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1 - QUANDO MUSSOLINI VOLLE LA GUERRA UN PAESE GETTATO ALLO SBARAGLIO
Dino Messina per il “Corriere della Sera”
CIANO - VON RIBBENTROP - HITLER - MUSSOLINI
«Un'ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria». Alcuni nostri genitori conoscevano a memoria il discorso con cui il Duce del fascismo nel pomeriggio del 10 giugno 1940, ottant' anni fa, annunciò l'entrata in guerra dell'Italia dal balcone su piazza Venezia davanti a una folla plaudente. Un discorso che trasudava retorica, ma era privo di vera sostanza politica, con il datato riferimento alle sanzioni per la guerra d'Africa conclusa da quattro anni. Più che la guerra degli italiani era La guerra di Mussolini , come si intitola il libro firmato da Antonio Carioti e Paolo Rastelli, due giornalisti del «Corriere della Sera» che già hanno dato valide prove nella divulgazione storica.
Con questo ricco volume i due autori, come osserva Marcello Flores nella prefazione, fanno fare un passo in avanti alla narrazione di vicende che, se non finite nel dimenticatoio o affidate alla memorialistica, vengono ormai relegate all'ambito specialistico, separando il racconto politico dall'analisi militare. Il discorso pubblico sulla Seconda guerra mondiale è concentrato in Italia soprattutto sul biennio della guerra civile, sulle vicende che vanno dall'armistizio (e dal cambiamento di fronte) dell'8 settembre 1943 alla Liberazione del 25 aprile 1945.
CIANO - VON RIBBENTROP - HITLER - MUSSOLINI
C'è invece meno interesse complessivo, se non nella rievocazione di episodi singoli, per il triennio precedente, quello che va dal 10 giugno 1940 al 25 luglio 1943, giorno della destituzione di Mussolini. Eppure la notte drammatica del Gran Consiglio, così come le drammatiche e sanguinose vicende successive, non si capiscono senza conoscere le vicende che portarono alla «disfatta dell'Italia fascista», come recita il sottotitolo del volume. Il libro di Carioti e Rastelli, arricchendo lo schema seguito nel fortunato Alba nera , dedicato al 1919 e all'avvento del fascismo, offre quattro livelli di lettura.
adolf hitler e benito mussolini 2
Carioti si è dedicato alla narrazione degli eventi e agli intrecci politici che quasi sempre prevalevano sulla soluzione dei problemi militari, mentre Rastelli ha fotografato in pagine di grande interesse la situazione delle tre armi, l'Aeronautica, la Marina e l'Esercito, al momento dell'entrata in guerra, rispondendo a una serie di domande cruciali.
Quattro interviste a grandi specialisti come Emilio Gentile, Nicola Labanca, Andrea Santangelo e Maria Teresa Giusti offrono un articolato quadro interpretativo sui vari aspetti del conflitto. Infine una sezione dedicata ai documenti fa sì che questo sia un volume non solo da leggere, ma da custodire e consultare. Perché, si chiede Rastelli, l'Italia, che era il Paese di Giulio Douhet, il teorico del Dominio dell'aria (libro del 1921), e di Italo Balbo, il trasvolatore dell'Atlantico, alla prova dei fatti si era trovata impreparata e con gravi carenze tecnologiche e di addestramento?
benito mussolini e hitler il 4 ottobre 1943
Perché la nostra Marina, che pure vantava un naviglio agli inizi nel Mediterraneo più potente della rivale britannica, non è stata vincente nel confronto bellico? Quanto ha pesato inoltre nella fallimentare conduzione della guerra una catena di comando in cui sembra che la maggiore aspirazione dei vertici fosse quella di nascondere le proprie responsabilità (e incapacità)?
Tuttavia le ragioni della disfatta, al di là dei singoli eroismi italiani (sul fronte russo la carica a cavallo di Izbuenskij contro i sovietici, sul fronte nordafricano il valore dimostrato dai nostri soldati nelle tre battaglie di El Alamein), vanno trovate in pochi scarni numeri così riassunti da Rastelli: «Allo scoppio della guerra avevamo il 2,7 per cento della capacità produttiva mondiale, il Giappone il 3,5, la Germania il 10,7, per un totale del 16,4 per cento. La coalizione avversaria, dopo l'entrata in guerra degli Stati Uniti, ne deteneva circa il 70 per cento».
