».
fabrizio e cristiano de andrè
E il suo rapporto con De Gregori?
«Francesco venne in Sardegna per scrivere un disco con mio padre e portò una ventata di aria nuova, di una nuova scrittura ermetica che mio padre ancora non conosceva perché era lirico. Io ero affascinato dalla sua canzone Alice. Non mi spiegavo perché Alice guardasse i gatti. È stata la domanda che gli feci perennemente in quei giorni in Sardegna. Lui, alla fine, mi rispose con una canzone che si intitola Oceano, con un verso che descriveva me bambino e le mie tante domande. La mia ultima figlia si chiama Alice in omaggio a Francesco».
Ha in cantiere un nuovo album?
cristiano de andre e mauro pagani
«Ci sto lavorando. È un momento difficile nel quale scrivere cose che abbiano un senso, che rimangano nel cuore e possano smuovere qualche coscienza». Altri progetti? «Un nuovo tour l'anno prossimo con canzoni che hanno segnato la mia vita, canzoni di mio padre e di altri artisti. Questa volta non in chiave rock, ma con un'orchestra d'archi, acustica». Qual è il riconoscimento importante che ha avuto nella sua carriera? «Diversi, per fortuna. Ma ce ne è uno che prevale su tutti».
de andrè de gregori
Ovvero?
«La stima di mio padre. Un riconoscimento che mi ha dato quando ci siamo trovati insieme sul palco dell'ultimo tour della sua vita».
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