DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Giusi Fasano e Simona Lorenzetti per il “Corriere della Sera”
El Madhi Halili se ne stava ore e ore chiuso in camera davanti al computer. La sua vita era quasi tutta lì. Ogni tanto usciva, sì. Per andare in qualche call center di Torino o per raggiungere fisicamente le persone che aveva contattato via web. Pochissime le sue presenze nelle moschee.
La carta di identità di questo ragazzo, che negli ultimi 4-5 anni ha vissuto a pane e Stato Islamico, dice che è nato a Ciriè (Torino) a gennaio del 1995, nella sua vita ci sono genitori tunisini, una sorella e un fratello, un diploma da perito elettrotecnico e lavoretti saltuari, per provare a sbarcare il lunario.
Tutto questo, appunto, fino a quando le sue giornate hanno avuto un solo argomento: l'Isis. Dal ragazzo impacciato e solitario che era, è diventato un predicatore per pochi intimi e cioè i radicalizzati come lui che incontrava a Torino o in provincia in appartamenti che riteneva sicuri, non controllati. Si sbagliava.
In quelle case teneva dei veri e propri sermoni che preparava con materiale scaricato da Internet, prendeva appunti a mano, su pezzi di carta simili ai pizzini della mafia, per appuntare i concetti fondamentali della sua personale Jihad. Come affrontare il nemico infedele, come fargli più male possibile, quale tipo di mezzo scegliere per un eventuale attentato su una strada affollata...
Un El Madhi completamente diverso dal bambino timido che è stato fra le valli del paesino in cui ha sempre vissuto, Lanzo. Cinquemila abitanti, un borgo antico dove tutti conoscono tutti. La sindaca Ernestina Assalto, per esempio. È un' insegnante della scuola media che lui frequentava e ricorda bene quel ragazzetto isolato dai compagni di classe.
Lo prendevano in giro perché era piccolo di statura, lo lasciavano solo a giocare, a fare i compiti. E anche i vicini: ricordano quell' adolescente che tirava calci al pallone in cortile, sempre da solo.
I suoi anni migliori, dal punto di vista delle relazioni umane, sono stati quelli del lavoro, per quanto saltuario fosse. Piccole occupazioni e perfino uno stage in Veneto che avevano fatto tirare un sospiro di sollievo alla sua famiglia, da sempre preoccupata per quel ragazzino così introverso.
Ma quel tempo è passato in fretta. A 18 anni El Madhi era già diventato un' altra persona.
Sempre isolato, sì. Ma a casa sua, nella sua stanza. C' erano giorni in cui dimenticava di mangiare per non abbandonare una delle sue ricerche nelle Rete. Tema fisso: lo Stato Islamico. «Mi documento» aveva spiegato lui stesso agli inquirenti all' epoca del suo primo arresto per apologia del reato di terrorismo. Era il 2015. Nel suo computer furono trovati file, contatti, video.
Uno dei documenti era una specie di relazione. «Sembra una difesa dell'Isis», gli contestarono i magistrati. «Non è vero, non è così» rispose lui, «volevo solo spiegare il contenuto di alcuni principi dell' Isis, non giustificarlo né difenderlo». Uscì da quel processo con un patteggiamento e quando tornò libero contraddisse quelle dichiarazioni nel giro di pochi giorni. La Digos del dottor Carlo Ambra l' ha tenuto sotto controllo per più di due anni, il risultato è l' arresto di ieri.
El Madhi si è preparato, diciamo così, come reclutatore di lupi solitari: li ha studiati, cercati, contattati via web e ne ha incontrati alcuni personalmente. Il suo autoindottrinamento è arrivato al punto di non ritorno: avrebbe potuto soltanto agire, a questo punto. Non lui di persona, probabilmente, ma i ragazzi fra i venti e i trent'anni con i quali ha preso contatti.
La sua barba lunga e il suo isolamento totale avevano riacceso la preoccupazione dei genitori che hanno provato in tutti i modi a cercare di recuperarlo. A cominciare da alcune stranezze, tipo: non voleva che sua madre toccasse il suo cibo, «per non contaminarlo». Ma per El Madhi la sua famiglia - che oggi prende le distanze da lui - era «troppo occidentale» mentre la cosa giusta era ascoltare i dettami dell' Isis. Il suo punto di riferimento: la rivista «Rumiyah» («Roma», in italiano) che fa propaganda sullo Stato Islamico.
Quando il portavoce dell' Isis è stato ucciso lui ha creato e pubblicato in sua memoria una compilation di brani islamici. Aveva competenze tecniche sufficienti per raggiungere deep link difficilissimi da intercettare. E giù a scaricare video di «infedeli» uccisi barbaramente, di proclami sulle azioni dell' Isis. Quando l' hanno arrestato, ieri mattina, ha detto: «Sono fiero di finire in cella per Allah», più tardi ha parlato in arabo: «Tiranni» ha urlato ai poliziotti prima di lasciare la questura. Destinazione: il carcere.
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