Mussolini non poteva ignorare questi dati di fatto quando dichiarò guerra alla Francia e all'Inghilterra, quando poi volle contribuire alla lotta contro l'Unione Sovietica senza che l'alleato nazista agli inizi lo avesse sollecitato, o quando in maniera sciagurata dichiarò guerra agli Stati Uniti. La causa di tanta temerarietà è che l'ambizione politica del dittatore italiano, come emerge dal racconto di Carioti, prevalse sempre sulla considerazione realistica delle forze in campo.
Quando il 1° settembre 1939 Hitler invase la Polonia sfidando Gran Bretagna e Francia senza avvertire l'alleato italiano, Mussolini non era sicuro di voler entrare in guerra. Il ministro degli Esteri Galeazzo Ciano aveva chiesto al suo omologo tedesco Joachim von Ribbentrop tre anni di non belligeranza, ma poi, anche sollecitato dal Duce, aveva firmato una cambiale in bianco, cioè il «Patto d'Acciaio». Con le rapide affermazioni tedesche sul teatro europeo, Mussolini si convinse che doveva sacrificare alcune migliaia di morti per sedersi al tavolo della pace.
Sperava in una guerra breve e in una rapida vittoria. Non fu così. Per bilanciare lo strapotere nazista ancora una volta ragionò da politico, quando il 28 ottobre 1940, con la (fallita) invasione della Grecia, tentò la strada di una guerra parallela e si trovò invece sempre più dipendente dal forte alleato. Il dittatore credette di giocare di astuzia quando dichiarò guerra al colosso statunitense, pur sapendo che la sconfitta era sicura. Si illudeva di poter mediare tra Berlino e gli angloamericani. Una delle tanti illusioni che portarono alla disfatta e alla rovina del Paese.
GIANNI OLIVA - LA GUERRA FASCISTA
2 - «LO SCONTRO RAPIDO? ERA UNA ILLUSIONE, L'ESERCITO INADEGUATO»
Matteo Sacchi per “il Giornale”
Il 10 giugno 1940, ottant' anni fa, Benito Mussolini scaraventava l'Italia nel Secondo conflitto mondiale. Il Paese militarmente impreparato pagò molto caro quell'azzardo. Ne abbiamo parlato con lo storico Gianni Oliva, il quale ha appena pubblicato La guerra fascista. Dalla vigilia all'armistizio, il secondo conflitto mondiale in Italia (Mondadori) che racconta nel dettaglio gli anni di quella lotta impari.
Professor Oliva, partiamo dal discorso di Mussolini in Piazza Venezia. Perché il Duce scelse l'azzardo?
«Secondo la vulgata fu una sorta di impuntatura caratteriale. A spingere il Duce sarebbe stata la paura che Hitler vincesse da solo. Ma in realtà la questione è decisamente più complessa. Per due motivi. Il primo: il fascismo aveva costruito nel Paese una mistica guerriera tutta basata sulla Prima guerra mondiale. La retorica dell'Italiano soldato rendeva molto difficile mantenere poi una posizione di neutralità nel momento in cui in Europa, e nel mondo, divampava un conflitto enorme. La risposta della folla alla dichiarazione di guerra è un boato. Guardato col senno del poi mette i brividi e ci dice che in quel momento gli italiani, almeno quelli che non avevano contezza della reale situazione di forza, volevano la guerra e Mussolini lo sapeva».
L'altra motivazione?
«La seconda motivazione è geopolitica. Mussolini fu, in un certo qual modo, obbligato dal dinamismo di Hitler. L'Asse con la Germania era tutt' altro che un'alleanza d'elezione. Era stata una scelta contingente, pensata anche per cercare di controllare Hitler. Quando la Germania dà una brusca accelerazione agli eventi l'Italia si trova nella complessa situazione di non riuscire più a giocare un ruolo. La sconfitta repentina della Francia rischiava di proiettare la Germania verso il Mediterraneo in cui l'Italia voleva mantenere un ruolo di potenza. Questo spinse Mussolini verso l'azzardo. C'era più paura dell'alleato che altro».
BENITO MUSSOLINI ANNUNCIA L ENTRATA IN GUERRA DELL ITALIA
Era chiaro che di azzardo si trattava?
«Tutte le speranze si basavano sull'idea di un conflitto rapido che si concludesse a breve. Gli stessi vertici militari avevano chiaramente indicato, quando la Germania aveva aperto le ostilità, che l'Italia non sarebbe stata davvero pronta a combattere prima di due o tre anni».
Perché questo livello di impreparazione militare in un Paese pieno di retorica bellicista?
«L'Italia dagli anni Venti era stata coinvolta in un gran numero di conflitti. Dal domare le rivolte in Libia alla guerra d'Abissinia, sino alla Guerra di Spagna. Questo fece sì che si svuotassero gli arsenali e mancassero gli investimenti a lungo termine sul rinnovo delle Forze armate. La preparazione degli stessi tedeschi aveva dei limiti, ma gli italiani erano assolutamente privi dei mezzi necessari ad una guerra moderna.
E per convertire, in quel senso, gli apparati industriali serviva del tempo, anche a prescindere dalla cronica mancanza di materie prime del Paese. Di fronte alle nuove teorie sulla guerra lampo anche in Italia si ragionò sul rendere più celeri le nostre divisioni. Ma sa quale fu il risultato? Si passò dalle divisioni ternarie, su tre reggimenti, a quelle binarie, ovvero su due. Rendeva più veloci gli spostamenti delle truppe? No, però moltiplicava i comandi e quindi le promozioni».
BENITO MUSSOLINI ANNUNCIA L ENTRATA IN GUERRA DELL ITALIA
Alcuni storici hanno rilevato che in proporzione lo sforzo industriale italiano fu inferiore nella Seconda guerra mondiale rispetto a quello della Prima.
«Nella Grande guerra bisognava fabbricare in gran numero prodotti relativamente semplici: elmetti, mitragliatrici, fucili... Nella Seconda si parlava di carri armati, aerei e portaerei. Serviva una diversa pianificazione industriale, di lungo termine. Il fascismo ha influito su molti aspetti della vita nazionale. Pensi solo all'enorme impulso dato all'architettura, edifici razionalisti costruiti nel Ventennio se ne trovano ovunque. Ma in realtà, a parte la retorica, il settore bellico è uno di quelli in cui ha inciso di meno. Anche perché le forze armate che dipendevano dal Re hanno mantenuto una forte indipendenza dal Regime. Anche se erano al centro della propaganda del Partito fascista».
BENITO MUSSOLINI ANNUNCIA L ENTRATA IN GUERRA DELL ITALIA
Agli italiani mancavano anche degli obiettivi strategici chiari?
«L'attacco alla Francia, l'abbiamo detto, è stato una sorta di scelta dell'ultimo minuto. Ma attaccare attraverso le Alpi era onestamente una mossa senza senso. Non funzionò nonostante la Francia fosse ormai militarmente agonizzante. Come diceva Clausewitz: attaccare la Francia attraverso le Alpi è come sollevare un fucile afferrandolo per la lama della baionetta. Più sensato il tentativo di spezzare la presa della Gran Bretagna sul Mediterraneo attaccando l'Egitto. Forse se tutte le forze fossero state concentrate lì, in Nord Africa, avrebbe potuto essere diverso. Ma in questo caso la condotta del generale Graziani, che portò avanti l'offensiva con eccessiva lentezza, consentì ai britannici di convogliare in zona forze da tutto il Commonwealth. E così anche quell'opportunità sfumò...».
E l'attacco alla Grecia?
10 GIUGNO 1940 - LA DICHIARAZIONE DI GUERRA DELL ITALIA
«Quello sì che, forse, può essere caratterizzato come una impuntatura caratteriale di Mussolini. Resosi conto di essere precipitato in una empasse, in una gabbia, scatenò l'attacco verso la Grecia in autunno e per di più in una zona montagnosa. A quel punto sì, sull'orlo di crollare contro una nazione non proprio nota per la sua tradizione militare, l'Italia si trovò a passare in una condizione completamente subalterna ai tedeschi».
Non fummo particolarmente abili a gestire la guerra ma nemmeno a uscirne dopo la caduta di Mussolini.
«Il Re, capendo che la monarchia era a rischio, fu abile a gestire l'allontanamento del Duce dal potere e nel favorire lo scioglimento del Partito fascista. Ma coloro che festeggiavano per le strade il 25 luglio non volevano tanto la caduta di Mussolini quanto la pace. Il Re e Badoglio volevano, però, una pace negoziata che garantisse il perdurare della monarchia.
Le dichiarazioni sul continuare la guerra come alleati dei tedeschi erano chiaramente ingannevoli. Ma quei 40 giorni, sino all'8 settembre, hanno consentito ai tedeschi di portare nella Penisola tutte le truppe che volevano. Per salvare la monarchia si è condannato il Paese. Quando si pensa alla guerra bisognerebbe esaminare le responsabilità di una intera classe dirigente, non si può ridurre tutto a Mussolini e qualche gerarca».
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